Se si parla di temi che continuano a dividere oggi l’opinione pubblica, non si può non nominare l’aborto, soprattutto per quanto riguarda la sua figura giuridica dentro la legislazione di molti paesi. È questo uno dei grandi motivi per cui un film come La scelta di Anne – L’événement, secondo film della regista francese Audrey Diwan, genera molta polemica e viene interpretato da molti spettatori e critici solo da un punto di vista nettamente politico e “tendenzioso”, nonostante questo lungometraggio vada molto oltre. Infatti, è rimasto molto chiaro durante la presentazione del film a Roma che Diwan ha usato l’aborto, la maternità e il rapporto con il proprio corpo come un veicolo per parlare sulla (quasi utopica) “libertà di scelta” non solo delle donne, ma anche degli uomini, prendendo come contesto storico la Francia degli anni Sessanta.
È così come La scelta di Anne – L’événement non pretende di essere un manifesto né politico né femminista, ma un lavoro artistico che rappresenta un viaggio interiore, emotivo e intellettuale in cui la sua giovane protagonista Anne, interpretata da una fantastica Anamaria Vartolomei, riafferma se stessa in un ambiente famigliare e sociale che “ostacola” i suoi piani di vita.

Anche se non era tra le possibili ipotesi, la cineasta di ascendenza libanese è diventata quest’anno la sesta donna a vincere il Leone d’Oro della Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, con questo adattamento dell’omonimo libro autobiografico della scrittrice francese Annie Ernaux. Sceneggiato dalla stessa Audrey Diwan insieme a Marcia Romano, La scelta di Anne – L’événement arriverà nelle sale italiane il 3 novembre, essendo questa la prima mondiale del film, distribuito nel nostro paese da Europictures.
Di seguito, il video della conferenza stampa del film realizzata a Roma con la regista Audrey Diwan, l’attrice Annamaria Vartolomei, la CEO della Europictures, Lucy De Crescenzo, e moderata dal Presidente della Fondazione Cinema per Roma, Laura Delli Colli:

Conferenza stampa del film La scelta di Anne – L’événement
Laura Delli Colli: A Venezia, il film ha vinto un Leone d’Oro così sorprendente. Un grande successo, meritatissimo, che però è stata appunto una sorpresa per due motivi: non era sicuramente nelle prime ipotesi, e poi siamo stati sorpresi perché è un film che è piaciuto moltissimo ed è giusto che abbia avuto un riconoscimento così importante, non scontato. Adesso, voglio aggiungere qualcosa a proposito dell’importanza di Venezia che quest’anno ha quasi avuto un focus su temi che riguardano il rapporto delle donne con la maternità, l’apertura di Pedro Almodóvar (con Madres Paralelas) in un modo, ma questo film (La scelta di Anne – L’événement), secondo me, non ha solo un rapporto con il senso della maternità, ma un rapporto sulla libertà di scelta delle donne e questo è importantissimo perché racconta un 1963, una storia che nasce da un libro, ma di questo vorrei che parlasse la regista e la protagonista. Io ho sempre in mente il loro abbraccio quando hanno ritirato il Leone d’Oro a Venezia perché credo di aver sentito forte il senso di quello che una generazione come la mia ha vissuto quando in Italia abbiamo avuto la legge sull’aborto, ma soprattutto durante una battaglia lunghissima che in quegli anni era cominciata, ma era ancora quasi impossibile, che però in molte parti del mondo esiste ancora. Nonostante, secondo me, il tema forte è quello della libertà di scelta. Un altro protagonista invisibile del film, forse, è il corpo perché il corpo fa parte di questo mondo femminile per come la protagonista riesce anche a convivere con il suo corpo e a gestirlo, alla ricerca di questa libertà di scelta che non è solo sul tema della maternità, però questo vorrei che ce lo raccontasse la nostra regista.
Audrey Diwan: Prima di iniziare, vorrei dirvi qualcosa di cui ho preso coscienza oggi in particolare: il mio è stato un approccio di tipo artistico e la reazione che ho suscitato, e me ne sono accorta sentendo parlare i giornalisti, è stata soprattutto una reazione di tipo politico. Infatti, ritengo che sia sempre interessante cercare di capire da dove si parte e dove si arriva, cioè da dove si parte e che cosa si suscita, ed è proprio il rapporto tra il regista e il pubblico quello che mi interessa, ed è proprio questo rapporto quello che nasce poi, quello che alla fine è il film: la libertà di scelta ben vissuta e sentita come una questione politica, ed è qui che il film ha una sua eco. Io ho voluto difendere il percorso di Annie Ernaux, questa sua scelta, e di quella libertà sono stata attratta, di questo percorso anche intellettuale. Volevo far condividere un’esperienza che passa attraverso le idee, ma anche attraverso i sensi. Quindi, questa scelta estetica ho voluto trasformarla in un’esperienza e ho voluto farlo tramite il corpo, ed è proprio sul corpo che abbiamo lavorato con Anamaria.
Ho voluto concentrarmi sul corpo e da lì è nata la scelta di usare quel tipo di ottica, di inquadrature, proprio per riuscire a concentrarmi su quello che è essenziale. Io non volevo fare un film che ricostruisse gli anni Sessanta, ma volevo presentare gli anni Sessanta al presente, all’oggi, e ho voluto farlo attraverso le sensazioni. Con Anamaria, abbiamo lavorato moltissimo su quello che è il respiro, sui silenzi, dei silenzi che sono ricchi di idee perché durante questi silenzi vanno avanti tutta una serie di monologhi interiori. Sulla musica pure. Ho chiesto ai fratelli Galperine di elaborare dei pezzi, dei brani che fossero come delle idee, delle parole, delle frasi, proprio per riuscire ad avere quest’esperienza totale.


