Conferenza stampa di Delta (2022) – Locarno Film Festival 75

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Il Delta del Po è il teatro dello scontro tra bracconieri e pescatori. Osso vuole difendere il fiume dalla pesca indiscriminata della famiglia Florian, in fuga dal Danubio. Insieme ai Florian c’è Elia, che in quelle terre ci è nato. Travolti dalla violenza cieca, i due si affronteranno tra le nebbie del Delta scoprendo la propria natura, in un duello che non prevede eroi. Questa è la trama del lungometraggio italiano Delta (2022) per la regia di Michele Vannucci che partecipa al 75 Locarno Film Festival. Nel cast troviamo Alessandro Borghi, Luigi Lo Cascio, Emilia Scarpati, Greta Esposito, Marius Bizau, Denis Fasolo, Sergio Romano.

Video integrale della Conferenza stampa di Delta

Il Delta del Po è uno dei quei territori emblematici per raccontare quella che è l’Italia. Tante persone sono tornate lì (intellettuali, registi) per ripercorrere il Po, al fine di raccontare quale sia lo stato del paese, quindi una grande responsabilità: da una parte nel farlo e dall’altra nel voler fare ciò dopo questi anni di pandemia, un film corale e un film estremamente politico.

Michele Vannucci: Il fiume è stato raccontato tanto, tanti anni fa, poi è sparito nella vita delle persone ed è sparito, quindi, anche nell’immagine cinematografica e, come tutti i posti che spariscono dall’immaginario, poi dopo diventano spazi per il disagio. Il film Delta racconta anche questo, cioè racconta come uno spazio abbandonato può diventare una frontiera in cui esprimere le pulsioni più oscure. Io sono arrivato sul delta e sul fiume del Po perché vivevo a Bologna e, come sempre, ho iniziato un viaggio dentro la comunità del fiume raccogliendo testimonianze e, insieme al direttore della fotografia, per due anni siamo stati là, registrando delle interviste, ed erano delle interviste di persone abbandonate, che avevano dei problemi, seppur piccoli per alcuni, ma è uno dei problemi identitari e mi sembrava assolutamente e mi sembrava un occasione unica per ricreare un nuovo immaginario cinematografico in Italia, cioè creare un luogo dell’immaginario nuovo e poter raccontare qualcosa che mi sta sempre a cuore, come una crisi identitaria dei due protagonisti: quello che succede lungo il fiume e quello che sta succedendo in tanta provincia italiana, sarebbe assolutamente cieco non capire questa cosa, ovvero che viviamo in paese in cui molte persone ci sentono abbandonate a loro stesse e dunque ci sentono in diritto di poter commettere prepotenze sull’altro. Così è nato Delta, come uno storytelling che cerca di ridare a una community ciò che mi hanno dato come atto di cercare di stare al servizio delle persone che hanno raccontato le loro vite ed è uno spazio immaginifico unico che abbiamo cercato di sfruttare creando questo western contemporaneo. Come tutti i Western è sempre una sfida che c’è tra l’uomo e la natura quindi, tra cercare di stare dentro la ragione dentro una comunità e poi gli istinti che la natura comunque ci ha dato ed è un viaggio che parte dal ferrarese e va verso il mare.

(Domanda per Luigi Lo Cascio) Quando ha letto la sceneggiatura questo personaggio è simile, inizialmente, a quelli che siamo abituati a vederti incarnare sullo schermo, essendo un personaggio che tiene anche bandolo politico in una società ormai totalmente disgregata ma poi si trasforma in un personaggio veramente epico e quindi mi incuriosisce sapere qual è stata la tua reazione difronte a questa sceneggiatura e a come ti sei preparato a questo cambiamento di rotta del tuo personaggio.

