Bohemian Rhapsody (2018): il peggior tributo possibile ai Queen

Bohemian Rhapsody locandina

Bohemian Rhapsody

Titolo originale: Bohemian Rhapsody

Anno: 2018

Paese: Stati Uniti d’AmericaRegno Unito

Genere: Drammatico, Biografico,  Musicale

Casa di produzione: GK FilmsNew Regency Pictures, Queen Films ltd., TriBeCa Productions

Distribuzione: 20th century fox

Durata: 134 min

Regia: Bryan Singer, Dexter Fletcher (non accreditato)

Sceneggiatura: Anthony McCarten

Montaggio: John Ottman

Fotografia: Newton Thomas Siegel

Musica: John Ottman

Attori: Rami Malek, Lucy Boynton, Gwilym Lee, Ben Hardy, Joseph Mazzello, Aidan Gillen, Tom Hollander, Allen Leech, Mike Myers, Aaron McCusker

Trailer di Bohemian Rhapsody

Atteso con un misto di paura ed esaltazione come uno dei film più importanti del 2018, Bohemian Rhapsodybiopic su Freddie Mercury e il suo rapporto con la band dei Queen, è un film dallo stile pomposo, patinato e luccicante, e proprio per tali ragioni superfluo, artefatto e irritante oltre ogni misura. Diretta con non poche vicissitudini da Bryan Singer e Dexter Fletcher (quest’ultimo non accreditato), la pellicola si inserisce con coerenza nella poetica della filmografia di Singer, da sempre interessato a figure “diverse” ed emarginate, come dimostrano ampiamente i suoi vari film dedicati agli X Men o anche il capolavoro I soliti sospetti, ma il modus operandi con cui, quasi si trattasse di un film per famiglie, il genio e il carattere oscuro di Mercury sono stati trattati con superficialità (per non parlare della nonchalance con cui è stata liquidata la tematica dell’AIDS) non mancherà d’indispettire i fan dei Queen più accaniti.

Trama di Bohemian Rhapsody

Dicono che i soldi non possono comprare la felicità. Ma ti permettono di regalarla!

Cit. Freedie Mercury – Rami Malek in Bohemian Rhapsody

Bohemian Rhapsody ripercorre la vita all’insegna della musica e dell’eccesso di Freddie Mercury (Rami Malek), frontman dei Queen che, dall’ascesa degli anni Settanta alla consacrazione definitiva avvenuta nel 1985 grazie al Live Aid, lotterà giorno dopo giorno contro le convenzioni morali e gli stereotipi del tempo attraverso le sue iconiche canzoni e il suo sound rivoluzionario.

Rami Malek in Bohemian Rhapsody
Rami Malek in Bohemian Rhapsody

Recensione di Bohemian Rhapsody

Sono un performer, tesoro, non un ferroviere svizzero. Scusa il ritardo.

Cit. Freedie Mercury – Rami Malek in Bohemian Rhapsody

Perennemente in bilico tra informazione (pur non mancando gravi inesattezze storiche) e intrattenimento, Bohemian Rhapsody è una furba operazione commerciale auto – celebrativa fortemente voluta dal chitarrista Bryan May (produttore del film assieme, tra gli altri, a Robert De Niro) per mettere in luce il carattere sincopato ed esuberante della band oltre che del suo frontman (nella prima stesura della sceneggiatura, pare, Mercury moriva all’incirca a metà film).

La sceneggiatura firmata Anthony McCarten è il vero tallone d’Achille dell’opera e, più che una traduzione della Storia in Cinema, appare come un progetto studiato a tavolino pieno di forzature e momenti concepiti per ricercare la commozione a ogni costo. Così facendo, però, lo sceneggiatore ammanta di tedio e pochezza un racconto che procede faticosamente tra musica, vita pubblica e privata e quando il tutto giunge alla bellissima (quella sì) ricostruzione del Live Aid, ormai lo spettro del disinteresse ha preso il sopravvento sull’annoiato spettatore.

Fotogramma di Bohemian Rhapsody
Fotogramma di Bohemian Rhapsody

Se si sorvola sull’imbarazzante moralismo kitsch del tema della morte in nome dell’arte, la faciloneria con cui è stata affrontata l’omosessualità di Mercury (quasi più un tributo al politicamente corretto che una perlustrazione di una personalità tormentata) e le performance blande (Rami Malek è un bravo attore, ma è l’interprete sbagliato per un ruolo come quello di Mercury, e il peso ingombrante della figura dell’animale da palcoscenico che fu si avverte in ogni inquadratura), l’unica cosa per cui Bohemian Rhapsody può essere tollerato fino alla fine sono l’ottima attenzione nella costruzione dell’immagine di Bryan Singer e, banalmente, le musiche dei Queen.

Note positive

  • Regia di Bryan Singer
  • Le musiche dei Queen

Note negative

  • Sceneggiatura inutilmente retorica, forzata e superficiale
  • Ritmo tendente alla noia
  • Performance attoriali molto poco ispirate

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