Laura Delli Colli: La fotografia del film è una scelta precisa. C’è stata una grande collaborazione con il direttore della fotografia?
Audrey Diwan: Certo. Laurent Tangy, oltre a essere un amico, lo conosco ormai da più di dieci anni, è una persona di cui ho sempre condiviso le idee artistiche. La prima fase è stata riuscire a fare in modo che Anamaria e Laurent riuscissero praticamente a camminare insieme, fare in modo che la macchina da presa coesistesse insieme all’attrice. E poi ci sono anche questi piani fluidi che ho voluto mettere proprio perché si accettasse la durata. Per me, la durata non deve essere qualcosa di teorico. La durata serve per far sentire, per far provare delle sensazioni, senza per questo però eccedere troppo, senza arrivare a una durata eccessiva perché sennò si cade nella provocazione. Quindi, una grande ricerca per le cose giuste da fare. Un’altra cosa difficile è stata il modo di riprendere Anamaria, cioè da un lato riuscire a mostrare come lei gira la testa e, allo stesso tempo, far vedere la cosa che sta guardando, proprio per rendere più orchestrato il tutto.



Laura Delli Colli: Vorrei che rispondesse anche Anamaria su questi temi che abbiamo appena ricordato, soprattutto perché a Venezia mi ricordo che in un momento della premiazione, Audrey ha detto che questo film non poteva che essere con lei e che lei è una parte determinante del successo di questo film. Allora, mi incuriosisce come una ragazza di oggi ha vissuto quel momento, quel clima, soprattutto un film che forse è un po’ difficile da capire. Hai fatto un grande lavoro, entrando anche in un altro modo di pensare, nonostante nel mondo è sempre un tema molto attuale.
Anamaria Vartolomei: Abbiamo lavorato moltissimo per riuscire ad arrivare a questa musicalità, questo far esistere ciascuno in un film, far vivere i corpi di quelli che sono nel film. Abbiamo avuto moltissimi scambi. Il lockdown ci ha anche aiutato in un certo senso perché in quell’epoca abbiamo spessissimo parlato al telefono, e Audrey ha condiviso con me le sue ricerche, le sue letture. Ci siamo chieste come riuscire a incarnare Annie Ernaux e tutto questo è stato possibile grazie a un’enorme collaborazione.
Audrey, molto carinamente, dice che il film non sarebbe esistito senza di me, ma penso che il film non poteva esistere senza l’attrice del film. Comunque, questa è stata un’esperienza che mi ha molto arricchita. Mi sento anche fiera di essere riuscita a cogliere lo spirito di Annie Ernaux, e sicuramente è stata anche un’esperienza che mi ha fatto molto maturare.


