First Cow (2019): i dolci frutti dell’amicizia

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First Cow locandina

First Cow

Titolo originale: First Cow

Anno: 2019

Paese: Stati Uniti D’America

Genere: Drammatico

Produzione: A24, FilmScience, IAC Films

Distribuzione: MUBI

Durata: 122 min

Regia: Kelly Reichardt

Sceneggiatura: Jon Raymond, Kelly Reichardt

Produttori: Neil Kopp, Vincent Savino, Anish Savjani

Fotografia: Christopher Blauvelt

Montaggio: Kelly Reichardt

Musica: William Tyler

Attori: John Magaro, Orion Lee, Toby Jones, Ewen Bremner, Scott Shepherd, Gary Farmer, Lily Gladstone, Alia Shawkat

Trailer del film First Cow (Prima Mucca)

First Cow è il settimo lungometraggio della regista Kelly Reichardt (River of Grass, Old Joy, Wendy and Lucy, Meek’s Cutoff, Night Moves e il penultimo Certain Women), ormai una rinomata cineasta indipendente negli Stati Uniti.

Reichardt decide di lavorare per la quinta volta nella sceneggiatura di un suo film con lo scrittore Jonathan Raymond, che è lo stesso autore del romanzo The Half-Life (2004) di cui è tratto questo film.

Candidato a vari premi tra cui l’Orso d’Oro nel Festival Internazionale del Cinema di Berlino 2020 e vincitore di alcuni festival come il New York Film Critics Circle Awards, questo adattamento cinematografico racconta tra dramma e momenti di commedia, una storia di amicizia nella cornice degli anni del colonialismo inglese dove si iniziano a gettare le basi per ciò che sono oggi gli Stati Uniti d’America.

First Cow arriva in Italia il 9 luglio 2021 in esclusiva sulla piattaforma MUBI, nota soprattutto per la sua accurata selezione di nuovi e classici film d’autore e indipendenti.

“L’uccello ha il nido, il ragno la tela, l‘uomo l’amicizia.”

William Blake, poeta e pittore britannico – Frase con cui inizia il film First Cow

Trama di First Cow

Otis Figowitz (John Magaro), meglio conosciuto come “Cookie”, è un cuoco solitario e taciturno che viaggia verso Ovest e si unisce a un gruppo di cacciatori di pellicce dell’Oregon. Nonostante, l’unica persona con cui sente una reale affinità è con King-Lu (Orion Lee), un immigrato cinese in cerca anche lui di fortuna.

Presto i due scoprono come realizzare il loro “sogno americano”: derubare un ricco proprietario terriero del latte della sua preziosa vacca, la prima e unica del territorio, per iniziare un’attività commerciale di successo.

Orion Lee (King-Lu) e John Magaro (Otis Figowitz) in First Cow
Orion Lee (King-Lu) e John Magaro (Otis Figowitz) in First Cow

Recensione di First Cow

Sono ormai molti i cineasti indipendenti che stanno facendo dei lavori interessanti nel cinema contemporaneo, nonostante solo alcuni vengono resi più noti che altri. Sicuramente, tra questi non molto nominati almeno nel panorama internazionale si trova la statunitense Kelly Reichardt che nel suo paese gode già di abbastanza riconoscimento.

Per quinta volta, Reichardt prende il nord-ovest rurale degli Stati Uniti per ambientare il suo settimo film First Cow, che guadagnò visibilità grazie alla sua candidatura all’Orso d’Oro dell’edizione 2020 de la Berlinale.

L’Oregon degli ultimi anni dell’Ottocento – inizio dell’Novecento servono da cornice di una storia di amicizia, quella tra il cuoco statunitense Otis Figowitz (John Magaro: Not Fade Away, Carol, Orange is the new black) e il fuggitivo cinese King-Lu (Orion Lee: Star Wars: The Last Jedi, Informer, Skyfall), due uomini che si incontrano per caso durante un viaggio e che sono apparentemente opposti, ma si legano grazie a un rapporto che va oltre la vera lealtà e devozione perché quel “apparentemente opposti” riguarda solo i loro origini.

Per motivi di vita personali ma anche dovuto alla realtà di un paese che si sta appena formando e che ha dei territori con delle possibilità infinite, Otis (chiamato spesso Cookie) e King-Lu si riconoscono nella loro svantaggiata posizione economica e nella voglia di costruire un loro “sogno americano” proprio. È per questo che entrambi mettono in atto un piano rischioso a metà tra lavoro onesto e truffa per tentare di avere un capitale economico che gli permetta di avviare le proprie aspirazioni.

Fotogramma di First Cow
Fotogramma di First Cow

La premessa gira intorno a un elemento che sembrerebbe semplice ma che esemplifica perfettamente il sistema capitalista che è sempre stato presente nel colonialismo inglese e nella fondazione degli Stati Uniti: una vacca, l’unica di quel territorio dove non esistono animali di questa specie, portata in ciò che oggi è lo stato dell’Oregon per richiesta del sovrintendente inglese (interpretato da Toby Jones: The Hunger Games: Catching Fire, Berberian Sound Studio, Tinker Tailor Soldier Spy per poter prendere il tè con del latte come in Gran Bretagna.

