Affrontare i vent’anni col cinema

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Cinque film che hanno condizionato il mio essere ventenne: come il cinema cammina al nostro fianco ad ogni età

I 5 personalissimi film per raccontare i vent’anni

Dall’esterno, i vent’anni sono considerati “i migliori anni della nostra vita” e forse è vero, ma è altrettanto vero che da dentro sono gli anni delle scelte, gli anni della più strenua ricerca della felicità, dei sogni che si infrangono con la realtà, delle paure e delle prime sofferenze, vissute a pieno, come solo chi si affaccia alla vita per la prima volta può fare. Questo articolo non vuole dunque essere tanto una celebrazione dei miei film preferiti, anche perché ci sarebbe molto più di questo, né un ritratto di come io sono cresciuta grazie al cinema, quanto più un monito, un consiglio da amica, da coetanea, perché il cinema può essere davvero un supporto emotivo, soprattutto in quegli anni che dietro feste e sorrisi stampati sui social, nascondono i disagi più profondi, quel morso felino di quando si diventa grandi e non c’è più nessuno a sostenerci, a reggerci se cadiamo, nessuno, tranne i film, pronti a capirci. Questi sono dunque i cinque film che mi hanno capita, supportata, sorretta nei momenti più duri vissuti finora in questa delicata età.

5) “OH BOY,UN CAFFE’ A BERLINO”

Sai quando… Sai quando hai la sensazione che la gente intorno a te sia in qualche modo… In qualche modo strana; ma quando ci pensi su un po’ più a lungo realizzi che… realizzi che in verità non sono gli altri, ma sei tu stesso il problema.

Tom Schilling è Nico Fischer in “Oh boy,un caffè a Berlino” di Jan Ole Gerster

Che cosa c’entra la storia di un ragazzo che nella paradossalmente impossibile ricerca di un caffè a Berlino incontra strani personaggi, vive situazioni kafkiane e assiste a discorsi a cui mai nella sua piatta esistenza si sarebbe aspettato di assistere con quel senso di spaesamento dei vent’anni? Ebbene il protagonista di questo piccolo, ma geniale film di Jan Ole Gerster, Nico Fisher, interpretato da un particolare Tom Schilling, non è altro che un più che ventenne berlinese la cui vita è un pendolo che oscilla tra la noia e il non sapere cosa fare della propria vita. Nico è fuoricorso all’università e nella vita: vive in una casa semi vuota, è incapace di costruirsi una relazione stabile, non ha più un rapporto con la sua famiglia e fatica a mantenere le proprie amicizie. Nico è a un punto morto, quello stesso punto al quale arrivano tanti poco più che ventenni, che non hanno mai capito dove la loro vita volesse portarli, per cosa fossero nati. La ricerca di un caffè, stranamente introvabile in una grande città come Berlino, diventa allora un vero e proprio percorso dolce amaro alla ricerca di sé, tra nuovi amici, parole sagge e vecchie conoscenze che tornano sotto una nuova luce, incontri, esperienze, che non sappiamo a quali nuove consapevolezze o a che percorso futuro porteranno il protagonista, anche se risulta evidente alla fine di questo viaggio cinematografico dagli echi alleniani, come comunque il protagonista riuscirà a percepire dei problemi, problemi legati alla mancanza di scelte, di coraggio, problemi che sono alla base della crescita,di quel salto nel buio che sono i vent’anni.

4. CHIAMAMI COL TUO NOME

Come vivrai saranno affari tuoi, però ricordati: il cuore e il corpo ci vengono dati soltanto una volta e, in men che non si dica, il tuo cuore è consumato e, quanto al tuo corpo, a un certo punto nessuno più lo guarda e ancor meno ci si avvicina. Tu adesso senti tristezza, dolore, non ucciderli, al pari della gioia che hai provato.

