In the Shadows (2020): Zait alla ricerca del senso del mondo

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In the Shadows locandina

In the Shadows

Titolo originale: In the Shadows

Anno: 2020

Paese: Turchia

Genere: Distopico

Casa di produzione: Contact Film Works

Distribuzione:

Durata: 1h 34min

Regia: Erdem Tepegöz

Sceneggiatura: Erdem Tepegöz

Fotografia: Hayk Kirakosyan

Montaggio: Arzu Volkan

Musiche: Greg Dombrowski

Attori: Numan Acar, Vedat Erincin, Ahmet Melih Yilmaz, Emrullah Cakay, Muharrem Bayrak, Selin Kavak

Trama di In the Shadows

In un luogo e tempo indefinito, dominato da una tecnologia antiquata e primitiva, un gruppo di uomini e donne lavorano e vivono all’interno di una fabbrica arrugginita e in totale decadimento, dove vengono costantemente osservati e monitorati da un sistema di sorveglianza, basato su telecamere, onnipresenti. Zait (Numan Acar), un fedele minatore e credente del sistema, inizia a mettere in discussione tutto, quando la macchina per cui lavora si rompe ed è costretto ad affrontare le profondità sconosciute della fabbrica. Parallelamente viene colpito da una malattia che crea delle piaghe sulla sua pelle, questo evento lo conduce verso una profonda paura interiore, sapendo che se il sistema comprenderà che non è più in salute verrà scacciato dal luogo; per evitare ciò Zait deve comprendere la verità su ciò che è intorno e sopra di lui. Nel suo viaggiare trova due preziose alleanze: quella di un nuovo arrivato alla fabbrica e del riparatore dei macchinari, colui che deve tenere l’impianto in funzione.

Recensione di In the Shadows

Presentato in concorso al Ravenna Nightmare Film Festival 2021, In the Shadows (let. Nell’ombra) è la terza pellicola del cineasta Erdem Tepegöz (Zerre, 2012; Kiyidakiler, 2016), che ci conduce entro una storia distopica richiamando alla mente degli appassionati del genere letterario – cinematografico quello slogan orwelliano presente nel romanzo 1984: “Il Grande Fratello vi guarda“. Ma chi è realmente questo osservatore che giudica e detta leggi a tutti? Esiste realmente qualcuno che comanda o siamo tutti schiavi di un processo dittatoriale precedentemente creato da qualcuno e poi dimenticato? Will Smith, il protagonista della distopia di Orwell, a un certo istante della sua vita ha un risveglio di coscienza e desidera sapere se questo Grande Fratello esiste oppure no. La risposta che ottiene alla sua domanda gli viene data di Winston Smith, in un dialogo potente di uno dei capolavori della letteratura distopica.

Will Smit: Esiste come esiste io?

O’Brien: Tu non esisti

1984 – G. Orwell

Alla fine il Grande Fratello di Orwell non è altro che una voce che viene fuori da un teleschermo, una voce che potrebbe non morire mai, funzionando come una registrazione automatica ripetitiva che da ordini e muove le leggi del mondo. Proprio come accade nella fabbrica che ci viene mostrata dal cineasta turco Erdem Tepegöz, gestita da un misterioso impianto automatizzato, da cui fuoriesce una voce di un entità invisibile che muove e dirige le vite di questo microcosmo d’individui che vivono per lavorare all’interno di una misteriosa industria al di fuori del tempo e situata in uno spazio geografico indefinito. In questo mondo ogni lavoratore agisce in base a delle regole imposte da un qualcuno che non conoscono e che non hanno mai visto. Zait, proprio come Will Smith, a un certo momento della propria esistenza ha un risveglio di coscienza e cercherà di comprendere da dove arrivi il cibo che giunge a loro misteriosamente e chi è che li osserva costantemente attraverso delle telecamere?  La sua ricerca lo porterà a scontrarsi con i suoi compagni di società e a scoprire che quelle telecamere in realtà non sono connesse a nessun cavo e allora come è possibile che qualcuno li osservi?

La narrazione usata In the Shadows, attraverso una regia che sta costantemente sul volto dell’attore Numan Acar (impeccabile in questa sua interpretazione), sfrutta in maniera corretta l’uso della macchina a mano e di una musica che con i suoi violini dona all’interno del lungometraggio una componente di ritmo e d’inquietudine, soprattutto venendo appoggiata al rumore della fabbrica e dei suoi macchinari che avvolge per tutti i 96 minuti In the Shadows. L’arma in più del racconto è indubbiamente l’interessantissima location georgiana scelta e il modo in cui la scenografia è andata a lavorare. Non si è cercato di ricreare un mondo tecnologico e futuristico ma Erdem Tepegöz ci ha immessi all’interno di un industria in rovina dal sapore di antico e di vintage, sia per lo stato in cui si trova la struttura, che sembra più decadente che altro, sia per i tipi di macchinari che vengono usati per i lavori di fabbrica che appaiono piuttosto antiquati, appare anche interessante la scelta d’inondare il luogo di una miriade di connessioni di cavi, fili elettrici che appaiono fini a se stessi non essendo connessi con niente all’interno della struttura. L’industria diviene l’emblema anche della società attuale, un luogo in cui per essere “individui” è necessario lavorare, in effetti per Zait e per i suoi colleghi non esiste altro che il lavoro, il lavoro è l’unica cosa importante per la loro vita e se non si è in grado di continuare a svolgere la propria mansione, si scompare (forse vengono pure soppressi?).

Il ritmo come detto sopra funziona bene trascinandoci entro l’inquietudine del protagonista che indaga, senza comprendere, ciò che gli sta intorno e trovando nuove verità a lui incomprensibili conducendo lo spettatore a un finale forte e misterioso. Nonostante i molti punti a favore è obbligatori asserire che sono presenti alcuni elementi poco chiari ed elementi di sceneggiatura sprecati come le riflessioni sul Tempo che appaiono più fine a sé stessi che altro, oppure la malattia che colpisce Zait, che non fa evolvere realmente la storia, ma sembra avere lo scopo solo allungare la narrazione, oppure la voce che proviene da una tubatura situata nella baracca di Zait o le voci che sente dal sottosuolo, ecco queste di chi sono?

Note positive

  • Regia
  • Location
  • Interpretazione di Numan Acar

Note negative

  • Alcuni elementi inseriti nella storia sembrano inutili al fine della narrazione
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