Dichiarazioni di Roberto De Paolis sul film Princess (2022)

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Presentato a Venezia ’79 all’interno del concorso Orizzonti, Princess è un film del 2022 per la regia di Roberto De Paolis con Glory Kevin distribuito, grazie a Lucky Red, il 17 novembre 2022 al cinema.

Cosa ti ha portato a interessarti al mondo delle prostitute nigeriane, e come e quando ti è stato chiaro che questo sarebbe stato il soggetto del tuo prossimo film?

La prostituzione di strada mi ha sempre affascinato, mi è sempre sembrato un mondo a parte, un mondo folle, assurdo, estremo. Una metafora perfetta di certe questioni umane. Pensare che due persone raggiungano la massima intimità fisica senza nemmeno sapere i reciproci nomi, mi sembra riporti tutto a un piano quasi primordiale, animale, istintivo. Eppure ci sono di mezzo i soldi, e il potere. Nella mia vita non sono mai andato con una prostituta di strada, poi, iniziando la ricerca per scrivere, mi sono fermato a conoscerle: abbiamo parlato, mi hanno svelato i luoghi in cui “lavorano”, abbiamo mangiato insieme da McDonald’s, siamo andati in chiesa la domenica. Sono entrato nel loro mondo, tramite la magia del cinema

Come ti sei avvicinato alle protagoniste del film? È stato un processo lungo? E quali sono state le sfide nell’aver accesso e nel conquistarti la loro fiducia?

Penso sempre che l’unico modo sia quello di mettersi sullo stesso piano con la persona con cui si entra in relazione: se vuoi che gli altri si raccontino, inizia a raccontare di te, se vuoi che aboliscano il giudizio, aboliscilo tu per primo. Se non vuoi che abbiano paura di te, non aver paura di loro. Seguendo questa semplice regola d’oro, onestamente non ho mai trovato molte difficoltà.

Come hai incontrato Glory Kevin, e quanto ha contribuito alla creazione del film? Avete lavorato insieme alla sceneggiatura? Che ruolo ha giocato l’improvvisazione?

Ho incontrato Glory per strada, abbiamo trovato i personaggi protagonisti tramite street casting, tranne che per i tre attori professionisti (Lino Musella, Maurizio Lombardi e Salvatore Striano). Glory inizialmente era molto diffidente, non capiva cosa volessimo da lei, nel tempo abbiamo stabilito una fiducia e lavorato molto insieme. Il personaggio che avevo scritto prima d’incontrarla – che era comunque basato sulle testimonianze di tante prostitute africane – si è “adattato” a lei, abbiamo “scritto” insieme provando le scene, parlando della sua vita, della strada etc. Lei si è sentita libera d’intervenire, di cambiare le cose, e di questo vado molto fiero: la libertà che le abbiamo dato di autorappresentarsi, di raccontare la sua storia, è molto importante, forse era la prima volta che le veniva concessa tanta libertà, tra l’altro da un team di lavoro composto tutto da italiani.

Fotogramma del film Princess
Fotogramma del film Princess

Parlaci della foresta dov’è ambientato gran parte del film: dove si trova? È un luogo reale o immaginario? Come è diventato un elemento chiave del film?

La foresta è un posto reale dove le ragazze nigeriane si prostituiscono da anni, vicino Roma, a Ostia, sul mare. È una bellissima foresta dove alcune ragazze costruiscono casette, altre fanno fuochi, si consumano rapporti all’aperto, sui prati, vicino agli alberi. Mi è sembrato subito il luogo ideale per il film, un luogo magico che ci aiutava a raccontare la favola di Princess, un luogo primitivo, lontano dalla società, che rappresentava bene l’emarginazione delle persone immigrate. Un luogo immaginario e reale al contempo, fatto di anime perse, animali, prede e cacciatori.

Come ha preso forma la storia in termini di narrazione? E come hai bilanciato realtà e fiction?

Credo che una storia debba sempre contenere un movimento, un cambiamento, anche se piccolo o solo interiore, una presa di coscienza. Più si racconta il reale, più il cambiamento è sottile, impercettibile. Parlando di prostituzione una storia che mi è subito sembrata credibile era quella di una ragazza che inconsapevolmente è arrivata a un punto di rottura con la strada: non ha alternative, è l’unica risorsa possibile per sopravvivere, ma dentro di sé sente che si sta disintegrando e che deve cambiare vita. Ma come?

In che modo hai integrato gli attori e le ragazze non professioniste? E come hai lavorato, prima e durante le riprese, sulla relazione tra Princess e Corrado?

A me piace lavorare con i non professionisti perché obbligano i professionisti a fare un lavoro nuovo, di esplorazione, di fatica, di messa in discussione più personale. Ai professionisti ho detto: non pensare al personaggio ma a come reagiresti tu in questa situazione se ti succedesse veramente. Le ragazze nigeriane erano fuori controllo, cambiavano tutto, noi tentavamo di non perdere terreno, io cercavo di adattare il resto del film a quello che facevano il giorno prima. Credo che delle battute della sceneggiatura sia rimasto al massimo il 20%. Per me le riprese sono così, devono andare contro la sceneggiatura, distruggerla.

Hai mai sentito di correre dei rischi nel raccontare il mondo della prostituzione?

Se non avessimo ascoltato a sufficienza le ragazze nigeriane avremmo corso diversi rischi. Se avessimo seguito unicamente il nostro punto di vista, sarebbe uscito un ritratto stereotipato, plastico, pietistico, magari punitivo, o forse troppo leggero. Io sento di aver trovato un equilibrio giusto, soprattutto grazie all’apporto della ricerca, dello studio, del lavoro sul campo e del rapporto creativo con le protagoniste del film.

Il film è sempre al fianco di Princess, immerso nella sua realtà, ma evita ogni giudizio e ogni tentazione di pietismo sul mondo della prostituzione: come sei riuscito a ottenere questo risultato? Hai avuto dei modelli che ti hanno ispirato?

Gli immigrati sono spesso ritratti come delle persone buone, buonissime, tipo dei bambini innocenti. Forse è un modo di lavarsi la coscienza perché a livello politico vengono trattati malissimo. Io volevo che questo personaggio venisse fuori a 360 gradi, con la sua bellezza e la sua rabbia, con il suo coraggio e la sua paura. Gli immigrati sono persone reali, con problemi e fratture a volte molto più gravi delle nostre, è bene prenderne coscienza e smettere di raccontarli in maniera così miope

Cosa spinge un autore a raccontare una storia così lontana dal proprio vissuto?

Per me il cinema è evasione da sé, sia da spettatore che da regista. Se dovessi raccontare i fatti miei – o vederli sullo schermo di un cinema – mi annoierei a morte. Io ho fatto solo due film, ma entrambi su temi che non facevano parte della mia vita e che io non conoscevo per niente. Se si possono fare film in costume ambientati mille anni fa, facendo studi e ricerche appropriate, allora si possono anche raccontare le vite degli altri, di chi è diverso e lontano da sé. A patto di avere la curiosità necessaria per sovvertire le proprie ideologie e i propri pregiudizi, e il coraggio di sposare punti di vista nuovi. E poi non vedo molti neri in giro, almeno in Italia, che hanno la possibilità di fare film, e finché sarà così qualche bianco si deve prendere la responsabilità di raccontare cosa gli accade.

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