Il regista animatore francese Alain Ughetto presenta nel prefestival di Piazza Grande d Locarno 75, la sua pellicola d’animazione Interdit aux chiens et aux Italiens (No Dogs or Italians Allowed), una storia d’immigrazione del 1900 basata sugli eventi realmente accaduti ai suoi nonni Luigi e Cesira. Il regista ha affermato:
Nella mia famiglia, quando eravamo seduti a tavola, mio padre raccontava sempre che in Italia, in Piemonte, c’era un paese chiamato Ughettera, dove tutti gli abitanti si chiamavano Ughetto, come noi. Quando mio padre morì, decisi di andare a controllare se questo villaggio esisteva. Era vero: Ughettera, la terra degli Ughetto. La mia ricerca iniziò quel giorno di nove anni fa e, con essa, ebbe inizio anche la storia di questo film. Nel cimitero di Ughettera, in occasione del mio viaggio, non avevo trovato né la tomba di mio nonno Luigi, né quella di mia nonna Cesira… Come mai? I testimoni di quell’epoca, la generazione nato intorno al 1870, in Italia, ormai non ci sono più da molto tempo. Nel villaggio di Ughettera, i tetti delle case sono crollati, cancellandone il passato contadino; gli alberi sono cresciuti sulle rovine del villaggio; di tutti i suoi abitanti, oggi, non resta più nulla. Un contributo dal valore inestimabile, per questo film, fu la scoperta del libro “Il mondo dei vinti” di Revelli. Questo scrittore e partigiano italiano, nella sua opera, ha ricostruito quello stesso mondo contadino in cui hanno vissuto i miei nonni, in Piemonte, restituendo al mondo le loro storie. Vicende struggenti che parlano di fame, di guerra e di miseria…
In occasione del mio viaggio in Ughettera, ho raccolto alcuni oggetti legati alla vita quotidiana dei miei antenati: carbonella, broccoli, castagne… Tornato nel mio studio, ho usato questo bottino per dare vita a un mondo in miniatura: i broccoli sono divenuti alberi, il carbone si è trasformato in montagne, le zollette di zucchero in mattoni… Nel mio laboratorio, con l’aiuto di Jean-Marc Ogier e la sua squadra, abbiamo ricostruito quel mondo scomparso.

Noi tutti conservavamo dei ricordi di nostro padre, di nostra madre, un po’ dei nostri nonni, ma poi poco d’altro: tutto il resto è la Storia. La mia idea era quindi tornare indietro nel tempo, intrecciando la mia memoria familiare e intima con l’evocazione storica. […] Ho cercato nei miei ricordi, poi in quelli delle mie cugine e cugini, dei miei fratelli e sorelle. Guerre e migrazioni, nascite e morti… E il racconto ha preso vita. Ma oltre all’elemento sentimentale, legato alla mia storia personale, il film mi ha permesso di ripercorrere anche un viaggio straordinario.
Qual è il tema della pellicola?
In questo progetto cinematografico mi interessava particolarmente il tema del lavoro: volevo mostrare e raccontare le persone che hanno costruito le infrastrutture della Francia: tunnel, strade, ponti, dighe. Persone che sono rimaste completamente invisibili, e non perché hanno scelto di nascondersi. Questa, infatti, che inizia con “io”, a scivola rapidamente verso il “noi”: polacchi, spagnoli, portoghesi, indiani, vietnamiti o nordafricani. Guardando al presente poi ho voluto raccontare il modo in cui la Francia “a quell’epoca accoglieva tutti gli stranieri”.

Perché questo titolo?
All’origine del titolo originale del film c’è una vecchia immagine che circola in rete. Ritrae un pannello in bianco e nero, appeso alla facciata di un vecchio caffé, con la scritta “Interdit aux chiens et aux Italiens“, “vietato ai cani e agli italiani”. Pensavo che l’immagine provenisse dalla Savoia, o dalla regione dell’Ain, o dalla Svizzera, ma in realtà è comparsa per la prima volta in Belgio, per poi essere replicata anche in altri paesi. Essa appartiene alla mia storia: la violenza, la crudeltà e la ferocia di questo messaggio che ha accolto moltissimi migranti era estremamente significativo per il tema di questo film. Ho voluti che una scena fosse incentrata su questa scritta, poi è diventata anche il titolo originale dell’opera.