Intervista a Virgine Efira sul film Benedetta (2021)

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L’attrice belga classe, Virgine Efira, conosciuta per le sue interpretazioni nei film drammatici Victoria (2016) e Un amour impossibile (2018), nel 2021 veste i panni del complesso e misterioso personaggio storico: Suor Benedetta di Pescia, nome completo Benedetta Carlini, una mistica, religiosa e veggente italiana del 1600. Alla regia di questo film troviamo Paul Verhoeven con cui aveva già collaborato per il film Elle (2016).

Che rapporto avevi con il cinema di Paul Verhoeven, prima di lavorare con lui?

Sono entrata nel suo universo cinematografico attraverso la porta più ovvia: BASIC INSTINCT, che vidi quando ero ancora un’adolescente. Mi piacque moltissimo e mi ricordò LA DONNA CHE VISSE DUE VOLTE, un altro film che avevo adorato. Più tardi ho visto STARSHIP TROOPERS, che mi ha fatto morire dalle risate. Paul si è appropriato di tutti i codici del cinema mainstream americano stravolgendoli dall’interno, proprio come hanno fatto i grandi registi hollywoodiani del passato. Quando ero giovane non avevo molta dimestichezza con il cinema d’autore e i film di Paul me l’hanno fatto scoprire. Fra i suoi film avevo visto anche ROBOCOP, ATTO DI FORZA e poi, più tardi, ho scoperto FIORE DI CARNE che ritengo un vero capolavoro. Quando mi venne proposta una parte in ELLE avevo appena cominciato a recitare nel cinema d’autore. ELLE è stata un’esperienza fantastica, ma ho fatto solo otto giorni di riprese. In ogni caso è stata una prima esperienza con Paul in cui ho potuto osservare il suo modo di lavorare. Ho immediatamente capito che non amava fare giochetti mentali con i suoi attori, ma, d’altra parte, non avevo affatto percepito che volesse lavorare ancora con me. Poi l’ho rivisto e mi ha parlato del libro di Judith C. Brown. Non avevo mai sentito parlare della storia di Benedetta. Paul mi ha avvertito che ci sarebbero state scene di sesso con un’altra ragazza e io ho sempre risposto: “Nessun problema.”

Cos’è che ti ha colpito maggiormente quando hai letto la sceneggiatura?

Ho trovato la sceneggiatura un capolavoro, nel senso che conteneva ogni possibile livello narrativo: era un’epopea lirica, una storia d’amore, un romanzo storico, un viaggio interiore… C’erano mille modi possibili in cui il film avrebbe potuto esplorare le tematiche care a Paul, che qui vengono elevate al livello più alto. Questa sceneggiatura che si apriva verso il cielo e la terra mi sembrava incredibilmente vasta. Inoltre, non assomigliava a niente che avessi letto o visto al cinema. Benedetta è un personaggio fantastico e la sua è una storia incredibile, di una ricchezza straordinaria.

Benedetta (2021)
Benedetta (2021)

Durante il film, è impossibile non chiedersi quanto le azioni di Benedetta siano ispirate dalla sua fede e quanto dalle sue esigenze manipolatorie. Per interpretare il personaggio, che punto di vista hai adottato su di lei?

Credo che sia il regista a dover dare un punto di vista all’attore. Paul ha detto “forse è una manipolatrice, o forse no” lasciando sempre ampio spazio all’incertezza e a un’interpretazione molteplice. Lui ha filmato ciò che desiderava e io ho seguito la traiettoria che volevo, e questo mi è piaciuto. Quando ho chiesto a Paul come dovevo prepararmi per il ruolo, lui mi ha risposto che io stessa dovevo sapere cosa fare. È un’estrema dimostrazione di fiducia nei confronti della propria attrice. Ciò mi ha responsabilizzato e sapevo che, con quello che gli proponevo, Paul avrebbe realizzato qualcosa di interessante. Ho interpretato una Benedetta che persegue una ricerca, senza definire la natura di questa ricerca. Penso che sia una ricerca molteplice, non riducibile ad un unico aspetto, come la fede assoluta o il subdolo intrallazzo. Entrambi gli aspetti si alimentano a vicenda. Benedetta manifesta una fervida devozione verso Gesù, ma è anche alla ricerca del potere. Non è tutta dolcezza e altruismo.

Possedevi già degli strumenti personali per affrontare il rapporto con il cattolicesimo e Gesù, o ti sei documentata sul rapporto che alcune mistiche intrattengono con Cristo?

