E la vita continua (1992): Un film nato dal disastro

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E la vita continua locandina

E la vita continua

Titolo originale:Zendegi va digar hich

Anno: 1992

Paese: Iran

Genere: drammatico

Distribuzione:Cadmo Film

Durata: 95minuti

Regia: Abbas Kiarostami

Sceneggiatura: Abbas Kiarostami

Fotografia: Homayun Payvar

Montaggio: Abbas Kiarostami, Changiz Sayad

Attori: Farhad Kheradmand, Buba Bayour

Trailer di E la vita continua

Trama di E la vita continua

Un uomo e suo figlio si recano nei luoghi delle riprese del film Dov’è la casa del mio amico? per rintracciare e trovare i due ragazzini protagonisti della pellicola.

Recensione di E la vita continua

Nel giugno 1990 nella regione in cui il regista aveva girato nel 1987 il Dov’è la casa del mio amico? accade una violenta scossa di terremoto causando più di tremila vittime e che ha avuto il suo epicentro nella regione di Gillan. Tre giorno dopo il sisma Abbas Kiarostami in persona ha fatto un viaggio in automobile con suo figlio alla ricerca di notizie su quegli attori che avevano lavorato nel lungometraggio del ’87 in particolare dei due protagonisti di Dov’è la casa del mio amico

Abbas Kiarostami nell’arco di una giornata va nel luogo e ritorna a casa non riuscendo ad arrivare nel luogo da lui prestabilito a causa del devasto, essendo presenti rocce e rovine che ostruiscono il passaggio. Il cineasta però ha racconto in un intervista di aver vissuto questo viaggio e quella giornata come una vera e propria esperienza conoscitiva che ha cambiato e ampliato la sua prospettiva sulle cose del mondo. Kiarostami era partito con l’idea di trovare desolazione, caos, morti ma trova dinanzi a sé la bellezza della natura e la vitalità stessa delle persone, in un esperienza in cui la forza della vita e della vitalità delle persone, la forza della bellezza della natura, gli appaiono molto più importanti della devastazione.

Siamo nella regione dell’ Ilam, nella stagione della primavera in cui la regione presenta il suo maggior aspetto di se, la sua maggior bellezza naturale. Quindi l’uomo è colpito da questa vitalità, e decide di trasformare questo suo viaggio in un film che racconti di questa stessa esperienza. Questa stessa esperienza può essere spiegata col concetto di conversione, è la conversione che lui stesso ha avuto su ciò che pensava di trovare prima del suo viaggio, e il cambio del punto di vista che l’esperienza del viaggio ha portato in lui. La Primavera è uno degli elementi che gli consente di correggere il suo punto di vista iniziale, attraverso l’esperienza reale, da un lato fatta di persone che ricostruiscono dopo il terremoto, che sono animate da un vero e proprio slancio vitale, e dall’altra la natura che in questo periodo dell’anno si trasforma come rigenerazione e vitalità. Il tutto diviene una vera e propria metafora della rinascita, metafora che ha delle radici profondissime nella cultura persiana, e che assume una portata simbolica molto forte nel film.

L’emozione de E la vita continua

Il primo giorno dell’anno del calendario persiano è diverso dal nostro; il 21 Marzo è il primo giorno dell’anno persiano e primo giorno di Primavera, e viene designato con il termine Nuovo Giorno. Si parla di Vegetalizzazione a proposito del cinema di Kiarostami, un processo che è reso possibile attraverso la presenza della natura dentro la pellicola. E la vita continua è una storia di una conversione, che qui ha a che vedere e a che fare con l’emozione. Si possono proporre due diverse accezioni di emozioni seguendo due interpretazioni entrambi presenti e proposte nel film: Accezione occidentale, etimologica, che si lega al dramma che il film rappresenta. E un secondo tipo di emozioni che è legata all’estetica, un emozione puramente legata all’immagine cinematografica; si lega sempre all’esperienza sensibile nel suo cinema. Emozione in senso etimologico: Emozione deriva dal verbo latino movere, e significa uscire dal movimento, ed è una questione che spesso troviamo nel film per passare da un’emozione sensibile ed estetica; bisogna passare da questa azione fisica in cui si usce dal movimento. E la vita continua ci fa vedere un movimento fisico, che è anche il movimento del dramma stesso della narrazione (Terremoto), e nel film è emblematizzato attraverso l’automobile, in cui i personaggi compiono un loro movimento fisico, e soltanto quando usciranno nell’ordine di movimento della macchina, si aprirà la possibilità dell’emozione estetica.

Questa storia è quella della cinestasi. Bisogna chiederci come il cineasta figura questo passaggio, e come figura progressivamente questo passaggio da e-mozione, a emozione. Nei primi cinquanta minuti del film, ci sono vari micro – momenti che hanno una funzione di conversione da un regime all’altro, ma che ha una funzione ancora provvisoria, è una sorta d’innesto. Ha una funzione preparatoria, una sorta di prova di conversione, che avverò solo più avanti.

