Intervista a Richard Lowenstein su Mystify: Michael Hutchence

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Il tuo è un documentario che va oltre la star perché restituisce l’uomo, dà una visione della star ma allo stesso tempo si fa conoscere l’uomo, permettendo anche a chi non conosceva l’INXS di scoprire il mondo delle band degli anni’80. Da cosa sei partito e perché hai voluto fare questo lungometraggio? Parlaci anche di Richard e Michael

Sapevo ancora che Michael era ancora una grande star e una grande personalità in Australia, però sapevo anche che non c’erano più tantissime persone a livello globale che si ricordavano della figura di Michael Hutchence e della sua band, quindi ho trovato più affascinante quello di approcciare la storia come dal punto di vista di una persona sconosciuta come se Michael Hutchence non fosse una persona famosa e mi è sempre diventato più ovvio una volta che ho iniziato a viaggiare per fare le varie interviste che questo tipo di percezione di tipo d’approccio era molto più soddisfacente. Ha cominciato a rivelarsi come una sorta di parabola greca ed è per questo che ho deciso di esplorare la sua vita non come se fosse una persona famosa. Ho deciso di raccontare la sua storia perché penso che sia estremamente affascinante, dall’altro canto ho anche visto che nel corso degli anni sono uscite anche molte versioni fittizie di quello che era Michael Hutchence, lo conoscevo come collaboratore e regista dei suoi video e film a cui prese parte, ciò nonostante questo non riuscivo a riconoscere la persona che avevo visto con quella descritta in quegli articoli e documentari, quindi questo è stato il primo motivo per cui ho deciso di realizzare questo documentario, poi man mano che si andava a dipanare questa storia, questa tragedia greca molto iconica, ho deciso di provare ad affrontarla come se fossi io il regista di finzione non come se la storia fosse una finzione ma ritornare un po al mio ruolo originario di quando ho iniziato a fare il regista. Per quanto riguarda il nostro rapporto, la connessione che ho trovato con Michael Hutchence a livello del documentario è proprio dovuta al fatto che lo conosciuto come persona, come amico e collaboratore e ciò ha reso questo lungo viaggio rivelatore e allo stesso tempo molto triste.

Come ti sei rapportato al genere del documentario musicale, ha avuto dei modelli di riferimento?

Non è il primo documentario musicale che ho fatto però la mia ispirazione principale è venuta da uno dei primo film documentario su Bob Dylan di Jerry Decker, che è sempre stato un punto di riferimento per il mio lavoro. Ho deciso di seguire questo suo stile di osservazione, nonostante il nostro soggetto del documentario non sia più tra noi ma avevamo moltissimo materiale d’archivio dove abbiamo proprio cercato degli elementi d’informazione della sua stessa vita quotidiana, andando oltre i materiali disponibili. Molte volte quando si ha un documentario ci sono dei momenti in cui la persona che parla viene vista, ma abbiamo deciso di non seguire questo stile documentaristico ma di utilizzare solamente le voci delle interviste perchè il nostro obbiettivo non era di fare un viaggio nelle memorie di queste persone, ma il nostro obiettivo era di sfruttare le voci per rivivere le esperienza che stava vivendo, ed è come se fossi stati veramente li presenti con la telecamera, e in alcuni casi c’eravamo li davvero.

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