Basato sul romanzo bestseller di Joyce Carol Oates, Blonde reimmagina con coraggio la vita di una delle icone più durature di Hollywood, Marilyn Monroe. Dalla sua infanzia instabile come Norma Jeane, attraverso la sua ascesa alla celebrità e i suoi intrecci romani, Blonde confonde i confini di realtà e finzione per esplorare la divisione sempre più ampia tra il suo io pubblico e quello privato. Scritto e diretto da Andrew Dominik, il film vanta un cast guidato da Ana de Armas e con Bobby Cannavale, Adrien Brody, Julianne Nicholson, Xavier Samuel ed Evan Williams.
Le dichiarazioni
Questo è un progetto che è durato molti anni per quanto ti riguarda, perché hai questo interesse, così profondo, per la storia di Marilyn Monroe?
Andrew Dominik – Regista: Alcune cose hanno una grande emotività, ci sono dei progetti che mantengono la tua attenzione per un paio di anni, ma Blonde non mi lascerà mai andare. Sono anni che continuo a tornare a Blonde e anche quando sembrava di non riuscire ad arrivare al dunque, di fatto, era ancora lì, ma sostanzialmente la risposta è il libro.
Il personaggio ha come nome Jeane o Marilyn Monroe, come ha cercato di trovare il bilanciamento tra questi due personaggi così diversi? Inoltre abbiamo una distinzione tra Marilyn e Norma, abbiamo Marilyn che è così iconica, invece per quanto riguarda Norman sappiamo così poco di lei, quindi come hai fatto creare questo personaggio?
Ana De Armas – Attrice: Credo che la maggior parte del film ci concentra sulla figura di Norma Jeane, credo che sia sua la storia e poi ovviamente, soprattutto un paio di volte, compare Marilyn Monroe, alla fine è sempre la solita persona. Ritengo che i due personaggi avessero bisogno l’uno dell’altro, alimentandosi a vicenda. E’ molto difficile da spiegare il processo che mi ha portato a interpretarli. Avevo un collegamento molto forte con i due personaggi dal punto di vista emotivo e quindi non ho avuto una decisione consapevole se in quella scena sarebbe stata più Norman o più Marilyn, è qualcosa che semplicemente è successo. Ovviamente tutto è stato difficile.
E’ stato un processo molto lungo e immersivo, non ero molto consapevole della figura di Marylin, conoscevo alcuni dei suoi film ma per me è stata una grande scoperta, un processo di apprendimento che è cominciato con il libro e con la sceneggiatura e poi ho lavorato mesi con il regista Andrew per impararla a conoscere. La maggior parte del film è tratta da quei momenti che noi non conosciamo, ovvero quello più intimi, più personali, quando le cineprese erano spente. Essendo un personaggio molto specifico volevamo essere molto dettagliati, ricreare quei momenti in cui era Marilyn. Ho avuto anche molto spazio per creare la donna reale dietro a quel personaggio. L’importante è stato comprendere, creare un collegamento con lei, con il suo dolore, con il suo trauma, e se mettiamo da parte la sua storia da star di cinema, era semplicemente una donna come me, aveva la mia stessa età, era un’attrice. È stato un progetto che sapevo che mi avrebbe richiesto di aprirmi e di arrivare in alcuni luoghi anche di gran lunga vulnerabilità, oscuri ed è proprio lì che ho trovato il collegamento con questa persona che lei era. Molto di questo deriva dal dialogo con il regista e la sceneggiatura, volevo trovare la sua verità emotiva.
Perché Marylin è un personaggio così iconico, lei rappresenta le donne su più livello in un modo molto profondo. Dal punto di vista maschile qual è la sua opinione sul perché questo personaggio è divenuto così iconico, come mai abbiamo bisogno ancora di questo modello all’interno dell’universo femminile?
Adrien Brody – Attori: Credo che innanzitutto un racconto come questo, che è così coraggioso, è fondamentale per molti motivi. Abbiamo visto molte consapevolezza nella lotta affrontata dalle donne per molto tempo e ho sempre adorato Marilyn, in parte perché sono molto consapevole del grande divario che esiste tra l’adulazione del pubblico e il rispetto, il riconoscimento, che è così distante da chi lei è, non giunge, e non spende in qualche modo, il suo criterio di essere creativa, di essere realizzata e apprezzata per il tipo di lavoro che lei voleva fare. È una cosa su più livelli, sentita da molti attori, questo divario. Nel suo caso lei è una delle figure di più lunga data, il fatto che sia amata e ammirata da donne e uomini, eppure quella sua lotta interna, la sua tristezza e tutte quelle questioni irrisolte, quei momenti drammatici della sua vita non l’hanno mai abbandonata. È quasi un atto criminale. Sono sempre stato molto attirato da questo aspetto del suo personaggio. Noi siamo molto fortunati, abbiamo una persona come Ana e Dominick che riversano la loro semplicità artistica nella rappresentazione di una cosa che credo, per lo più, non viene complessa da molte persone. Il film mette in risalto una prospettiva interna ed è stato un privilegio aver avuto una piccola parte nel dar vita a questo personaggio, che è di grande significato ed è molto importante per quello che è il suo lascito a noi come comunità.