Timotheè Chalamet è Elio Perlman in "Chiamami col tuo nome"(2017)
Timotheè Chalamet è Elio Perlman in “Chiamami col tuo nome”(2017)

I film di Luca Guadagnino sono sempre una guida spirituale alla ricerca di un sé perduto o ancora nascosto e “Chiamami col tuo nome” potrebbe essere considerato una vera e propria guida all’educazione sentimentale. Crescere, affrontare i vent’anni, significa anche iniziare a scontrarsi con i primi veri sentimenti verso qualcuno e il più delle volte questi primi grandi e purissimi amori sono portatori di sofferenze mai sperimentate, capaci di lasciare ferite non meno profonde. Il giovane Elio (Timotheè Chalamet), neanche ventenne, comprende lentamente, quasi con diffidenza, ma al tempo stesso con lo stupore di un bambino, l’entità e la purezza del suo amore per il giovane, ma già più maturo Oliver (Armie Hammer): il primo bacio, il desiderio e l’attesa, l’eccitazione per la presenza dell’amato diventano per il ragazzo sentimenti in grado di cambiare radicalmente la sua originaria essenza mite e scontrosa. Se c’è una cosa che questo film insegna a chi si sta affacciando alla vita, specialmente grazie al discorso finale che Elio affronta con il proprio padre, è proprio riconoscere la propria natura grazie alla scoperta di sé, che si ottiene vivendo l’amore, la sua sintomatologia, anche quando si consuma in un attimo, perché per quell’attimo quell’amore può diventare a vent’anni tutta la vita stessa e la sua fine può rappresentare uno di quei primi e infiniti dolori a cui a questa età non si è preparati, proprio come succede per Elio e le sue lacrime finali, che raccontano lo struggimento, il senso d’ingiustizia di fronte alla incontrovertibile fine del primo amore,nonchè inizio della vera vita.

3.PRIMA DELL’ALBA

“Sai, quando ero piccola i miei genitori non hanno mai parlato seriamente della possibilità che mi innamorassi, che mi sposassi o avessi dei bambini. Anche quando ero piccola volevano che mi indirizzassi verso una carriera di … che so, arredatrice d’interni, di avvocato … qualcosa del genere. Io dicevo a mio padre: “Voglio fare la scrittrice” e lui diceva “la giornalista”; io dicevo che volevo avere un rifugio per gatti randagi e lui diceva “la veterinaria”; io dicevo che volevo fare l’attrice e lui diceva “la lettrice del telegiornale”. Lui stava sempre lì, a convertire le mie stravaganti ambizioni in situazioni pratiche, fabbrica soldi e sicure. “

Julie Delpy e Ethan Hawke sono Celine e Jesse in "Prima dell'alba"
Julie Delpy e Ethan Hawke sono Celine e Jesse in “Prima dell’alba”

I vent’anni sono la realtà che bussa alla porta dell’adolescente, eppure la loro magia sta nel conservare quella natura ancora sognante, che si scontra con la realtà, cambiandola, deformandola, ma soprattutto interrogandola. Jesse (Ethan Hawke) e Celine (Julie Delpy), i due protagonisti di questo piccolo capolavoro targato Richard Linklater, sono due ventenni, sognatori per caso, o forse ancora per poco: il futuro è alle loro porte e riserva loro un’infinità di domande, domande sull’amore, sul lavoro, su ciò che i genitori vorrebbero da loro, quesiti sulle ragioni della vita stessa e sull’esistenza del mondo. Jesse e Celine sognano e riflettono sul vagone di un treno e poi in giro per Vienna, interpretando come solo due ventenni sanno fare le immagini, talvolta ricche di mistero, che la città comunica e insegnano a noi nuovi ventenni che avere quest’età significa, sì, interfacciarsi con un mondo talora cinico, capace di porre domande a raffica, alle quali il più delle volte una risposta non è prevista, ma anche continuare a sognare, finché è possibile, finché la realtà non interviene a gamba tesa, scoprendo e innamorandosi momento dopo momento della vita che ci scorre davanti, delle piccole cose, di un estraneo su un treno, prima che la disillusione,l’amarezza del reale prendano il sopravvento.