I due amici, invece, vedono in questa mucca la loro occasione per portare avanti un dolce e innovativo business che nessuno ha mai fatto fino ad ora in questo posto: preparare e vendere delle frittelle, usando così il latte per scopi diversi da quelli del sovrintendente. E così come First Cow non mette soltanto in risalto il valore dell’amicizia come fenomeno naturale tra gli uomini (come ben si intuisce già dalla frase che appare nei titoli di testa), ma si serve pure del contesto in cui si svolge la storia, quello del colonialismo inglese, per riflettere sulle vere fondamenta dell’identità statunitense e sul capitalismo che li caratterizza.

“C’è chi non si immagina di poter essere derubato.”

Otis “Cookie” Figowitz (John Magaro) Cit. First Cow

Metaforicamente visivo

Se per qualcosa si distingue First Cow è per la prevalenza del racconto visivo. Sono contati e ben pensati i dialoghi scritti da Kelly Reichardt insieme a Jon Raymond, già collaboratore della regista in altri due dei suoi film Meek’s Cutoff e Night Moves, e candidato a un Primetime Emmy per la sceneggiatura della miniserie di HBO Mildred Pierce. Ma il merito della sceneggiatura del film risiede proprio nella costruzione di una narrazione visuale che dà peso ai dettagli e alle metafore su cui si fonda la storia.

La più notevole delle metafore è indubbiamente la vacca, che non è un semplice animale nella trama, ma è la rappresentazione della ricchezza stessa, le risorse da cui tutti traggono un guadagno. Per pochi è un privilegio e un’esclusività (come è il caso del sovrintendente inglese), per altri un’opportunità di cercare di uscire dalla povertà e avere un capitale (come è il caso di Cookie e King-Lu). Il derubare al ricco sovrintendente del latte della sua mucca per “intraprendere” e migliorare la loro qualità di vita apre il dibattito su cosa sia (il)lecito nel loro piano e, di conseguenza, addentra lo spettatore in quello che sembra sia il circolo vizioso del capitalismo.

È forse questo l’aspetto che più attira dal film: il come semplici premesse ed elementi costituiscono una chiave di lettura più profonda di quanto si possa pensare, donandogli originalità nel trattamento di temi molto affrontati in passato e inoltre gli permette di creare delle situazioni di tensione e commedia.

Nella narrazione visiva gioca molto a favore il lavoro di Christopher Blauvelt, direttore della fotografia di altri tre film di Reichardt, ma anche di altre produzioni come Emma di Autumn de Wilde, A Single Man di Tom Ford e The Bling Ring di Sofia Coppola. La sua macchina da presa resta quasi sempre vicino a terra e fissa per intere scene, mentre l’immagine rimane per tutta la durata in formato 4:3 (per molto tempo quello della televisione), creando un racconto statico e togliendo la grandiosità del widescreen molto associato ai film Western (anche se First Cow solo accarezza questo genere per la sua ambientazione).

La scelta di “ingabbiare” lo spettatore in un campo visivo ridotto e di tenerlo guardando per abbastanza tempo lo stesso punto di vista senza movimenti di macchina né stacchi, risponde alla semplicità voluta e “ingannevole” di Reichardt (che si è pure incaricata di fare il montaggio) e al fatto di voler farlo uscire dalla zona di confort perché possa capire l’essenza della storia. In questo senso, fare attenzione al racconto interiore ed emotivo delle immagini è fondamentale per chi vede questo film.

Tutti questi aspetti che sono un pregio (e a cui si aggiungono le ottime interpretazioni del cast e la colonna sonora coinvolgente) possono però essere visti negativamente da un certo tipo di pubblico. Oltre a far riferimento al cinema indipendente inteso come quello più d’autore e perciò non mainstream che cerca di piacere a più persone possibili, parlare di First Cow è parlare di un cinema contemplativo, chiaro ma non esplicito, più profondo e intimo ma non perché privo di una storia universale bensì per la forma in cui viene raccontata.

In questo caso, gli aspetti sopra citati che riguardano la sceneggiatura, la regia – fotografia e il montaggio, certamente danno al film un ritmo lento e uno stile semplice, attirando l’interesse più che altro dal secondo atto in poi.

Risulta evidente che First Cow risponde alla premessa e intenzione che pare abbia avuto Reichardt con una storia che non prende la via dell’ovvietà e della critica scontata per mettere in confronto argomenti alquanto trattati nel cinema. Il fatto di rischiare e riproporre temi rivisti elaborati in maniera diversa è un qualcosa da valorizzare in un’industria che tende ad andare (quasi) sempre sul sicuro e che perciò fa fatica a dare spazio non solo a talenti emergenti ma alla creatività e all’arte stessa.

In sintesi, First Cow è una produzione che vale la pena di essere vista soprattutto perché non è la classica storia di colonialismo, razzismo, sistema capitalista, ma si interroga e riflette sulle basi di un grande paese come gli Stati Uniti e in maniera speciale sull’amicizia come una sorta di rifugio per sentirsi a “casa”.

“I poveri hanno bisogno di capitali per iniziare qualcosa, un miracolo, o un crimine.”

King-Lu (Orion Lee) Cit. First Cow

NOTE POSITIVE

● La prospettiva originale da cui vengono trattate tematiche comuni come il capitalismo e il “sogno americano”.

● Interpretazioni.

● Fotografia.

● Musica.

NOTE NEGATIVE

● Il ritmo del film può sembrare lento: è un cinema molto contemplativo, con degli snodi narrativi quasi impercettibili per come si evolve la storia e con scene statiche di una durata un po’ lunga, caratterizzandosi per la macchina da presa ferma per molto tempo nello stesso posto.

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