Nel fuori Concorso ad Alice nella Città, la sezione parallela e autonoma della Festa del Cinema di Roma è stato presentato Aftersun, piccolo gioiello indipendente acclamato a livello internazionale che vede come protagonisti Calum (Paul Mescal) e Sophie (Frankie Corio), padre e figlia in vacanza in una località di mare turca per stare insieme in procinto di un’imminente separazione. Tra ricordi reali e immaginari, malinconia e dolore, la Sophie ventenne cercherà di riscoprire l’uomo della propria memoria aiutata dai filmati che girarono quell’estate. L’autrice di quest’opera illuminante è Charlotte Wells, filmmaker scozzese indicata come una delle grandi promesse del cinema indipendente e qui al suo film d’esordio. L’abbiamo incontrata per la presentazione del film a Roma, dove ci ha svelato gli intenti dietro la pellicola.

Aftersun è la prosecuzione di un mio cortometraggio intitolato Tuesday, – esordisce spiegando la regista – che analizzava gli stessi temi, ovvero la ricerca del senso del dolore. La struttura della storia di questo giovane e figlia in vacanza era inizialmente molto più tradizionale. Guardando una foto dell’epoca, della mia infanzia, ho visto quest’uomo giovanissimo, mio padre. Così sono passata da un approccio di finzione a elaborare una linea più personale. Ho usato i miei ricordi per riflettere sul passato, sulla memoria per elaborare la struttura del film. Questo processo si è infiltrato nella realizzazione; il ricordo alla fine ci permette di soffermarci con più attenzione su alcuni dettagli del passato a cui magari sul momento non avevamo fatto caso.
In Aftersun troviamo le caratteristiche speranzose del coming of age ma anche quelle drammatiche del ritratto famigliare, come definirebbe questo film?
Ѐ una storia su una donna che riflette sull’ultima vacanza che ha vissuto con suo padre. C’è un arco vicino al coming of age a cui ero molto interessata. Ho iniziato a elaborare questa storia dal punto di vista di Sophie, di questo rapporto padre figlia e poi ho aggiunto l’arco narrativo di Calum. In quel senso si può definire a tutti gli effetti un romanzo di formazione.
Come mai ha scelto il giovane Paul Mescal nel ruolo del padre? Come avete lavorato insieme per creare questo protagonista?
Paul è sicuramente un po’ più giovane del suo personaggio, ma l’ho visto recitare in Normal People e l’ho trovato magnetico, ricco di un fascino e un calore che sono stati essenziali per il personaggio e per raccontare in modo romantico i demoni che si porta dentro. Per quanto riguarda l’età, con Sophie dovevamo catturare quel passaggio d’età che definisce la pre-adolescenza. Allo stesso modo anche Calum stava affrontando un passaggio importante e doveva riflettere quell’aspetto di transizione.
Tra i produttori figura anche Barry Jenkins, in che modo è stato coinvolto nel progetto?
In realtà Barry ha una società a cui avevo inviato i miei corti molti anni prima. Quindi dopo aver avviato questo progetto ho deciso di mandarlo alla sua casa di produzione. Ho promesso loro che avrei presentato lo script in due settimane, l’ho inviato due anni dopo. Poi abbiamo iniziato a svilupparlo insieme e lui si è coinvolto molto di più nella parte di montaggio e post-produzione. Ha fornito degli appunti e dei commenti personali, ad esempio ci ha suggerito di spostare una scena centrale all’inizio. Lo rispetto molto per il suo lavoro, sono una sua grandissima fan, è stato prezioso averlo coinvolto in questo progetto e sono onorata di aver collaborato con lui.
Nell’ambito di un plot classico, qual è stato il principio della messa in scena? Anche per quanto riguarda la fotografia e il montaggio.
Quando ho iniziato a costruire il film, l’ho concepito pensando a un luogo di vacanza. Tutto il processo del ricordi alla fine ha preso il sopravvento. La scena del rave struttura la forma del film, ma quello è successo durante la scrittura. Ho collaborato con il direttore della fotografia che mi ha aiutata molto a chiarire le idee. Abbiamo elaborato insieme una strategia per le riprese, per semplificare quello che abbiamo pensato. I punti di vista di Sophie sono sempre riavvicinati, Calum a contrasto, lo vediamo spesso da dietro, tramite dettagli. Il terzo elemento è ovviamente il montaggio. Molte delle scene che abbiamo girato per risolvere determinati problemi alla fine sono risultate naturalmente parte della messa in scena.
Anche l’interprete di Sophie, Frankie Corio, è estremamente naturale. Com’è stato il processo di casting e come hai strutturato il lavoro con gli attori?
Abbiamo incontrato Frankie dopo un processo di casting durato sei mesi. Abbiamo cercato quanti più attori bambini possibile attraverso alcuni gruppi appositi su Facebook e in uno di questi c’era lei. Quando è stata selezionata per sostenere un audizione dal vivo, io cercavo semplicemente un’attrice che riuscisse ad essere il più naturale possibile, ma lei è stata molto di più. Ci ha stupiti tutti con il suo carisma, la sua curiosità e il suo essere così naturalmente spontanea e divertente. Sapeva entrare in vari stati emotivi senza che questi finissero per dominarla. Per preservare tutto ciò, non le abbiamo mai dato l’intera sceneggiatura del film, ma le dicevamo di volta in volta cosa sarebbe successo.
Cosa ha imparato dirigendo questo film?
Girare questo film mi ha cambiata, mi ha insegnato molto, semplicemente anche solo che adoro questo mestiere. Il cinema mi permette di raccontare i miei stessi sentimenti e non vedo l’ora di poter replicare tale esperienza.