2.NON ESSERE CATTIVO

“Ancora ‘n te sei stufato ve? ‘n te basta… Ma quanto pensi che po’ anda’ avanti? Trovate una donna Ce’, sistemate pure tu. “

Luca Marinelli e Alessandro Borghi sono Cesare e Vittorio in "Non essere cattivo"(2015)
Luca Marinelli e Alessandro Borghi sono Cesare e Vittorio in “Non essere cattivo”(2015)

Avere vent’anni significa molto spesso perdersi, a volte, come Nico Fisher, in un inconcludente vagheggiare, altre volte in vortici ben più oscuri e difficili da abbandonare, come la droga o la delinquenza. Claudio Caligari nei suoi film riporta in modo schietto storie di giovani difficili, alieni, non accettati e quindi emarginati. “Non essere cattivo”, che vede come protagonisti due promettenti Alessandro Borghi e Luca Marinelli, è forse tra tutti il più struggente. Non solo i due protagonisti, Cesare e Vittorio, sono due amici, due compagni di borgata, figli di quell’emarginazione propria delle realtà crude quali quella Ostia, ma per di più le loro strade vanno nel corso del film dividendosi sempre di più, fino a creare una profonda, quasi insanabile, spaccatura nella loro amicizia. Là dove Vittorio trova un posto di lavoro, accettando e scendendo a patti con un mondo che marginalizzerà per sempre altri giovani di periferia come lui, Cesare resta l’alieno, fedele a se stesso, al suo essere ancora folle, illuso e per questo incosciente.Cesare non scende a patti con la realtà, preferisce rimanere appeso alla speranza del guadagno facile, senza fatica, prendendo in giro chi un’opportunità gliela concede, proseguendo nel malaffare. A suo modo, Cesare sogna ancora, ma si potrebbe dire che il suo giovane e puro sognare una casa grande per fare le feste, tante piccole figlie dal nome della sua amata, Liliana, sia in realtà ormai trappola di quella deriva che da tempo la sua vita ha intrapreso e il morso felino dei vent’anni su di lui avrà conseguenze più crudeli.

1. E’ STATA LA MANO DI DIO

Non ti disunire Fabio. Non ti disunire mai.

Filippo Scotti è Fabietto Schisa in “E’ stata la mano di Dio”

Il film che da tanto tempo da Sorrentino ci si aspettava parla proprio a noi giovani, noi ventenni, e questo lo rende unico, universale. È vero, dentro c’è la sofferenza personale, la perdita di chi nella nostra vita è imprescindibile e questo non accade a ogni ventenne, eppure il nuovo film di Sorrentino è per noi giovani molto di più, un manifesto della ricerca del vero sé e di ciò che esso ha da raccontare al mondo, delle impronte che vuole iniziare a lasciare. Attraverso gli occhi di Fabietto, il protagonista, interpretato da Filippo Scotti, Sorrentino ripercorre quella fase della vita in cui ognuno sembra ripetere quasi in automatico, ma con evidente verità, quella frase che sempre colpisce il destinatario: “ti sei fatto grande”. Intorno a questa frase si articola tutto il film: diventare grandi è doversi portare dietro il peso di sofferenze ordinarie quanto straordinarie(come la perdita dei propri cari), ma è anche dover compiere delle scelte. “Dobbiamo capire cosa vogliamo fare dopo” dice lo stesso protagonista al fratello maggiore e da questo punto di vista non è solo il suo esempio a emergere, ma anche quello del fratello, che dalla immane sofferenza desidera fuggire, godendosi la vita e poi quello del suo amico Armando, che invece viene ingabbiato nella sua stessa ribelle e spasmodica ricerca della libertà. Il film si districa tra queste storie, ma al tempo stesso parla a noi giovani, ci fa dibattere sulla realtà in cui siamo inseriti, riflettere e quella scena finale che mette i brividi porta Fabietto a pensare a sé, al suo futuro da regista, ma anche noi spettatori a cercare le nostre cose da raccontare, senza disunirci, senza tradire le nostre radici, il nostro io, in un’età luminosa da fuori, ma così complicata, intricata, un’età capace di confonderci e farci tornare di colpo coi piedi per terra e talvolta di mostrare quanto con una realtà scadente ci si debba comunque convivere.

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