Conversazione con Michel Hazanavicius su CUT! Zombi contro zombi?

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Sinossi

Siamo sul set di un film horror a basso costo e tutto pare virare verso il disastro. Circondato da tecnici stanchi e attori disinteressati, il regista sembra essere l’unica persona dotata dell’energia necessaria per dare vita a un altro film sugli zombi. Ma mentre si prepara a girare una scena decisamente poco entusiasmante, ecco che compaiono dei veri… morti viventi! Un film inaspettato, divertentissimo e imprevedibile dove al centro di tutto c’è l’amore per il cinema, in tutte le sue forme e le sue ossessioni, in tutte le sue favolose, ammalianti, irriverenti stranezze. CUT! Zombi contro zombi è un film ambizioso che inizia in modo catastrofico e si rivela pian piano con lo snodarsi della storia in modo del tutto inaspettato. Si presenta inizialmente come un B movie sugli zombi, poi viene gradualmente dirottato in un adattamento di film di zombi vero e proprio, per trasformarsi quindi in una ‘situation comedy’ e sfociare infine in un nuovo genere che, pur apparentandosi a un finto ‘making of’, riunisce tutte le sfaccettature che il film ha esplorato fino a quel momento in un finale esplosivo. All’inizio lo spettatore si chiede cosa stia guardando, alla fine dice che non solo ha visto un film divertente, ma anche intelligente. O almeno spero! Michel Hazanavicius.

Scopri la recensione del film con il nostro articolo

Cut! Zombi contro zombi
Cut! Zombi contro zombi

Dichiarazioni del regista

Intervista tratta dal materiale stampa del film

Come è nato CUT! Zombi contro zombi?

Era da molto tempo che volevo scrivere una commedia ambientata su un set cinematografico film. Da quando lavoro, ho avuto l’opportunità di osservare durante le riprese molti comportamenti divertenti e di trovarmi di fronte a scene a volte sorprendenti, a volte ridicole, a volte commoventi. Mi piace questo materiale di base: un set cinematografico è una sorta di micro-società un po’ esacerbata, dove i personaggi si rivelano spesso in modo spettacolare. Così, durante il primo lock- down, ho iniziato a raccogliere alcuni appunti e a lavorare su una storia che ruotava intorno all’idea di un piano-sequenza. Poi, per puro caso, ne ho parlato con Vincent Maraval che, molto contento del mio interesse per l’argomento, mi ha detto che la sua società aveva appena acquistato i diritti di un film giapponese, One Cut of the Dead (Ne coupez pas !, 2017), che era molto simile a quello che gli stavo raccontando. Ho guardato il film e l’ho trovato molto bello, con una struttura brillante. Così ho detto a Vincent e Noémie Devide – che avevano scoperto l’originale a un festival – che ero disposto a farne il remake. CUT! Zombi contro zombi è quindi il remake del film giapponese di Shin’ichirō Ueda, a sua volta tratto da un’opera teatrale: Ghost in the box.

È un fan del cinema splatter o di serie Z?

Non proprio. Un tempo guardavo molti film del genere perché li trovavo divertenti, ma non posso dire di essere un vero fan. Mi piace invece l’idea che un regista faccia film, a prescindere dal fatto che ne abbia i mezzi o meno. L’idea che quel che per lui è importante fare, creare. Trovo questo approccio non solo coraggioso, ma anche molto bello. Nel suo genere, il film Ed Wood di Tim Burton è un vero successo. A parte questo, per CUT! Zombi contro zombi ho guardato un bel po’ di film e serie sugli zombi e ho rivisto i film di George A. Romero. L’ambientazione principale può ricordare il centro commerciale di Zombie (1978). Ma poi il mio film non è affatto un film di zombi, non si può dire che sia Ultimo treno per Busan…

Si tratta di un omaggio, come lo sono stati OSS 117 (gli Agente speciale 117)?

Sì e no. OSS 117 è una parodia, e quello soltanto. I personaggi sono degli stereotipi e non si rifanno alla realtà. In questo senso, la prima parte di CUT! Zombi contro zombi può ricordarlo. È vero che mi diverte prendere pezzi della cinematografia mondiale ben riconoscibili e giocarci per creare una dinamica tra il ricordo che abbiamo di questi film e quello che voglio proporre. Trovo sia un sistema favoloso. È il principio di La Classe Américaine, ma anche di The Artist o Le Redoutable. Per tornare alla domanda: sì, c’è una sorta di omaggio al cinema fai-da-te, al cinema senza mezzi, fatto con più energia che denaro, ma il film nel suo complesso è anche, e forse soprattutto, un omaggio alle persone che fanno cinema: agli attori, ai registi, ma anche ai tecnici, agli apprendisti, a tutti. È un omaggio al cinema “mentre lo si crea”, al mestiere del cinema, alla vita quotidiana. In questo senso, è diverso da OSS 117, che non vuole essere un omaggio ai francesi razzisti, incolti, misogini, omofobi e leggermente antisemiti.

