David Depesseville su Astrakan “Ho proceduto per archetipi o scene primitive”

Presentato in anteprima mondiale al Locarno Film Festival 2022 all’interno della sezione Concorso Cineasti del presente, Astrakan è l’opera seconda del cineasta francese David Depesseville, attore e regista che nel 2013 realizzò la sua opera prima di soli 53 minuti dal titolo La dernière plaine. La sinossi della pellicola, che verrà distribuita martedì 9 agosto al Pala Cinema 1 di Locarno, è: “Samuel è un orfano dodicenne dall’aspetto selvaggio. È stato collocato per alcune settimane nel Morvan con Marie, Clément e i loro due ragazzi. Samuel si emancipa, scopre le sensazioni e i guai della sua età, ma molto rapidamente deve anche affrontare i segreti di questa nuova famiglia. Finché, un giorno, tutto viene trasfigurato”.

Il regista francese Depesseville ha dichiarato alcune interessanti affermazioni:

Qual è l’origine di questo strano e bellissimo titolo, Astrakhan ?

Astrakhan è questa lana nera che proviene da agnelli uccisi nel grembo materno poco prima della nascita. Si facevano cappotti, manicotti… Oggi fortunatamente è vietato. Stavo cercando il nome di un soggetto per un titolo. Questa parola mi è affascinava da molto tempo, con il suo lato antiquato e un po’ triste. Gli associo tutta una fantasia: la sensazione del suo tocco, l’agnello e quindi il bambino sacrificato, i suoi echi religiosi con l’agnus dei… Per me, Astrakhan porta l’idea del racconto, dell’anatra zoppa o della pecora a cinque zampe, del familiare che resta separato. E poi mi piace l’idea che possa essere il nome di un paese che non esiste.

Astrakan ©Simon Beaufils - ©Locarno Film Festival 2022
Astrakan ©Simon Beaufils – ©Locarno Film Festival 2022

Se sappiamo che la tua storia si svolge nel Morvan, molte cose rimangono infatti poco situate, sia nello spazio che nel tempo.

Sono i poteri di evocazione che mi interessano. Volevo sfuggire alla tendenza del naturalismo a registrare tutto: tempo, luogo, situazione. Non sottraendo ma piuttosto aggiungendo. Sono presenti diverse epoche, a strati. Il mondo di Astrakhan è un mondo in cui si parla ancora del DASS, anche se non esiste più, ma in cui si scambiano euro. È un mondo in cui si guarda un film con Brigitte Lahaie ma su uno schermo piatto, un mondo in cui il cellulare compare una sola volta, in un ambiente datato, una strada congelata nel tempo come offre ancora il Morvan. Questo è uno dei motivi per cui ho voluto girare lì. Mi piacciono questi attriti temporali. L’era del film doveva diventare quella dell’infanzia e non un’altra. A questo è legata anche la scelta dei 16 millimetri, che permette di disturbare questo rapporto con la temporalità. Non solo per omaggiare i film che mi hanno ispirato nel cinema, ma per me c’è un forte rapporto tra infanzia e cinema: l’infanzia dell’arte, forse…

Il Morvan è una regione che conosci da molto tempo?

Vengo dalla Borgogna, da Nevers, quindi proprio accanto. Il Morvan è una regione in cui sono stato e continuo ad andare spesso. Qui è dove è stata girata Gaby Baby Doll di Sophie Letourneur, per la quale sono stato la prima assistente. Inoltre avevo già girato i miei cortometraggi e mediometraggi nella regione. Sono paesaggi, luci e cieli che mi sono familiari e ai quali sono sensibile. Succede anche che il Morvan sia stato a lungo una terra di accoglienza per gli orfani. Mi interessava scrivere la mia storia, lontanamente ispirata a Morvandelle, in luoghi reali. Penso, ad esempio, al cimitero davanti al quale passano i personaggi dopo la messa, sul quale Samuele fa una domanda: le tombe che ci sono le vere tombe degli orfani della regione.

