Downsizing – Vivere alla grande?

Condividi su
Trailer di Downsizing – Vivere alla grande

Trama di Downsizing – Vivere alla grande

In un tempo presente affatto dissimile da quello reale, il mondo intero guarda alla scoperta come un grande passo, una svolta. La riduzione cellulare può permettere a una comunità norvegese di 36 persone alte 12 centimetri di produrre appena qualche kilo di rifiuti non compostabili in 4 anni. Ma la cinica madre del protagonista non è impressionata:

Sanno rimpicciolire le persone ma non curare la mia fibromalgia. Si preoccupano tanto dell’ambiente come se il mondo dovesse finire domani. Io sto male. Non respiro. Non importa?

cit. Downsizing – Vivere alla grande

A malavoglia, a malincuore, quanto possiamo dire di rispecchiarci in questa frase? Non a parole, forse, ma coi fatti, le omissioni, quanti di noi rinunciano alla raccolta differenziata perché dividere la carta dalla plastica a sera fa perdere mezz’ora di sonno?

Recensione di Downsizing – Vivere alla grande

Coloro che hanno già visto il film, presentato in anteprima al festival di Venezia nel 2017 e insignito di due candidature tra cui quella a un Golden Globe, si saranno accorti della libertà che mi sono presa nell’aggiungere un punto interrogativo al sottotitolo originale italiano.

Downsizing – Vivere alla grande si presenta come una commedia, e ne mantiene i toni lungo quasi tutta la durata; un esempio lampante è proprio la prima sequenza, dove lo spettatore esplora il laboratorio scientifico in cui bianchi roditori stanno per permettere “la più grande scoperta scientifica dopo l’uomo sulla Luna”, e nel frattempo, quasi a macchiettare la stessa, prestiamo l’orecchio all’allegra suite n° 2 in B minore di Bach.

L’uomo sta finalmente per ridimensionare il proprio impatto ambientale sul pianeta: come? Ridimensionando sé stesso.

Downsizing – Vivere alla grande: Tra ambientalismo e sceneggiatura

Il protagonista, Paul Safranek, un fisioterapista occupazionale interpretato da Matt Damon, potrebbe essere uno chiunque fra noi, con la sua relazione, il suo lavoro, la sua quotidiana mediocrità e soprattutto, i suoi debiti. La sua risposta all’analogia egoista che la madre rappresenta, sembra elevarlo al di sopra della media dei suoi simili. “Tante persone stanno male, mamma. In tanti modi diversi.”

Eppure il genuino, quasi infantile stupore che aveva provato dinanzi al nuovo raggiungimento scientifico è destinato a sfociare nella corsa per un ascensore sociale alquanto deludente. La realizzazione di nuovi habitat “mini” è già un business, come lo è la stessa riduzione cellulare di sempre più persone, convinte da ottime strategie di marketing: ti basta vendere tutti i tuoi averi a una compagnia e col ricavato vivere tutta la vita sotto una cupola in un mini – mondo parallelo pieno di comfort e lussi, dal momento che il tuo fabbisogno reale in dollari si è drasticamente ridotto insieme a te. Più che salvare il pianeta, la riduzione “salva le persone da sé stesse, le fa ricominciare da zero”, per citare l’ex compagno di superiori che convince Paul a lanciarsi verso il laboratorio di riduzione con sua moglie. Ben presto però, complice un mini Neil Patrick Harris che mostra abilmente all’audience un set di diamanti per sua moglie da 83$, gli innumerevoli vantaggi assumono sempre più le sembianze di una nauseante lista di narcisismi e superficialità, il cui prezzo da pagare è l’abbandono di amici e parenti rimasti “maxi” e di tutto il passato.

Ho l’impressione di aver scordato qualcosa

cit. Downsizing – Vivere alla grande

Un prezzo che, all’ultimo momento, la moglie di Paul capisce di non voler pagare, lasciandolo solo con la sua nuova vita e in un mondo che, nonostante l’assenza dei debiti che lo hanno fatto penare per anni, non sfama per nulla quelli che Marx chiamerebbe i suoi bisogni di fantasia.

Proprio come un contadino che si vede tutte le certezze trascinate via dall’urbanesimo e si fa operaio, Paul passa da economicamente fallito a umanamente fallito, abbandonandosi quasi adolescenziale a una notte di party e droghe nell’appartamento del vicino affarista dandy Duchamp. Ma qui, una delle domestiche chiamate a ripulire la baldoria il giorno dopo, è un’ex dissidente vietnamita che ha perso una gamba in seguito alla riduzione forzata e che Paul ha visto in tv. Seguendola col proposito di aiutarla con l’orribile protesi con cui è costretta, Paul scopre un mondo nel mini – mondo: una vasta baraccopoli in cui, per molti, nulla è cambiato dalla vita che avevano prima della riduzione.

Inizia per lui, quasi su obbligo della minuta ma ferrea Gong Jiang, un periodo di volontariato tra i bassifondi che però non fa altro che sfinirlo, finché l’occasione di visitare insieme, col vicino dandy, la prima Comunità Ridotta tra i fiordi norvegesi non lo pone davanti alla realtà: il metano che fuoriesce dall’Antartide ha già condannato la Terra a un’imminente estinzione di massa.

Troppo poco e troppo tardi (…) Non è certo una specie di grande successo, questo Homo Sapiens. Malgrado tutta la sua grande intelligenza, ha a malapena 200.000 anni. Gli alligatori sono sopravvissuti 200 milioni di anni con un cervello grande come una noce.

cit. Downsizing – Vivere alla grande

Lo scopritore della miniaturizzazione e capo della prima Comunità, il dott. Asbjornsen, costituisce uno dei centri drammatici del film. Da elemento estremamente positivo a estremamente negativo – ma non per questo privo di messaggi di speranza – i suoi interventi e in particolare questo piccolo monologo marcano il passaggio definitivo di registro del film dal tragicomico al drammatico.