CUT! Zombi contro zombi è innanzitutto una commedia.

Sì, innanzitutto. È una commedia forse particolare, ma è davvero una gran buona commedia. Sono stato molto felice di tornare con CUT! Zombi contro zombi come ho potuto fare con OSS 117 o La Classe Américaine, film concepiti essenzialmente per far ridere. Siamo in questo mood. C’è sicuramente una parentela con The Artist e Le Redoutable, che parlano anch’essi di cinema, ma quanto a stile, CUT! Zombi contro zombi è più simile a OSS e La Classe américaine. In aggiunta, qui ci sono diversi tipi di comicità, con elementi completamente sciocchi ed elementi più sofisticati. Anche strutturalmente c’è la parodia della prima parte, la comicità dei personaggi e delle situazioni della seconda parte e una terza parte più ‘vaudevilliana’, ma all’interno delle scene ho voluto inserire molti spunti diversi, risate diverse. Ho cercato di dar vita a un film ricco, nel quale lo spettatore deve essere sollecitato. Cerco sempre di realizzare film che possano essere rivisti e spero che CUT! Zombi contro zombi sia uno di questi. In ogni caso credo che funzioni molto bene, almeno a una seconda visione. In sostanza, non solo vi consiglio di vederlo, ma vi consiglio di tornare a vederlo. Se possibile, più volte. E con altre persone.

Lei ha ripreso l’attrice giapponese che interpretava la produttrice in One Cut of the Dead. Il suo film è molto fedele all’opera originale?

Sì e no. Ho tradito il più possibile per essere il più fedele possibile, perché sono convinto che per adattare bisogna tradire. Naturalmente ho mantenuto la struttura e tutto ciò che mi piaceva, ma ho anche cercato di rimanere fedele all’energia dell’originale, che è stato girato in sei giorni con pochissimi soldi. Abbiamo cambiato gli investimenti, ovviamente, ma CUT! Zombi contro zombi non è stato un film molto costoso. Lo abbiamo girato in sei settimane, con un budget di 4 milioni di euro. Quanto all’attrice Yoshiko Takehara è incredibile. Porta un’allegria che non solo è piacevole, ma anche molto utile a livello narrativo. Si può credere in un progetto come quello del film, se nasce dalla mente di una persona come lei.

Il film è punteggiato da battute poetiche come “Sei una merda, d’accordo? Post-
apocalittica.”, “Sayonara, Braccio-monco.”, “Zombie merdosi. Maledetti / Vi apro in due.”

Sì, infatti. Il punto è che il film è abbastanza intelligente e malizioso da un lato da permettersi di essere abbastanza stupido dall’altro. L’energia del film si prestava, ma non si riduce solo a questo. È più ricco. Per questo motivo mi sembrava equilibrato propendere verso queste idiozie.

Allo stesso tempo, c’è gore, derisione, ma anche un incredibile amore per questi “artigiani” che realizzano film.

Sì, questa è l’idea del film. I personaggi lottano, all’inizio non sono particolarmente brillanti, affrontano i loro problemi, ma a un certo punto entrano in azione e arrivano alla fine. È allora che diventano degli eroi. Il film su cui stanno lavorando può non essere grandioso, ma lo realizzano. Ce la fanno: questo è l’importante. È difficile fare un film, sapete? Anche fare un brutto film è difficile. A volte i critici ci dicono che abbiamo fatto un brutto film. Ma non è così che accade. Ho molti amici registi e non ho mai visto nessuno di loro dire che sta facendo un brutto film. Ogni volta si fa del proprio meglio. A volte, non si è all’altezza del soggetto, si hanno problemi di soldi, non si ha l’attore che si desiderava, oppure l’attore non sa le battute, o ancora piove quando hai bisogno del sole… In breve, ci sono molti problemi su un set e non sempre è possibile superarli. Si può sbagliare. Ma allo stesso tempo può essere una bella avventura umana. Fare film è sempre un’esperienza umana iper-fantastica, in cui per sei, otto, dodici settimane si lavora insieme, si vive insieme e ognuno fa del suo meglio. Il gruppo è più forte della somma degli individui e l’avventura umana a volte è più interessante o più bella dell’oggetto che realizziamo. E questo non è necessariamente un grosso problema. È esattamente questo il tema del film.

Parliamo del vostro casting. Prima di tutto, Romain Duris.