Giornalista: Il film ha una valenza politica forte. È un film che dice un messaggio, da un’indicazione. Al seguito del suo film, ci sono stati anche dei paesi e stati, come il Texas, che hanno adottato delle misure. Allora, volevo capire se nella sua creatività c’è sempre il bisogno di dare un’indicazione, di fare politica, o se questo è solo un caso?
Audrey Diwan: Non credo che il mio film lanci un messaggio politico. Piuttosto penso che il film ponga degli interrogativi di tipo politico perché non vuole dare delle risposte, ma vuole suscitare delle domande. Io ho un percorso da giornalista e sono sempre stata interessata al fatto che l’attualità e le cose intime, il vissuto intimo, possono avere dei rapporti, che si facciano eco l’uno con l’altro. Parto, quindi, dalla mia esperienza, parto da me stessa per andare verso il mondo.
Non penso all’arte in termini politici, ma penso alla politica che è presente nell’arte. E penso che se cantassi o scrivessi, probabilmente il ritornello avrebbe degli aspetti politici.
Poco dopo di aver abortito io stessa, ho scoperto il libro di Annie Ernoux su suggerimento di un’amica che è una grande lettrice. Conoscevo molto bene l’opera di Annie Ernaux, ma questo libro stranamente non l’avevo mai letto. Il libro mi ha permesso di capire a che punto si è completamente assente dalla presentazione di quello che può essere un aborto clandestino e mi ha anche permesso di capire quanto sia un’esperienza dura, quanto sia solitaria, però allo stesso tempo ed è qui che entrano in gioco l’aspetto intimo e l’aspetto politico, mi ha permesso di capire la fortuna che avevo avuto io di poterlo fare in un paese come la Francia, circondata da medici e non ricorrendo ai ferri da calza. Quello che mi interessa è proprio il punto in cui l’aspetto intimo e l’aspetto politico si congiungono.


Giornalista: Sono sempre stato contro le ideologie, ma al di là della mia opinione, questo film colpisce alla testa, al cuore e anche allo stomaco. In questo senso, vorrei chiedere ad Anamaria questo: hai lavorato più su te stessa o sul personaggio? E che rapporto di empatia si è stabilito con il personaggio? E ad Audrey: dalla sua esperienza pregressa come sceneggiatrice e come scrittrice, che ascendente ha esercitato, se l’ha esercitato, nel creare questa scrittura per immagini determinata dal formato ridotto?
Anamaria Vartolomei: I due aspetti sono estremamente legati. Abbiamo lavorato molto sulla verticalità del personaggio, abbiamo approfondito il rapporto con il corpo, la postura. Abbiamo anche lavorato su questo suo desiderio intellettuale di cambiare livello sociale, sul suo fuggire proprio dall’ambiente della famiglia, sul tradimento che compie rispetto ai genitori, tanti aspetti difficili che abbiamo cercato di addomesticare e, sicuramente, come ha detto Audrey, il lockdown ci ha molto aiutate a creare questo legame molto forte. Ci siamo viste varie volte per vedere come lavorare in squadra, come dare vita a determinate scene. Poi abbiamo cercato di perfezionare, in particolare, quelle scene legate alle emozioni. Il lavoro non è finito con le riprese del film perché ho anche seguito il montaggio. Ho voluto seguire tutto passo a passo. Questo mi ha permesso di rimanere molto vicina ad Audrey e al film.
Vorrei aggiungere che, leggendo il libro di Annie Ernaux, ho scoperto che cosa fosse un aborto clandestino e durante tutta la lavorazione del film, mi sono proprio nutrita di questa violenza che ha suscitato in me questa sua esperienza.
Audrey Diwan: Non ho fatto questo film per persone che sono d’accordo con me. L’ho fatto perché ci si possa tutti interrogare. Le inquadrature del film (in formato quattro terzi) le ho scelte perché le trovavo estremamente narrative, visto che ci consentono di seguire la protagonista che va praticamente verso l’ignoto, un personaggio che apre delle porte e che non sa cosa troverà dietro, se troverà un aiuto o una denuncia. Questo tipo di inquadratura mi permette di mostrare anche cos’è la paura, la paura che tutti provavano all’epoca, sia chi commetteva un aborto clandestino, sia chi aiutava e rischiava a essere denunciato. Queste inquadrature fanno sì che gli altri attori, personaggi, non siano visti quando arrivano, ma si sopraggiungono improvvisamente. Tutto questo per provare la stessa sensazione che prova Anne.
In quanto alle cose da mostrare o da non mostrare, io ho cercato di mostrare lo sguardo di una ragazza che ha delle cose che non vuole vedere, ma che finisce per doverle guardare. Quindi, non ho voluto esagerare, ma allo stesso tempo non ho voluto neanche allontanare lo sguardo.