Forse la cosa più coraggiosa del film è il racconto di questo bambino mai nato, da dove arriva questa scelta?
Andrew Dominik – Regista: Parla di un bambino, che era presente anche nel libro. La figura del bambino è una cosa reale per lei, è una cosa concreta. Una persona non desiderata, un bambino non desiderato, aver una gravidanza è una realtà da affrontare, quindi il suo atteggiamento è molto ambivalente. Da un lato lei vuole avere questo bambino perché le dare la possibilità di salvarsi dal suo stesso trauma, che scopriamo all’interno del film, ma alla fine lei cerca di salvare il bambino da se stessa. Lei deve risolvere alcune questioni, alcuni problemi. Dall’altro lato la sua esperienza della maternità riguarda la sua stessa madre, questa è una storia che dice che avere un bambino distrugge la propria vita, dato che la madre è stata abbandonata ed è impazzita diventando molto violenta. La gravidanza è difficile, dannata se va in una direzione. Per molti aspetti nel film quando la sua vita diventa instabile riappaiono le sue origini, la sua infanzia e la figura del bambino è necessaria alla narrazione, fondamentale per capire chi era davvero Marilyn.
Julianne Nicholson come hai scoperto e interpretato la figura, quasi del tutto sconosciuta, dalle madre di Norma?
Julianne Nicholson – Attrice: Per quanto mi riguarda è iniziato tutto nel libro e nella sceneggiatura, perché molto è già li presente e poi nel dialogo con Andrew. Non ci sono molte informazioni sulla madre, non conoscevo dell’abbandono, della pazzia, della vergogna associata a essere una madre single in quegli anni. Quindi ho cercato una versione. Abbiamo in lei una malattia mentale non diagnosticata, perché è una cosa che le persone ignoravano, soffrivano molto, è un argomento importante, la salute mentale oggi è molto importante più di qualsiasi altra malattia fisica che necessità di essere trattata. Una lettura attiva della sceneggiatura, del libro, il dialogo con Andrew e l’immaginazione mi hanno aiutato.
Ana de Armas cosa hai imparato immergendoti in questo personaggio?
Ho imparato a essere più empatica, ad avere più rispetto verso gli attori che si trovano in certe situazioni, la pressione esercitata anche dai mass media e il danno che può essere provocato. Nessuno è preparato per vivere sotto a questa pressione, con le cose che le persone pensano su di te, su chi tu debba essere per il tuo ruolo, quello che loro vogliono da te. Ho imparato a comprendere un po’ di più tutto questo ed ho imparato a proteggermi di più, evitandomi di mettermi in alcune situazioni. Marilyn era molto forte ed ho tentato di fare il meglio che ho potuto.
Perché è stata scelta Ana? Viceversa come è stata la tua esperienza nelle audizioni, cosa hai fatto per ottenere questa parte.
Andrew Dominik – Regista L’ho vista in un film chiamato Knock Knock ed ho pensato: quella ragazza potrebbe essere Marilyn Monroe, perché le somigliava molto, aveva alcune caratteristiche simili, come quando era sullo schermo noi vedevamo solo lei. Poi ho parlato con Josh e ci sono voluti un paio di anni per organizzare l’incontro, Ana poi ha letto la sceneggiatura e sapevo che doveva essere lei, dal momento in cui l’avevo vista in televisione anni prima. Un po’ come un amore a prima vista; una persona entra nella stanza e avvolte ci vuole solamente un minuto per affrontare difficoltà che quella persona potrebbe portare con sé. Il film è diventato vivo una volta che abbiamo trovato la nostra Marilyn e quando abbiamo fatto lo screen test credo che tutti abbiano pensato che era lei.
Ana de Armas: Ho visto Andrew per la prima volta e mi ha chiesto quanto tempo mi serviva per prepararmi per l’audizione. La scena era quella di Bobby al ristorante, il primo appuntamento. Gli ho risposto che mi ci voleva circa una settimana e non mi sono preparata per l’accento, per la voce. Ho indossato una parrucca terribile, solo per avere il senso di Marilyn, solo perché i miei capelli sono molto scuri e volevo essere un po’ più assomigliante a lei, non tanto per Andrew ma per gli altri presenti che avrebbero visto l’audizione. L’abbiamo fatto ed è andata bene, non è stata l’unica audizione fatta, perché è stato un processo più lungo dove abbiamo fatto dei test, costumi, lenti diverse, le stesse scene diverse, dopo di che è arrivato il vocal coch. Poi tutto è diventato sempre meglio e tutti ci sono convinti.