Romain Duris è un attore che adoro e fa parte di quegli attori che migliorano con il tempo. Invecchia bene. È molto bello, molto divertente e desideravo lavorare con lui da molto tempo. È estremamente generoso. Il suo personaggio non è proprio quello del ‘clown bianco’, è più complesso, ma è circondato da casi umani e Romain ha sempre avuto l’intelligenza di lasciare spazio ai suoi partner. Interpreta ciò che c’è da interpretare, senza preoccuparsi del risultato o del fatto che ha il ruolo principale e senza cercare di essere divertente. Questo è estremamente piacevole per un regista. È sempre equilibrato, anche se è pronto a seguirvi in direzioni che non si aspettava. Quella con lui è una vera collaborazione. E poi ha accettato in meno di 24 ore: è sempre bello avere un attore entusiasta che ha voglia di fare. In effetti, il film ha generato un’energia piuttosto allucinante. Quando ho chiamato gli attori, il sì è stato quasi immediato. E sono stati tutti felici di partecipare a una commedia in cui potersi sfogare, una commedia con putridi zombi, ma anche con personaggi che conoscono già bene, visto che appartengono al mondo cinema.

Avete davvero un bel cast.

Sì, è un film con molti personaggi, che sono presenti quasi tutto il tempo. La fortuna è stata avere un gruppo di grandi attori disponibili, tutti felici di essere lì. L’elenco è lungo, ma mi è piaciuto lavorare con ognuno di loro. Finnegan Oldfield l’avevo visto in Selfie e in Le Poulain, ma anche ai César, dove aveva fatto una battuta mitica l’anno in cui ero lì per Le Redoutable. Gli ho proposto il ruolo dell’attore un po’ rompiscatole e lui ha accettato subito. È stato un incontro molto bello, lui è un attore che lavora a fondo sui suoi ruoli, che ricerca, che ha un’energia contagiosa ed è felice di lavorare in una commedia schietta. Soprattutto, come attore ha una vitalità che adoro. Non è mai lento. Lo stesso vale per Grégory Gadebois, con cui avevo già lavorato e che mi piace molto. Era estremamente felice di recitare in una commedia. È un attore che ha una tale umanità… Non lo si sceglie necessariamente per le commedie di genere, ma sa fare tutto. Nel film è esilarante. Raphaël Quenard, l’avevo visto in Mandibules di Quentin Dupieux e in un cortometraggio, ed è perfetto per interpretare un personaggio sgradevole. Ha una specie di follia e allo stesso tempo una freschezza come attore: è un tipo particolare. E poi c’è Matilda Lutz, che abbiamo visto in Revenge e che era perfetta per il ruolo, molto bella come richiede il personaggio, ma con anche una comprensione del genere che le permette di variare e di essere molto sottile nella commedia. C’è pure Sébastien Chassagne, un attore camaleontico che riesce sempre a riportare la sincerità nella commedia, anche nelle scene in cui ha problemi intestinali. Jean-Pascal Zadi, una potenza comica evidente, riesce a far ridere con poco, ma soprattutto è un attore straordinario. Molto preciso, molto intelligente. Lo stesso vale per Lyes Salem, un attore solido, che non cerca di essere divertente, che si fida delle situazioni e che porta ricchezza e spessore. Ci sono anche Agnès Hurstel, Luana Bajrami, Raïka Hazanavicius: interpretano piccoli ruoli, ma portano la loro personalità, la loro modernità, e danno colore al film, che ha beneficiato del loro talento. E poi c’è anche mia figlia maggiore, Simone Hazanavicius, che interpreta la figlia del regista interpretato da Romain Duris. È stato molto toccante e soddisfacente lavorare con lei. Riscoprire mia figlia nel contesto di un film, lavorare con la sua sensibilità, il suo mestiere di attrice… è un’esperienza che mi è piaciuta molto. Inoltre, lei aggiunge un tocco molto speciale al film, che gli conferisce un’altra dimensione.

E naturalmente Bérénice Bejo. Ha avuto molti problemi a convincerla?