Luigi Lo Cascio: Ma forse bisogna non prepararsi, cioè bisogna preparare tutto prima anche, come dici tu giustamente sono delle cose che magari che erano più consuete espressivamente ai personaggi che ho potuto interpretare, poi c’è quest’oltre, questo andare in un terreno che non si conosce, quello forse conviene proprio non prepararlo, sennò avrei riprodotto qualche cosa che già conoscevo e che mi era familiare che dominavo e che controllavo e che lasciavo essere, quindi io ho seguito quello che la preparazione a cui mi ha portato Michele, un po’ come quando gli atleti preparano la rincorsa nel salto in lungo nel salto, nel salto triplo o nel salto in alto… Si segnano i passi, si capisce che traiettoria fare poi però il salto è una cosa a sé, che si fa nel momento in cui c’è la competizione, nel momento in cui c’è proprio la prestazione atletica. Ieri ho assistito a buona parte della conferenza del Pataffio ed erano molto sincere le persone. C’è stato questo gioco di essere sinceri e di dire la verità come uno veniva coinvolto nel progetto. La cosa che io sinceramente, quando ho letto la sceneggiatura, sono rimasto talmente affascinato, ma lo dico sinceramente, mi sembrava meravigliosa. La sceneggiatura, come si dice di questi tempi, è il progetto e sono andato a incontrare Michele per dirgli “non credo di essere capace”, cioè, gli l’ho detto “ma sei sicuro che sono io?”. È stato il suo sguardo, che c’è anche adesso che c’è sempre, anche senza parole, abbassa la testa per dire sei tu, vedrai fidati di fare questo viaggio, di fare questa esperienza, c’è il film dentro cioè, poi alla fine si ricava anche un film, però la cosa è appunto stare dentro una situazione, stare in un mondo, vivere un certo universo e poi le cose arrivano e in effetti, poi non so quello che ho fatto però io ho fatto quello che potevo.

La sceneggiatura è molto sottile, non lo dovrei dire io però lo dico come lettore della sceneggiatura quando mi è arrivata, non più come l’attore coinvolto nel progetto. La sceneggiatura è molto sottile perché il mio personaggio fa proprio questo anche, non è soltanto che un personaggio pacifico, lui di lavoro fa tenere in equilibrio la terra e l’acqua, lui sta in uno stabilimento in un impianto idrovori, in cui per tutto il tempo deve seguire le precipitazioni, quindi le piogge per vedere come si sposta perché quello è un luogo paludoso, che, già di per sé, può, da un momento all’altro, essere sommerso, si può essere sommersi. Colui che era così bravo a regolare questa cosa poi con se stesso non è stato capace di adottare la stessa, perché quando si va oltre l’uomo aspetta soltanto che finisca la calamità e poi conta i danni con dei disastri e progetta un altro futuro però lui e alla fine sommerso da qualcosa che è più grande di lui.

Da destra Luigi Lo Cascio, actor; Greta Esposito, actress; Michele Vannucci
Da destra Luigi Lo Cascio, actor; Greta Esposito, actress; Michele Vannucci – ©Locarno Film Festival

Faccio una domanda che è sia per Michele che per Alessandro. Il vostro rapporto nasce da tanto tempo e quindi posso immaginare che anche questo film se era già nato con l’idea di Alessandro che interpretava Elia e anche dal punto di vista di Alessandro abbiamo parlato di un oltre, il tuo personaggio è in quell oltre, lo è quasi dall’inizio del film. Lui sembra aver scoperto uno spazio una dimensione che noi non conosciamo ed è lui a strappare quello che è un film realista e trasformarlo in un film western e quindi come avete costruito insieme il personaggio e anche questa difficoltà di essere quasi senza nome, senza famiglia senza nulla, come nei vecchi western.

