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K-Pop Demon Hunters
Titolo originale: K-Pop Demon Hunters
Anno: 2025
Nazione: Stati Uniti d’America
Genere: Animazione, Commedia, Musical
Casa di produzione: Sony Pictures Animation, Netflix, Columbia Pictures
Distribuzione italiana: Netflix
Durata: 100 minuti
Regia: Maggie Kang
Sceneggiatura: Danya Jimenez, Hannah McMechan, Maggie Kang, Chris Appelhans
Montaggio: Kent Beyda, Nathan Schauf
Musiche: Marcelo Zarvos
Doppiatori originali: Arden Cho, May Hong, Ji-young Yoo, Ahn Hyo-seop, Ken Jeong, Lee Byung-hun
Doppiatori italiani: Giorgia Brunori, Camilla Marcucci, Beatrice Maruffa, Jona Mennite, Cristian Vespe, Francesco De Francesco, Federica Russello
Trailer di “K-Pop Demon Hunters”
Informazioni sul film e dove vederlo in streaming
KPop Demon Hunters è un film d’animazione fantasy-musicale statunitense distribuito da Netflix il 20 giugno 2025, prodotto da Sony Pictures Animation. Diretto da Maggie Kang e Chris Appelhans, nasce da una storia originale della stessa Kang, che ha firmato anche la sceneggiatura insieme ad Appelhans, Hannah McMechan e Danya Jimenez. Al centro della trama c’è HUNTR/X, un gruppo K-pop immaginario composto da tre ragazze che, oltre a dominare le classifiche musicali, conducono una doppia vita come cacciatrici di demoni. La loro missione si complica quando si trovano ad affrontare una boy band rivale, i Saja Boys, i cui membri si rivelano essere demoni sotto mentite spoglie.
Il film è nato dal desiderio di Maggie Kang di raccontare una storia profondamente radicata nella cultura coreana, mescolando mitologia, folklore e musica pop per creare un universo visivo originale e identitario. Il cast vocale include Arden Cho, Ahn Hyo-seop, May Hong, Ji-young Yoo, Yunjin Kim, Daniel Dae Kim, Ken Jeong e Lee Byung-hun.
A poco più di una settimana dal debutto, il film è già diventato un fenomeno globale tra la Gen Z, grazie al suo ritmo travolgente, all’estetica iper-pop e a quell’esplosione di cultura coreana che fonde leggenda e idol culture. La colonna sonora, con brani originali interpretati dai gruppi fittizi del film, ha debuttato nella Top 10 della Billboard 200, segnando un record per un film d’animazione del 2025.
KPop Demon Hunters ha ricevuto recensioni entusiastiche, con elogi per l’animazione vibrante, lo stile visivo audace, le performance vocali, l’umorismo e la colonna sonora. È già considerato uno dei titoli più amati dell’anno su Netflix, soprattutto tra i fan del K-pop e gli spettatori più giovani
Trama di “K-Pop Demon Hunters”
In una Seoul dalle luci al neon e un’ innovazione fuori dal comune, Rumi (Arden Cho), Zoey( Yoo Ji-Young) e Mira (May Hong), membri del gruppo Kpop “Huntrixx”, raccolgono l’eredità millenaria di cacciatrici di demoni, in un mondo costantemente minacciato dalla presenza di forze oscure, determinate a impossessarsi delle anime degli esseri umani, ma che al tempo stesso rifiuta la diversità e l’unicità del singolo. Nella loro impresa di difendere l’Honmoon e salvaguardare le anime dei loro fan, le Huntrixx, in particolare Rumi, la cui anima è di nascosto in parte demoniaca, si scontrano tuttavia con il loro antagonista principale, l’entità a capo del lugunbre mondo dei demoni, Gwi Ma (Lee Byung-hun), che incarica Jinu (Ahn Yeosop), demone che ancora mantiene sprazzi della sua antica anima, di formare un inatteso nuovo gruppo kpop composto interamente da demoni: i Saja Boys. In un mix di musica e combattimenti, le tre ragazze, in modo particolare Rumi, scopriranno che la vera battaglia da combattere non sta solo nell’ abbattimento delle forze oscure, ma anche nell’accettazione della diversità del singolo.
Recensione di “K-Pop Demon Hunters”
Inizio questa recensione ammettendo che, quando ho saputo che un film di animazione americano avesse la pretesa di raccontare il mondo coreano, una parte di me ha sussultato, immaginando la disfatta dell’ennesimo tentativo di scimmiottare l’essenza di una cultura senza conoscerla, eppure ho dovuto quasi immediatamente altrettanto ammettere, iniziando la sua visione, quanto il mio pregiudizio fosse errato. “Kpop demon hunters”, ovvero la storia di tre eroine femminili nella Corea del Sud dei nostri tempi, quella dalle luci eccessive, la tecnologia senza eguali, il kpop, ma anche il conformismo, la paura della diversità, è stata costruita con una finezza e una ricchezza di dettagli che soprende, affascina e cattura.
Animazione e canzoni ad altissimo coinvolgimento
Innanzitutto a colpire è senza dubbio l’impatto visivo: in questo aspetto Sony Pictures animation (già conosciuta per Spiderman) ha dimostrato di non avere niente da invidiare alla Disney o alla Pixar. I colori sono sgargianti, ben equilibrati nei contrasti e nei significati, riproducono lo scorrere vibrante e senza fiato della capitale sudcoreana, i movimenti dei personaggi sono fluidi ma anche potenti, regalano il classico pathos da film dei combattimenti, al sapore di kimchi.