È stata la prima volta che ho lavorato con un coach e l’ho trovato molto interessante perché mi ha aiutato non solo ad imparare le battute, ma anche ad operare una sorta di psicanalisi del personaggio. Come comunica con Dio? Cosa gli dice? Qual è la natura del loro legame? Quali elementi frenano o liberano le sue visioni? Cosa le procura il godimento fisico? Il problema non era quello di capire come l’avrei interpretata, ma di avere in mente determinate immagini. Con Verhoeven bisogna essere pronti, non si può tergiversare. Nella sequenza in cui Benedetta resuscita non ci potevamo perdere in un bicchier d’acqua o girare dodicimila riprese. No, la resurrezione va girata in tre ciak! Paul mi ha detto: “Mi hai sorpreso facendo cose che non avrei mai immaginato, ma hai fatto bene”. Davvero un bel complimento. Paul è un regista di esperienza con molti film alle spalle, ma è anche una persona umanamente gentile e ciò ha innescato una sorta di circolo virtuoso in cui ognuno si assume la responsabilità del proprio contributo creativo. Mi piace questo modo di fare. Mi piace che l’attore si adatti. Mi piace meno quando le persone si presentano con metodi di lavoro preconfezionati. Sono anche stata aiutata dal fatto di non aver paura del palcoscenico. Cosa significa portare a termine o sbagliare una scena? Questi concetti sono così sfumati. Sul set si lavora “qui e adesso”. In una delle prime scene che abbiamo girato, Benedetta è sulla piazza di Pescia e arringa la folla come un politico. C’erano 300 comparse, ognuno di noi aveva un ruolo da svolgere e Paul era curvo sul video assist per controllare l’insieme… Questo per dire che non sono io, “l’attrice”, a dovermi far carico da sola del film intero. Il film è molto più di questo. Per egocentrismo l’attore o l’attrice può tendere a pensare: “Cavoli, quanto ho da fare, tutto poggia sulle mie spalle…”. Calmati, bello! Esistono migliaia di parametri oltre all’attore! Guardando le scene sul monitor mi sono resa conto che l’immagine è un insieme e che non dipende solo dall’attore. Paul mi diceva sempre: “Non essere melodrammatica” e in effetti, non bisogna esagerare. Soprattutto se si interpreta un personaggio ambiguo, con dei lati oscuri, è meglio non mostrare troppo. Ma dentro di me, sono io a decidere tutto. Posso avere un segreto che il regista non vede, ma anche lui può decidere di filmare ciò che vuole.

Benedetta è ambigua anche nel suo rapporto con Bartolomea. Prova piacere sessuale senza darlo. Quello che prova è desiderio? È amore? Bartolomea le dice che non sa amare, che è egoista…

È interessante interpretare, a 40 anni passati, il ruolo di una vergine! Non immaginavo davvero che mi sarebbe capitato! La questione dell’amore va di pari passo con quella della fede. Che cos’è l’amore? Il sesso è o non è amore? Sono domande che prevedono un’ampia gamma di risposte. Bartolomea sembra non credere all’amore di Benedetta. Per lei è come un rifiuto, è come se non fosse abbastanza amata. È difficile discernere chi ama davvero e chi no. Ciò che mi piace di Verhoeven è che non appena un personaggio inizia a sentirsi puro, viene smentito. Quando Bartolomea arriva in convento, è palese che sia una persona che ha fatto sesso, con una fisicità esuberante. È lei che inizia Benedetta alla lussuria e quest’ultima si dimostra un’allieva che impara rapidamente. Ma allora Bartolomea è più innamorata di Benedetta? La ricerca di Benedetta va oltre una rapida storia d’amore, mentre Bartolomea vuole, forse, semplicemente vivere questa relazione.

Ci sono alcune scene davvero sorprendenti, come quella girata nelle latrine, che sono quasi più trasgressive delle scene di sesso.

Questo richiama ciò che Paul ama dei pittori primitivi fiamminghi: la rivelazione di verità nascoste, soprattutto quelle corporee. Le scene di sesso sono state molto divertenti da girare, grazie a Paul e naturalmente a Daphné. Una scena di sesso è più facile da realizzare quando si percepisce che gli attori o le attrici sono a loro agio e che non sentano di essere derubati di qualcosa che non vogliono concedere. Ho visto che in queste scene c’era sia la sessualità cruda, l’intimità tra due persone, ma anche qualcosa di molto più metaforico. Paul mi chiedeva di inscenare degli orgasmi, mi diceva “Di più, di più!” e tutto questo avveniva in un’abbazia che era aperta alle visite, mentre stavamo girando. Io ci provavo, ma sembrava quasi un parto trigemino e non eravamo sicuri che alla fine apparisse come un orgasmo! E vedere Daphné emergere dalle mie gambe è stata una specie di epifania. C’era tutto in quelle scene, era come una coreografia. Paul aveva preparato uno storyboard che prevedeva tutto , ma ci ha permesso di proporre alcune cose. È stato qualcosa di molto collaborativo, di molto gioioso

Pensi che BENEDETTA sia un film femminista?

È difficile definire quale sia il “femminismo secondo Verhoeven”, ma mi ricordo di una frase che mi colpì molto prima che iniziassimo a lavorare insieme: “Non sentirti in colpa per i tuoi desideri”. Questo concetto ha sempre riecheggiato nella mia mente ed è sempre presente nei film di Paul. I suoi personaggi femminili spesso sono molto complessi e sanno usare la loro sensualità e il loro corpo a proprio vantaggio. Con Verhoeven, la sessualità non è dominio esclusivo degli uomini, ma è anche delle donne.

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