Le piccole simpatiche soundtrack cedono il posto a tappeti di archi o, più eloquenti, silenzi sotto le parole, le quali così acquistano ancor maggiore potere emozionale. Il suo incontro con il gruppetto proveniente dagli USA, sullo sfondo dei fiordi a Trollfjord, rappresenta il confronto traumatico della prospettiva egocentrica di Paul con una realtà circostante grave a cui non aveva avuto il tempo né la voglia di guardare.

Tuttavia l’ego di Paul non si arrende: nonostante una notte d’amore inaspettata con Gong Jiang, che sembra porre i presupposti per un primo legame salubre dopo tanto tempo, ancora il protagonista è preda della ricerca infantile, ossessiva di un finalismo per la sua vita, un finalismo che abbia l’Io come motore immobile e non certo l’Altro, la Collettività, che anzi Paul reputa, quasi serenamente, già spacciata. Così mentre la comunità norvegese si prepara ad andare a vivere per sempre nel rifugio sotterraneo, lo vediamo ancora una volta rinnegare il suo passato e vestire i panni della sua nuova comunità adottiva, in virtù del suo nuovo “senso della vita”: essere uno degli ultimi sopravvissuti umani nella Terra. “Chi sono io? Chi sono io?”

Come risultato di questa spannung, si avrà il prevedibile rovesciamento di questa mentalità, con l’escamotage dell’”ultimo secondo”: il ritorno affrettato a Duchamp e a Gong Jiang non è però del tutto assimilabile a un lieto fine, per ovvie ragioni, ma piuttosto a una nuova prospettiva della situazione di provenienza. Simbolo fortissimo che chiude il film ne è un vecchio signore spagnolo a cui Gong Jiang, tra gli altri, andava a portare da mangiare nella baraccopoli; l’ultima inquadratura è costituita proprio dalla visione di Paul che osserva, dopo avergli porto il pasto ed essersi allontanato, quest’uomo.

Abbandonato, su una sedia a rotelle e un polmone in collasso, che si sfama senza avere un futuro: lui è il correlativo oggettivo giusto per concretizzare l’epifania che la gracile vietnamita ha donato a Paul. “Io ho visto la morte in faccia, io lo so. Quando la morte è vicina, vedi tutte le cose che sono più vicine.” Ossia chi soffre davanti a te, in questo preciso istante. Le persone. Il Pianeta.

A Paul, in definitiva, sarebbe bastato non pretendere di avere un senso così ampio da perdere di vista l’umanità, e sé stesso in essa. L’insoddisfazione lo insegue fin dalla prima scena, e proviene proprio dallo sforzo di voler guardare troppo lontano; di qui l’ossessivo-compulsività di auto-attribuirsi sempre un senso ulteriore, sempre un senso superiore. Di questo, il tema della compravendita capitalistica di benessere che la miniaturizzazione originava, decentrandosi totalmente dall’obiettivo originario di salvare il pianeta, è la massima espressione.

Collegamenti cinematografici 

Possiamo trovare molti collegamenti con il panorama cinematografico preesistente: la componente fantascientifica relativa ai procedimenti per la miniaturizzazione sembra attingere consistentemente da Gattaca: le Porte dell’Universo di Niccol (’97) in particolar modo per l’utilizzo del bianco e della simmetria; I piani sequenza hanno effetto panoramico e sono stati largamente usati per rendere l’idea di una storia all’apparenza individuale ma che in realtà si sta svolgendo all’interno di un quadro assai più massivo e scosso da mutamenti di quanto lo stesso protagonista non si stia rendendo conto. Il film potrebbe inoltre costituire a tutti gli effetti un prequel coerente con Ember – il mistero della città di luce (Kenan, 2008). Giunge una eco dal remake cinematografico del musical Rent (Columbus, 2005): i personaggi, condannati a morte dall’AIDS condividono il concetto di Gong Jiang: “There’s only us / there’s only this / No day but today”. Anche la frase ironica di uno stravaccato Duchamp post-party “America, patria dell’immigrazione e delle grandi opportunità” (riferendosi a Gong Jiang) viene ripreso in Rent con i fraseggi “When you’re living in America / at the end of the millennium / you’re what you own”. Stando a questo, il film, con la sua critica più o meno sotterranea alle sfrenatezze rovinose degli impulsi consumistici, potrebbe venire tacciato di filo-comunismo o radicalismo ambientale, o ancora di fatalismo; ma solo perché ultimamente va di moda dare nomi che fanno paura, alle tematiche scomode.

Alexander Payne, co-sceneggiatore oltreché regista, non ha paura di offrire buona parte della morale del film sul piatto d’argento, attraverso le riflessioni e i dialoghi dei suoi personaggi. Ma, da bravo pubblico, anche noi dobbiamo svolgere la nostra parte di elaborazione. E allora noteremo che l’ombra dell’Egoismo inizialmente gettata dalla madre di Paul, è stata presente per tutta la storia, non se n’è mai andata.

Era stato lui a far tirare indietro Audrey Safranek mentre suo marito veniva ridotto, tutto nudo e glabro come un bimbo, in laboratorio.Era stato lui a distruggere gradualmente i desideri e la consapevolezza di Paul, fino a trasformarlo in un Gollum assetato di auto-realizzazione.Era stato lui, sin dall’inizio, da dentro ogni singolo Homo Sapiens, a condannare il pianeta alla Fine.

Condividi su

Lascia una risposta

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.