(Foto: Adelina Dragotta)
Giornalista: Visto che questo è uno strano paese che un mese fa ha censurato La Scuola Cattolica, volevo sapere se questo film, visto le scene crude e molto dure, uscirà censurato e a che livello?
Lucy De Crescenzo: Grazie a Dio, il film è per tutti. Questa cosa ci ha sorpresi. Anzi, io a questo punto voglio proporlo alle scuole perché credo che sia necessario vederlo in quella sede. Siamo molto contenti che non siamo stati censurati e che il film possa essere per tutti.
Giornalista: Nel film, gli uomini mostrano comunque indifferenza sull’aborto. Volevo capire se nella sua visione, oggi è cambiata la mentalità? Cioè, se gli uomini adesso siano più sensibili a questa tematica.
Audrey Diwan: Non sono d’accordo con lei. Penso che gli uomini e le donne del mio film riflettano l’epoca, gli anni Sessanta, che il loro atteggiamento dipenda molto dal grado di conoscenza che hanno. Tra i medici, ce n’è uno che è contrario all’aborto, mentre l’altro potrebbe essere in favore di questo ma non ha il coraggio di infrangere la legge. Nel film, c’è un “eroe”, il personaggio di Jean, un personaggio che conta molto per me perché inizialmente capisce poco, tanto è vero che dice ad Anne: “Possiamo pure andare a letto insieme. Tanto ormai sei incinta. Non corriamo nessun rischio.”, però allo stesso tempo è il personaggio che fa il più grande tragitto intellettuale ed è l’unico che si assume dei rischi nel dare ad Anne il numero di telefono della mammana e corre il rischio di essere denunciato e di finire in prigione. Quindi, il mio film non è un discorso manicheo, soprattutto rispetto alla questione di genere.


Giornalista: Mi ha colpito molto una frase verso la fine del film, quando la protagonista dice: “Ho la malattia che hanno solo le donne, la malattia che le trasforma in casalinghe.” Vorrei sapere se, secondo voi, ancora oggi, nella società attuale è rimasta viva questa convinzione? Se le donne ancora credono che sia così, il fatto di vivere la maternità come un qualcosa di limitante nella vita di tutti i giorni, se questo cambia le prospettive di lavoro e di vita.
Audrey Diwan: Innanzitutto, per rispondere a questa domanda, avrei dovuto fare un film sulla maternità, cosa che non ho fatto. Penso che oggi la assenza di scelta venga vissuta come una costrizione ed è per questo che ho voluto fare un film sulla libertà di scelta perché questa libertà è inerente alla libertà stessa dell’essere umano.
Lucy De Crescenzo: Riguardo al titolo del film, visto che parliamo di scelta, noi come titolo italiano abbiamo dato valenza a questa cosa. La scelta di Anne perché abbiamo pensato appunto che fosse importante quello, però abbiamo lasciato comunque il sottotitolo con il nome originale L’événement trattandosi di un’opera importante come quella di Annie Ernaux. Per quanto riguarda l’uscita, come sapete, usciamo il 4 novembre, però ce lo stanno chiedendo prima nelle città principali per il 3 novembre, un po’ in anticipo come molti film che stanno anticipando. Usciamo con 80-100 copie.