I titoli di testa del film sono situati dieci minuti dopo l’inizio del film. In questo passaggio del nero che è un passaggio materiale attraverso la montagna, sia simbolico, è caratterizzata da una luce che viene e che va, paragonata a un cuore che batte, e ci rimanda a una nascita, che viene dopo il nero che noi non conosciamo, quello prima di venire al mondo e allo stesso tempo il nero, che non conosciamo, che segue la nostra morte. L’uscita dal tunnel diventa la metafora di una luce che comincia, con una luce che diventa più bianca, molto forte e violenta che colpisce le cose, il suono diventa più ricco e variegato con i rumori e le voci delle persone che i personaggi stanno ascoltando, suoni naturali e radiofonici. Il paesaggio ci mostra delle architetture semi – distrutte, ma allo stesso tempo di persone che si oppongono a questa distruzione, e che cercano di ricostruire. Abbiamo la raffigurazione della vita contro la morte, e questo lo vediamo oltre che dalle immagini, dalla luce e dai suoni. L’uomo per sua capacità intrinseca ha il potere di opporsi alla morte provocata dal terremoto. Il movimento filmico dell’auto è anche drammaturgico per la narrazione, ma questo è solo il primo stadio; lo stadio ulteriore è quello di elaborare il lutto di questo movimento filmico, dell’ e-mozione, al secondo stato del regime estetico dell’emozione. A un certo punto il film presenta infatti l’esperienza della biforcazione, il cammino diretto verso il paese che i due protagonisti vogliono raggiungere è bloccato per effetto del sisma, e gli costringe a prendere un’altra strada, secondaria, per entrare in quello che si può definire un regime aleatorio (incerto, insicuro, instabile), perché la domanda è se i personaggi riusciranno ad arrivare a destinazione, e quindi non abbiamo più un obiettivo sicuro. C’è una coda stradale rimessa in scena appositamente per il film.

Il regista ha una formazione da grafico e negli anni 70 disegnava manifesti cinematografici, e quindi mantiene nel cinema una dimensione di tipo grafico che sfrutta ne E la vita continua, infatti per mostrarci la biforcazione delle due strade usa un grafico, mostrandoci una correzione di rotta, che sarà il preludio poi di una conversione. Quello che interessa qui è il movimento di pensiero che è nell’ordine dell’immaginario, del mondo fisico, che rispetto al movimento fisico ha bisogno del lavoro sul tempo. L’obiettivo c’è ma non sappiamo dove si trova. Quello che ancora manca è la parte ulteriore che ci riporta al film precedente di Dov’è la casa del mio amico.

Il padre e il figlio rappresentano lo stesso regista con suo figlio, quindi una esperienza reale e personale, che fa parte della sua esperienza di vita. I due personaggi poi continuano ad andare nell’auto, perdendosi nel cammino, e a circa cinquanta minuti del film decidono di fermarsi, incontrano un vecchio signore Rui che recitava nel film precedente. Nel momento in cui i personaggi si fermano in questo villaggio, il movimento fisico del film si ferma ed entriamo in un altro regime di visione; la macchina è l’emblema del movimento fisico, e quando si ferma il film si ferma per venti minuti in questo villaggio in rovina, presentandoci una povertà diegetica assoluta che avrebbe fatto mettere le mani nei capelli a un qualsiasi produttore, perché è un film quasi muto, molto lento, senza nessuna azione. Ma invece per il cineasta questo in questo istante in cui niente sembra accadere che invece succede tutto, passando nell’ordine dall’ ex – movere, verso l’emozione, e questo passaggio di regime si ha in una concezione nuova di vedere il mondo, del cineasta, del protagonista del film, il doppio di Kiarostami, e corrisponde al momento della Cinestasi.  Da un punto di vista questa è una sequenza estremamente povera e scarsa, priva di azioni, ma nell’economia del cinema di Kiarostami, è il momento di maggior importanza del film, in cui possiamo dire che è il momento in cui il cineasta ritrova i bambini che stava cercando, metaforicamente, ed è un grande momento di stasi in cui il personaggio si libera del progetto di ritrovare i bambini, non è più il suo obiettivo deliberato, ma vive una vera e propria esperienza di conversione, e noi spettatori con lui.

Come viene mostrata la conversione?

  • Con un cambio di regime, dal regime motorizzato dell’automobile al regime pedestre dei personaggi che camminano a piedi, che fa si che il movimento sia meno rapido, la temporalità diventa più lenta, e cambia la relazione che i personaggi intrattengono con il mondo esterno, con il paesaggio che incontrano; camminare a piedi significa avere un legame diretto e fisico con la terra con cui si entra in connessione dal punto di vista fisico, imponendo un’esperienza diretta e fisica (del corpo, materiale, concreta) con il reale
  • ambia la natura dello sguardo all’interno del film del personaggio del cineasta che diviene un uomo che cammina, che comunica con gli altri uomini compiendo delle esperienze di vita con le persone del villaggio, e intrattiene anche un’esperienza di sguardo, intraprendendo un rapporto diverso del suo sguardo. C’è un nuovo modo di osservare il mondo, e l’osservazione è il primo stadio che ci conduce poi alla fase successiva che è quella della contemplazione. Questa conversione dello sguardo parte da uno sguardo soggettivo e noi in questo momento del film vediamo la realtà attraverso gli occhi del cineasta, la soggettiva del cineasta, che diventa un gesto particolarmente importante all’interno del film, la soggettività diventa uno stadio per arrivare alla contemplazione
  • La rievocazione della cultura millenaria persiana, esprime una potenza vitale enorme e una forza di rigenerazione e di rinascita della vita assediata e minacciata dalla morte. Abbiamo la riemersione fisica di una serie di elementi sepolti che riemergono con un gesto dinamico dal basso, come l’esempio del tappeto, riaffermando la forza della vita che riemerge dalla morte. In questa sequenza K. utilizza degli oggetti che hanno una risonanza simbolica molto forte, millenaria nella cultura persiana, come la lampada a olio, il tappeto, il canto del gallo, elementi che rimandano a un immaginario simbolico profondo
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