Astrakhan è la storia di un ragazzo adottivo, Samuel, 13 anni, che somiglia poco ai bambini del cinema che conosciamo: non è molto amichevole, né soprattutto molto amato…

È vero che Samuele non ottiene un sostegno immediato. Abbiamo pochissimo accesso a lui. Sono partito da qui con uno sforzo, più che una seduzione, per non ridurre Astrakan a un file o a una testimonianza di un film. Da qui l’idea di non mostrare nessuna istituzione: polizia, servizi sociali, scuola… La chiesa è l’unica eccezione. Ma in caso di preoccupazione, la famiglia di Samuel preferisce chiamare un magnetizzatore piuttosto che la polizia. Molti film recenti sull’infanzia mi sembrano girati dal punto di vista del diritto, applicando quindi un punto di vista adulto. Ho preferito affrontare l’infanzia dal suo punto di vista, e per questo aveva bisogno meno di una storia che di un bagno di sensazioni. Se si riferisce a ciò che ho vissuto all’età di Samuel, ecco ciò che resta: un panorama impressionistico di sensazioni, un insieme di esperienze che sono sia sorprendenti che poco chiare. Ecco perché di questo ragazzo non sappiamo molto: non sappiamo da quanto tempo è in questa famiglia – anche se ci sono segnali che il suo arrivo sia recente non sappiamo come fosse la sua vita prima, non dice più o meno come sono morti i suoi genitori… Mi piacciono i film che hanno bisogno di uno spettatore che li riempia. E questo mi sembra solo per ripristinare lo stato dell’infanzia.

Proprio come Samuel è un estraneo per questa famiglia, questa stessa famiglia ci sembra essere un estraneo, capace sia di preoccuparsi di portarlo a scuola sulla neve sia di picchiarlo. Si può anche avere l’impressione che ci sia una leggera sproporzione tra il comportamento di Samuele e l’esasperazione dei genitori nei suoi confronti. Lei è ricercata. Moralmente, è in questa via di mezzo che ho voluto situarmi.

David Depesseville  -©Locarno Film Festival 2022
David Depesseville -©Locarno Film Festival 2022

Stavi parlando di sensazioni… Quali erano, per te, presenti fin dall’inizio?

I bambini sono spesso ridotti al ruolo di veggenti, nel cinema. Qui è sollecitato tutto il corpo: l’intestino, l’epidermide, il respiro e perfino il cervello. Ho proceduto per archetipi o scene primitive: la prima uscita al cinema, la lezione sulla neve, la prima storia sentimentale, la fattoria, il latte… Tanti momenti e luoghi che continuano a risuonare per tutti e che cerco di trascinare da qualche parte altro. Parto da situazioni condivise, in cui introduco lievi perturbazioni: al cinema, Samuel viene picchiato; a lezione di neve sorprende il suo istruttore facendo l’amore… Costruisco così poco a poco una sorta di ex voto fatto di cose che possono sembrare disparate e che, comunque spero, finiscano con “fare il mondo” o “fare l’infanzia”.

Si vedono mutande sporche, si parla di gabinetti intasati… Il sesso c’è, anche con il rito dell’ostia del prete, e poi l’alba macchiata, le forbici… Molto presto l’ho sentito in digitale, l’oscenità sarebbe stata inevitabile e quindi problematica, mentre la morbidezza del film permetteva di sottrarsi a essa, poiché permetteva di unire l’impuro e il sentimentale, il lirico e il prosaico. Credo che questa presenza della sessualità risponda a una preoccupazione di veridicità in relazione a un’età in cui non si padroneggiano queste cose, ma dove tutto diventa segretamente o inconsciamente sessuale. Nelle storie che ho letto su questi bambini in affido, la sessualità è significativa: problemi di abuso, storie con il piccolo vicino o tra bambini… Come risolvere tutte queste domande mettendo in scena? In questa prospettiva, Astrakhan era davvero pensato come un film per il cinema, con ciò intendo dire che l’immaginazione di Samuel doveva unirsi alla mia immaginazione di cinefilo.

Astrakhan si conclude con dieci minuti di apoteosi musicale…

Mentre fino ad allora non sentiamo musica. Questo finale l’ho voluto e l’ho scritto molto presto. Per un po’ se ne parlava addirittura della durata di mezz’ora. Si tratta, spostandosi verso una sorta di puro onirismo, di fare in modo che il cinema permetta a Samuel di sfuggire alla sua condizione, che raggiunga improvvisamente uno status superiore, una sorta di trascendenza… I film di montaggio di Artavadz Pelechian mi toccano molto per quello. La rottura non è totale con il resto del film, ma l’esistenza di due regimi d’immagine è importante. Questo finale in cui tutto si confonde, invita lo spettatore a rivedere il film, a rileggerlo per capire che ha visto più cose di quanto avrebbe potuto pensare fino a quel momento. L’aspetto dell’agnello gli chiede di recuperare il film dopo il fatto , ed è una cosa che generalmente mi piace al cinema. Samuel ha appena visto il magnetizzatore, all’improvviso tutto gli si agita nella testa. Ci si aspetterebbe poi immagini della sua vita prima che emerga questa famiglia affidataria, e invece no: tutto ciò che ritorna è già stato visto. C’è una semplice ragione per questo: il film e Samuel sono per me la stessa entità

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