47 Metri: Great White (2021) – Sopravvivere alla deriva

Condividi su
Trailer italiano di 47 Metri: Great White

Terzo capitolo della serie, 47 Metri: Great White segue 47 Metri (J. Roberts, 2017) e 47 Metri: Uncaged (J. Roberts, 2019), segnando il debutto di Martin Wilson alla regia di un film destinato alle sale cinematografiche (precedentemente aveva diretto il film tv Roll, 2004). Ispirato ad una storia vera, l’opera è sceneggiata da Michael Boughen, in passato produttore di Killer Elite (G. McKendry, 2011) con Jason Statham, Clive Owen e Robert De Niro. Nel cast figurano Katrina Bowden (Piranha 3DD, J. Gulager, 2012) e Kimie Tsukakoshi (Segui l’onda, R. Bannenberg, 2017).

Trama di 47 Metri: Great White

Australia. Kaz Fellows (Katrina Bowden), Charlie Brody (Aaron Jakubenko) e il cuoco Benny (Te Kohe Tuhaka), a bordo del loro idrovolante, accettano di condurre Joji (Tim Kano) e Michelle Minase (Kimie Tsukakoshi) verso una sperduta isola. In quel luogo apparentemente incontaminato, Michelle vuole rendere omaggio a suo nonno, che proprio lì aveva prestato servizio militare negli anni ’50. Il programma è semplice, ma quando la coppia di turisti trova il corpo di un uomo sulla spiaggia, i più esperti del gruppo comprendono immediatamente che la zona non è sicura a causa della presenza di squali bianchi. Kaz, guardando lo smartphone della vittima, viene però a conoscenza della presenza anche di una donna, e così, tornando sull’idrovolante, il gruppo decide di tentare di rintracciare l’imbarcazione sui cui si trovava la coppia…

Recensione di 47 Metri: Great White

Di shark movies, come è stato rinominato questo genere al di là della macrocategoria “sopravvivenza”, il cinema è ormai popolato quasi come le acque descritte nei vari lungometraggi. Dopo il capolavoro di Steven Spielberg, quel Lo Squalo (1975, vincitore di 3 Oscar) che è diventato un cult, le produzioni si sono susseguite con incessante cadenza, distribuendo principalmente sequel (3 soltanto per la pellicola di Spielberg) e B-movie che hanno comunque ottenuto un buon seguito. Ma poi i tempi sono cambiati, e qualcuno dalle parti di Hollywood ha iniziato a pensare a come rinnovare il genere, conservando ovviamente le caratteristiche (e le potenzialità) che hanno reso così popolari gli shark movies.

Del resto, le ambientazioni esotiche (47 Metri: Great White è stato girato in Australia) e quella estrema e impari sfida con un predatore silenzioso, rappresentano i caratteri fondamentali della categoria, in grado di stabilire sviluppi persino filosofici. In tal senso, uno dei film più recenti, quel Paradise Beach – Dentro l’incubo (J. C. Serra, 2016) in cui figurava Blake Lively nel ruolo della surfista Nancy Adams, giungeva, pur evitando eccessive (e inadatte) derivazioni, a trattare sensibilmente la psicologia della protagonista, affrontando persino il tema di una società delle volte incapace di fornire aiuto. Lì, come in parte anche in 47 Metri: Great White, l’abilità consisteva nella pura sopravvivenza, nell’affrontare un’ora alla volta, tentando di resistere ad un pericolo sempre in agguato. Ovviamente, l’intensità dell’opera di Serra è stata possibile grazie alla bravura, e alla gestione del (solitario) ruolo, da parte della Lively, ma il tema centrale è il cambio di direzione con cui si è tentato di affrontare quello che comunque resta uno shark movie.

47 Metri: Great White, pur conservando la sopravvivenza come argomento centrale, con i due squali bianchi a fare da contesto per 3/4 di film, ha degli obiettivi differenti. E ciò non è definito dalla mancanza di attori già consolidati, ma piuttosto da una qualità registica e da una sceneggiatura che non sempre riescono a mantenere il ritmo necessario per il genere. Alcune svolte, ad esempio quelle che interessano Te Kohe Tuhaka e Tim Kano, appaiono infatti poco realistiche, e a queste si potrebbero aggiungere altre sequenze, anche fondamentali, in cui la storia viene inficiata da una artificiosità fin troppo manifestata. Inoltre, le varie scene girate al di sopra della zattera di salvataggio, assolutamente centrali per il tipo di sceneggiatura, manifestano di tanto in tanto delle decisioni poco attendibili, con il principale tema, quello della sopravvivenza, che si affievolisce per un realismo che stenta a salire di livello.

Infatti, nonostante la (abbastanza) convincente prova attoriale di Kimie Tsukakoshi, paragonata al resto del cast, che interpreta anche uno dei personaggi più profondi (con un rimando ad una vicenda storica), la zattera di salvataggio non valorizza le molteplici potenzialità insite nella situazione, definendo soltanto un oggetto funzionale all’obiettivo di questo shark movie: che è stabilire un costante stato di apprensione nello spettatore. 47 Metri: Great White ci riesce? Non sempre. Ed è proprio in questi relativamente lunghi intervalli, per un film della durata di 91 minuti, che il regista Martin Wilson poteva aggiungere qualcosa capace di avvicinare il lungometraggio a quel Paradise Beach – Dentro l’incubo già citato. Perché se, come scritto, è importante stabilire una continuità con gli elementi principali del genere (location, lotta selvaggia tra protagonisti e, solitamente, uno squalo), lo è altrettanto saper conferire un nuovo spessore alla categoria, evitando repliche di sequenze già viste e, magari, sfruttando una scelta di sceneggiatura che pone cinque persone nel bel mezzo dell’oceano a bordo di una piccola zattera.

Note positive

  • Sebbene non sia certo avvicinabile ad un cult inarrivabile come Lo Squalo, il film può essere comunque apprezzato dagli amanti del genere per la presenza dei classici elementi degli shark movies.
  • La fotografia di alcuni ambienti.
  • In campo largo, la tecnologia CGI che caratterizza i due squali presenti nel film.
  • Le potenzialità (poco sfruttate) comunque presenti nella sceneggiatura.
  • Il messaggio ambientalista espresso dal relitto incagliato vicino alla costa.

Note negative

  • L’artificiosità presente in alcune sequenze: ne è una prova il poco realismo durante la permanenza sulla zattera di salvataggio.
  • Le marcate forzature che contraddistinguono alcuni passaggi del film.
  • La tranquillità (talvolta eccessiva per gli obiettivi della produzione) che definisce diversi tratti del lungometraggio.
  • La replica di alcune sequenze già ampiamente utilizzate nelle opere di sopravvivenza.
Condividi su

Lascia una risposta

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.