Brotherhood (2021): L’unione di tre fratelli e il rispetto per il padre autoritario

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Brotherhood

Titolo originale: Brotherhood

Anno: 2021

Paese: Repubblica Ceca, Italia

Genere: documentario

Produzione: Nutprodukce, Nefertiti Film, Rai Cinema

Distribuzione: Deckert Distribution

Durata: 97’

Regia: Francesco Montagner

Sceneggiatura: Francesco Montagner

Fotografia: Prokop Soucek

Montaggio: Valentina Cicogna

Trailer di Brotherhood

Brotherhood è un documentario del 2021 del cineasta trevisano del 1989 Francesco Montagner laureatosi presso la rinomata scuola di cinema FAMU, situata in Repubblica Ceca a Praga. Nel 2014 ha presentato al pubblico la sua opera prima incentrata sul famoso animatore italiano Simone Massi, intitolata Animata resistenza, con cui ha ottenuto il prestigioso premio cinematografico come miglior documentario al Venice Classics Award. Montagner, insegnante presso la FAMU, trascina con Brotherhood il suo pubblico entro una storia familiare bosniaca. La pellicola viene presentata in anteprima mondiale il 9 agosto 2021 al Locarno Film Festival.

Trama di Brotherhood

In Bosnia ed Erzegovina seguiamo la vita di tre giovani fratelli, Jabir, Usama e Uzeir, nati in una famiglia di pastori. I ragazzi crescono all’ombra del padre autoritario invalido Ibrahim, un predicatore islamista piuttosto severo e radicale, che vive la propria vita seguendo le leggi iscritte del Corano, il proprio libro sacro. La loro vita cambia quando Ibrahim viene condannato a due anni di carcere per terrorismo, essendo andato in Siria illegalmente. L’uomo così, prima di abbandonare la propria famiglia, impartisce degli ordini ai suoi figli affidandogli dei compiti, doveri che andranno a cambiare radicalmente la vita dei figli.

Figli miei, sapete che mi hanno condannato a 23 mesi di prigione. Mentre sarò via, voglio che facciate quello che vi dirò adesso. Jabir, tu sei responsabile della casa, perché lavori. […] Usama, tu ti occuperai delle pecore. Devi venderle per la carne. Accudiscile fino al mio ritorno. Spero che farai un buon lavoro. E tu, Useir, voglio che studi tanto, vai avanti, mi raccomando. Quando sarò tornato avrai finito le medie.

Brotherhood
Il padre e i figli in BROTHERHOOD
Il padre e i figli in BROTHERHOOD

Recensione di Brotherhood

Brotherhood si apre all’interno di un mondo semplice e naturalistico, dove la vita procede scandita da momenti ripetitivi e quotidiani, basati sulla dedizione e l’affetto verso l’altro. La pellicola fin dalla prima sequenza ci fa udire il suono delicato di un ambiente privo di qualsiasi mezzo industriale, ma in cui è udibile solo il rumore degli animali come quello delle pecore a cui un giovane ragazzo fa da pastore. Il panorama stesso è ben lontano da quello ricco e fastoso delle città o paesini europei ma ci vengono presentate delle abitazioni spoglie e incompiute, dimostrando, attraverso questi semplici dettagli scenografici, la situazione economica della famiglia, di una famiglia che per sopravvivere deve svolgere l’attività di pastore, mansione che toglie tutte le energie fisiche e mentali al lavoratore. In un luogo complesso per vivere e per crescere, a riscaldare l’animo dei giovani c’è l’amore fraterno che ognuno di loro dimostra verso l’altro, un amore inizialmente piuttosto infantile basato su giochi e battute, ma proprio questo rapporto fraterno verrà inevitabilmente scosso dalla tragedia del padre, condannato a ben ventitré mesi di prigionia in Bosnia, che costringerà inevitabilmente i giovani a crescere e cambiare rapidamente. All’interno di quasi due anni, il cineasta difatti riesce perfettamente a mostrare l’evoluzione fisica e psicologica di ognuno di questi personaggi con un tocco malinconico che si adatta bene alla narrazione, mostrata attraverso un uso di una macchina a mano e un assenza di una vera e propria colonna sonora esterna.