Regista: Esistono degli incontri che ti cambiano la vita l’incontro con Alessandro per me è stato questo perché l’ho incontrato dieci anni fa mentre facevo il diploma al centro sperimentale e da quel momento è nata in me la voglia di scrivere con lui attraverso un’idea di cinema che condividiamo innanzitutto. Elia è anche questa idea da di cinema dove non è obbligatorio spiegare tutto, un’idea di cinema che si sottrae ai broadcast, a questo bisogno di essere didascalici di essere sicuri che tutti capiscano. Io amo il cinema che è mistero, che ti avvicina un personaggio cercando di afferrarlo come tantissimi western. Quindi la fiducia totale che aveva in Alessandro ha permesso anche di rischiare qualcosa in più a livello di sceneggiatura

Alessandro Borghi: Dieci anni fa io facevo il sorvegliante notturno e Michele Vannucci veniva di nascosto in questo posto, che io tenevo h24 per evitare che venisse occupato con la sua macchina da presa, a fare dei provini per quello che sarebbe stato il suo corto di diploma del centro sperimentale, questo è per farvi capire la dimensione in cui io e questo essere umano ci siamo innamorati e appunto uniti da un bisogno di raccontare delle storie. La cosa bella che è accaduta che tu a volte quando la vita ti vuole fare un regalo ti regala un grande amico quando proprio d’andata bene ti regala un grande amico che anche un grandissimo talento, quindi ha detto molto bene, e questa cosa la si è tramutata nel tempo in una sensazione molto bella che ogni volta che lui dice ho scritto un nuovo film io so sempre che è un film che poi faremo con molta fatica o tutta la fatica che c’è in questo sistema completamente sbagliato dove escono al cinema dei film inguardabili e noi invece fatichiamo per far uscire dei film che sono dei film, nel senso più bello della parola, almeno questo mi sento di dirlo da spettatore, non da attore che ha preso parte a questo progetto, come direbbe Gigi e quindi sì, c’è una grande amicizia c’è una grande voglia sempre di lavorare insieme e poi c’è la sicurezza di che si andrà sempre a fare qualcosa di estremamente ambizioso, non per forza produttivamente, questo lo è stato anche produttivamente, ma sicuramente emotivamente perché Michele mette scena e scrive delle cose che richiedono una sincerità e un’onestà emotiva e anche una libertà, che ci consente in qualche modo di mettere quello che è anche nostro a servizio dei personaggi delle storie che raccontiamo. Devo dire che mi sento d’inserire in questo rapporto tra me e Michele anche un terzo che il nostro è un triangolo abbastanza importante che è Matteo, insomma è come se Michele fosse la mente di questa cosa e Matteo fosse gli occhi e io fossi un mero esecutore di quello che è il loro cervello e questo mi fa sentire molto al sicuro cosa che non succede sempre. Mi capita spesso di mettere, non in maniera concreta ma anche semplicemente nella mia testa in dubbio delle scelte che fanno dei registi con cui lavoro, dico io l’avrei fatta un’altra maniera secondo me sta cosa così non viene bene, con loro mi succede mai perché so che abbiamo sempre la stessa visione delle cose.

Elia è un personaggio che è estremamente complesso e stato molto difficile da afferrare. C’è questo aneddoto che rappresenta nella maniera più semplice quello che è accaduto. La prima scena che ho girato è la scena al bar in cui io e Anna ci conosciamo ed era una scena che non riuscivo a fare bene, tanto che c’è nel backstage del film un momento bellissimo dove Matteo e Michele se ne vanno e gli prometto che adesso la faccio bene. Perché io preparo poco le cose non sono capace a prepararle, anche rispetto a quello che diceva prima Gigi, cioè mi piace molto che tutto diventi un po’ una sorpresa anche rispetto all’emotività del personaggio e quindi li non riusciamo a capire questa cosa, poi a un certo punto Michele ha detto che aveva capito, gli ho risposto “Che hai capito?”. Bastava che capivamo che tu stai a fare palo adesso la scena viene e infatti poi per cene e venuta molto bene.

Questo processo è bello e fa parte della necessità di raccontare storie che è il più grande insegnamento, e questo lo dico sempre rischiando di essere ripetitivo, che m’ha dato Claudio Caligari che era un essere umano che raccontava prima di tutto delle storie poi veniva tutto il resto. Questa per me è rimasta e sarà per sempre la necessità primaria all’interno di questo mestiere che per fortuna per me non è ancora un mestiere perché quando lo diventerà cambierò il lavoro.

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