Tratto dalla conferenza stampa del lungometraggio La Rivincinta di Leo Muscato visibile dal 4 giugno su Rai Play. Hanno partecipato i componenti del cast, regista e Rai cinema e Rai Play che si sono prestati a rispondere alle domande dei giornalisti. Qui trovate le loro opinione sul lungometraggio drammatico, se volete leggere la nostra recensione cliccate qui
Una storia che si nutre di realismo ma che non finisce esclusivamente nel cosiddetto imbuto del realismo, inoltre da dove siete partiti per la realizzazione di La Rivincita?
Parla Leo Muscato: E’ una storia che nasce sei anni fa con il fortunato incontro con Michele Santeramo, quando in seguito a un laboratorio mi fece leggere alcune sue cose tra cui un testo teatrale pluripremiato già pronto per andare in scena, questo soggetto era la Rivincita e senza possibilità di equivoco mi è interessato subito, essendo una storia che ha in luce una cosa estremamente importante andando a riguardare un numero estremamente importante di persone, un film in cui i personaggi riescono a essere empatici, essendo in realtà degli archetipici e metafore di esseri umani: quello che loro fanno è una continua lotta per l’ottenimento delle cose più semplici e normali, sono come degli ercolini sempre in piedi che nonostante le continue botte che ricevono dalla vita, dalla società e dalle circostanze, riescono sempre a trovare risorse insperate per reagire in maniera forte e inconsueta. In tutto ciò ritrovo che il film sia una storia d’amore, sull’amore incondizionato in cui le persone posso procurarsi dei dolori anche molto forti ma anche qui i protagonisti riescono sempre a trovare delle risorse interiori per andare avanti.
Parla Michele Santeramo: questi personaggi hanno con sé una profondissima umanità, perchè per essere poveri quando si è poveri per rimanere esseri umani bisogna avere dei sentimenti molto grossi, non basta essere persone normali. La deriva della povertà conduce al malaffare, alla delinquenza, ma invece rimanere persone per bene nonostante tutto è una grande conquista. Per scrivere questa storia ha sentito il bisogno d’intervistare tante persone che vivono questa condizione sociale, scoprendo che questa è una realtà diffusissima, mi sono imbattuto in gente che veramente per sopravvivere deve vendere il proprio sangue o hanno deciso di vendersi un rene, però ho sempre trovato dinanzi a me questa grande umanità e incapacità a rassegnarsi.
La storia attraverso le vicissitudini dei due fratelli mostra i nuovi poveri dell’Italia, il film quanto attinge alla pura realtà?
Parla Michele Santeramo: Tutto ciò che viene raccontato nel film attinge a ciò che io ho visto e verificato, è chiaro che ci sono unite andando a formare un piccolo Frankenstein di tutte quelle molteplice esperienze che ho ascoltato e scoperto. Sono contento che ci sia nel film uno sguardo sui nuovi poveri, questi sono persone che hanno una casa ma la loro vita dipende completamente da dieci euro. Il film parla di persone che vivono negli angoli buii che nessuno vuole frequentare e vedere.

Come hanno lavorato attori e regista per creare i personaggi del film?
Parla Leo Muscato: Ho avuto la fortuna di riuscire a mettere insieme un gruppo d’attori con una forte provenienza teatrale, con loro abbiamo fatto un lavoro preventivo andando a fare un lavoro scrupoloso sul testo e di analisi della sceneggiatura stessa ricercando un mondo per narrare il tutto nella maniera più invisibile e raccontare il tutto sull’emotività dei personaggi con il minimo sforzo
Parla Michele Ventucci: I due personaggi dei fratelli non esisterebbero senza l’altro, ma ognuno è complementare all’altro, non esisterebbe Sabino senza Vicenzo e viceversa. Questa è anche la bellezza della storia in cui i personaggi si scambiano completamente i ruoli. Il lavoro fatto insime a Leo è stato sicuramente atipico per le modalità cinema facendo tante prove lavorando maggiormente su un aspetto quasi teatrale riguardante il lavoro della parola. Il tempo in cui è collocata la storia è fuori dal tempo, se notate nella storia non abbiamo mai i cellulari, siamo in un posto collocabile nel Sud di un qualsiasi mondo, ma anche in un non luogo e tutto ciò da una astrazione alla storia seppur mantenendo un carattere realistico
Parla Michele Cipriani: La storia costruita possiede delle connotazioni drammaturgiche e di significato che richiedono la presenza di personaggi molto densi, con una precisa missione con caratteristiche ben precise, quelli che Brecht chiamerebbe uomini di carattere, personaggi che hanno dei bisogni banali ma molto intensi e che li rendono più forti della realtà in cui sono avvolti. Quindi possiamo rintracciare anche una componente intellettuale in cui abbiamo personaggi semplici con caratteristiche etiche e morali che non sono elementi comuni tipo la rettitudine, l’onestà.
Parla Deniz Ozdogan: Credo che come con i figli ogni atto creativo cominci da un sogno, da un seme ed io fin dall’inizio ho sentito che il seme di questa storia era un seme potentissimo e d’amore, anche di umile, questo mi è arrivato dalla prima lettura con un percorso ben preciso.
Parla Sara Putignano: è stato un percorso intenso, che partiva nei confronti del mio personaggio diverso da me che ha come dinamica quella dell’implosione, quindi questa specie di rapporto con sé stessa che probabilmente soltanto alla fine riesce ad entrare in un vero dialogo con gli altri e con questa realtà. In lei è presente tutto un suo passato che viene accennato ma che compromette il suo rapporto con la maternità. In questo senso i personaggi delle due donne sono complementari, quindi c’è un rapporto con la maternità, di questa donna che non riesce a capire come si fa a stare bene.