La narrazione pone al suo centro un tema importante: la libertà dei figli dal volere della propria famiglia, ponendo una domanda – riflessione al pubblico: un giovane è libero di divenire ciò che è all’interno di alcuni contesti complessi? Questa domanda viene sviscerata perfettamente all’interno del documentario attraverso un modus narrativo assolutamente interessante. Non vediamo quasi mai il padre insieme ai figli ma vediamo spesso e volentieri i fratelli insieme in compagnia delle pecore o sotto la luce notturna o al calore del fuoco, ma seppure il padre è fisicamente con loro la sua ombra autoritaria rimane presente, tanto che anche quando va in prigione i giovani seguono letteralmente i comandi del predicatore Ibrahim, come se si sentissero in dovere di rispettare il volere della loro autorità familiare, anche se non vorrebbero seguire quella strada e destino che sembra essere già scritto per loro.

Due fratelli in Brotherhood
Due fratelli in Brotherhood

Nell’arco dei due anni i tre ragazzi crescono e scoprono in maniera intima la propria individualità ma non riescono mai a essere totalmente liberi, tanto che i loro sogni e aspirazioni sono bloccate dalle decisioni del padre, decisioni dittatoriali a cui non hanno diritto di parola. Usama a fine scuola desiderava andare in Australia con un suo amico e viver lì, ma ora si trova a dover crescere come pastore e ad abbandonare la scuola contro la sua volontà. Oppure il più giovane è costretto a dover studiare quando non ha nessuna voglia di farlo. Anche il rapporto fraterno si evolve nell’arco del lungometraggio insieme alla crescita e al cambiamento di ognuno dei caratteri, tanto che se inizialmente appariva un rapporto ingenuo e giovanile, alla fine tutti e tre sembrano comportarsi e agire come uomini in cerca di una loro individualità, che però è creata dagli ordini paterni. Il punto centrale dunque è come si può diventare uomini felici in un ambiente in cui vige una figura altamente autoritaria?

La prima idea di realizzare questo film nacque quando scoprii la famiglia Delić in un reportage televisivo. La storia di tre fratelli, tre ragazzi inseriti in un contesto bucolico, quasi arcaico, pastorale, che devono fare i conti con un padre radicalista islamico. Quel servizio mi ha spinto a pormi delle domande: chi sarei diventato da adolescente se fossi cresciuto con un padre forte e autoritario come Ibrahim? Avrei seguito le sue orme o avrei scelto un’altra via? Che forma di mascolinità avrei assunto? Avrei deciso di ribellarmi al suo essere autoritario?

Brotherhood

L’ultimo atto con il ritorno del padre lì mostra diversi da quelli che l’uomo aveva visto due anni prima ma nonostante ciò la situazione appare essere identica a quella pre – partenza dove Ibrahim critica i figli Jabir, Usama e Useri per aver svolto malamente i loro doveri e li costringe nuovamente a seguire nuovi ordini che li vieta di essere liberi e di scoprire pienamente la propria individualità, che si svela ma rimane imprigionata dai doveri familiari e culturali, di una cultura fin troppo radicale. Il tutto termina con una scena finale piuttosto incantevole e che sembra andare a spezzare il circolo vizioso a cui i giovani sono costretti a vivere.

In Brotherhood, nonostante un ritmo a tratti eccessivamente lento, è apprezzabile il lavoro di sceneggiatura e di regia, dove la macchina da presa è al servizio della storia e il cineasta non interagisce mai all’interno del racconto audiovisivo ma il tutto può apparire al pubblico come un lungometraggio di finzione sia per la struttura di sceneggiatura divisa in tre atti, sia per il fatto che i giovani ragazzi mostrano una grande tranquillità nello stare davanti alla macchina da presa sembrando veramente attori navigati. Complimenti a Francesco Montagner che ha portato sugli schermi una storia importante di non libertà familiare.

Note positive

  • Fotografia
  • Regia

Note negative

  • Ritmo fin troppo lento, probabilmente alcune scene potevano essere tagliate.
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