In realtà, non c’è nulla mai di ovvio. Ogni film è diverso, ogni personaggio è diverso, non c’è una legge che dice che devo fare tutti i miei film con Bérénice, né che lei accetti tutto quello che le propongo. Inoltre, a dire il vero, per questo film prima avevo pensato che non fosse lei la persona giusta. Le ho detto che non avremmo fatto questo film insieme. Avevo immaginato un personaggio più duro, per un’attrice come Blanche Gardin, ad esempio. E poi le ho chiesto di leggere il copione. Le piaceva e aveva un modo di apprezzarlo che mi ha convinto e che sarebbe stato eccellente in questo ruolo. Alla fine, nel film è imperiale. È un’attrice straordinaria, che non ha trucchi, parte da zero ogni volta. Lavora molto sui suoi ruoli – non solo fisicamente – ma arriva sul set con un’enorme disponibilità, il che significa che possiamo davvero lavorare, cercare, migliorare. Porta anche molta umanità, rispetta sempre il personaggio, senza cercare l’effetto, il che arricchisce la commedia. È una di quelle attrici così brave da poter interpretare molti personaggi diversi: basta spingere un po’ per passare alla commedia. È sempre difficile parlare bene della persona che si ama nel contesto della promozione di un film, perché ci si rivolge a noi come a una coppia; quindi, c’è qualcosa d’immodesto che sa di autocompiacimento. Ma qui sto parlando dell’attrice Bérénice Bejo, quindi va bene così. E ora che pratica il Krav Maga, preferirei dire qualcosa di buono su di lei.

Il film racconta “la storia di una famiglia”, ma è anche “una storia di famiglia”. È piuttosto metaforico.

Molto metaforico. Mia moglie interpreta la moglie del regista. Mia figlia interpreta la figlia del regista. È in linea con il soggetto. Ma il film è metaforico, a molti livelli. È una costante rievocazione. Le riprese di un film all’interno del film che a sua volta racconta la storia di una ripresa cinematografica, il remake di un film giapponese che racconta la storia del remake di un film giapponese, attori che interpretano attori, scene viste da più angolazioni, persino noi a volte ci siamo persi durante le riprese…

La scommessa del film è temeraria. C’è questa prima parte che dura circa trenta minuti, poi il controcampo che viene dopo, che spiega tutto e decuplica le risate.

Questo è stato uno dei problemi della versione originale, in cui alcuni spettatori hanno apparentemente abbandonato la visione molto rapidamente. È difficile realizzare un film che deve essere percepito come “un film non riuscito”, rimanendo comunque una visione divertente. Cercare di inserire troppe battute avrebbe nuociuto all’intera opera, doveva essere un brutto film, ma accontentarsi di fare un film non bello significa correre il rischio di fare solo un film non bello… Questo film ha una struttura particolare, che doveva essere rispettata.

La prima parte è un vero piano sequenza?

Si tratta di un vero e proprio piano sequenza di 32 minuti, con solo un piccolo taglio, che ho dovuto fare per una ragione tecnica. Ma ci sono riuscito proprio perché è stato pensato, girato, eseguito come un piano sequenza. Non sono mai stato ossessionato da questo tema come Gaspar Noé o Alfonso Cuarón. Non è mai stato il mio Santo Graal, anche se è ovvio che spesso ha una grande forza narrativa. Ne ho fatte alcuni, ma per le commedie in particolare tendo a tagliare per ottenere il meglio da ogni inquadratura, per mettere in risalto gli attori, per controllare il ritmo, ecc… In questo caso, abbiamo dovuto affrontare questo esercizio, con l’aggiunta della specificità di farlo apparire negativo. Ovviamente, contenendo il fallimento, poiché prepara alla parte successiva. Così ho fatto lo storyboard di tutto. Alla fine, vedo questo piano sequenza come 250 inquadrature collegate da un unico movimento della macchina da presa. E poi abbiamo lavorato con gli attori. Abbiamo provato per cinque settimane su sei di preparazione. Gli attori sono venuti sul set ogni giorno, così come Jonathan Ricquebourg, il direttore della fotografia, che si è occupato delle luci e delle inquadrature. Le cose si sono evolute. Quindi ho rifatto lo storyboard, in modo che ogni movimento, ogni posizione della macchina da presa, ogni tempistica fosse provata e riprovata finché non è stata integrata da tutti. Durante l’ultima settimana di preparazione, abbiamo lavorato con i macchinari, gli effetti speciali, le controfigure, il trucco e i costumi. Avevamo sangue finto, decapitazioni, personaggi che si trasformavano in zombi con pochi secondi per il cambio di trucco, protesi, lenti, ecc… Abbiamo coreografato tutto, in modo che fosse il più preciso possibile in termini di movimenti e tempi. Alla fine, abbiamo girato in quattro giorni, con il piacere di fare ogni volta una performance. Ma la ripresa migliore è stata quella del pomeriggio del quarto giorno. E devo dire che l’intero team era mirabilmente unito, e ciò che abbiamo vissuto non è poi così lontano da ciò che viene raccontato nel film. Da Jonathan Ricquebourg, un giovane e talentuoso direttore della fotografia, a Julien Decoin, il primo assistente, per non parlare dello scenografo Joan Le Boru, di Vesna Peborde, della truccatrice e di Margo Blache, la parrucchiera: sono stato fortunato ad avere un team tanto affiatato quanto talentuoso.

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