Già solo per questo fattore, “Kpop Demon Hunters” meriterebbe l’attenzione degli appassionati del genere, ma anche degli appassionati di Corea del sud, che potrebbero agilmente risentire sullo schermo, la sensazione di mondo che avanza correndo tipica della città di Seoul, eppure i creatori di questo pseudo anime, hanno deciso che questo non fosse abbastanza e hanno fuso la potenza della grafica con quella del suono e delle musiche, semplicemente strabilianti, specialmente per i fan del kpop. Per quanto infatti, siano state scritte da compositori non coreani, le canzoni, tante e tutte iconiche, lasciano il segno, sottolineano i momenti di combattimento, ma anche quelli in cui il carattere più emotivo del film deve emergere: orecchiabili e vivaci come una bevanda fresca in estate alcune, tormentate e profonde come le voci dei nostri demoni altre, insomma, un vero tripudio e summa del genere del kpop.
Fra tradizione e modernità: i personaggi
Tralasciando questi aspetti formali, veniamo ora alla storia. Per quanto possa sembrare apparentemente banale, le vicende di donne la cui missione è quella di scacciare i demoni, rappresentando esse in primis una figura legata al folklore, si rivela, in un contesto come quello della Corea del sud, un modo per celebrare le leggende della tradizione del Paese del calmo mattino. Il loro ruolo, indissolubilmente legato al passato, è tuttavia intriso di quel presente nel quale gli “idol” sono immersi. Le tre protagoniste non sono eroine statiche, dalle quali emergono i classici lati positivi, ma sono personaggi dinamici, contrassegnati da comportamenti bizzarri e macchiettistici, presentati con una forte ironia, che rende il film un vero spasso. Anche i Saja boys, la band demoniaca il cui stesso nome riprende la parola leoni, ma anche messaggeri dall’aldilà (Jeoseung Saja), ci fanno facilmente dimenticare la loro origine, quella del dokkaebi con la faccia mostruosa, ovvero il demone che si appropria delle anime nel folklore coreano, che comunque viene rappresentato nel regno governato dall’antagonista Gwi-Ma. Essi si rivelano al contrario essere ognuno un vero e proprio idol con le classiche caratteristiche amate dai fandom del kpop e quel tipo di virilità che gli idol coreani vogliono portare sul palco: la tenerezza, il mistero, la fisicità, la sensualità e il romanticismo.
Non solo cacciatrici e demoni sono gli elementi del folklore che questo film restituisce, al contrario il livello di profondità con cui il film vuole esplorare le dinamiche legate all’anima, ma anche all’identità personale nella società, è molto più elevato. La storia di Rumi, leader delle Huntrixx, cacciatrice in parte demone, che si intreccia con quella di Jinu, leader dei Saja boys, demone che ha ancora un’anima, permette di scoprire l’attaccamento che i coreani hanno nei confronti delle teorie legate all’anima, come nella reincarnazione (come emerge anche dal loro stesso panorama seriale con prodotti come “My Demon”, “Goblin” o “Tomorrow”): non a caso infatti è proprio il personaggio di Jinu (che nella versione originale assume la voce del famoso Ahn Yeosop) a mantenere i ricordi precedenti al patto stretto col diavolo e a rappresentare quindi quel ponte tra mondo dei vivi e mondo dei demoni, creature dal volto di Goblin, ma la vitalità simile a quella di Zoombie. Al contrario della sua controparte maschile, Rumi, umana che ha dei tratti demoniaci, è invece una diversa in una società, quella coreana, altamente conformista. La sua sfida è dunque quella di affermare la sua effettiva identità, senza intaccare la fiducia riposta in lei, in primis alle sue compagne e poi al suo nutrito fandom e in questo emerge il desiderio del film di comunicare il valore della diversità e la crudeltà che può emergere dal conformismo ostentato.
Nel rapporto tra i due personaggi intervengono inoltre altre due figure interessanti, simbolo di mediazione tra i loro due mondi: la tigre blu e il corvo, la cui rappresentazione animata strizza l’occhio ad antichi dipinti coreani, ma anche a un certo stile dagli echi ghibliani. La prima rappresenta nella tradizione l’animale simbolo della Corea, la cui forma richiama anche quella di una tigre, ed è un personaggio che esprime coraggio, il secondo invece richiama nella tradizione la figura che fa da tramite tra mondo dei vivi e mondo dei morti e non è un caso se entrambi i due personaggi, per altro dai caratteri amorevoli e benevoli, appaiano sempre magicamente come messaggeri nelle scene che precedono gli incontri tra Rumi e Jinu.
L’attenzione ai dettagli, vera protagonista del film
Personaggi catchy nel modo in cui si presentano, ma anche nella loro personalità una Seoul riprodotta nella sua frenesia e nel suo brio, una tradizione forte e radicata, musiche al passo coi tempi, tutto questo riassume la vera protagonista del film, la peculiarità più preziosa che emerge: l’attenzione ai dettagli, non solo nella grafica con cui ogni personaggio è dipinto, dagli idol impreziositi di outfit sgargianti e gioielli ai demoni bellissimi in hanbok nero( abito tipico del messaggero ultraterreno) o inquietanti con maschere da Goblin, ma anche nelle dinamiche della società.
Gli amanti della cultura coreana non potranno infatti non apprezzare l’omaggio ai kdrama che una scena, per altro caratterizzata da una forte ironia, regala( amanti di “Business Proposal”, drizzate le orecchie), le modalità con cui i fandom dei due gruppi sono rappresentati: entusiasti e innamorati dei loro beniamini, amanti di merchandising personalizzati e curati nei minimi particolari, attaccati alle “ship” tra idol di diversi gruppi( con tanto di merch associato), lovers e haters, come spesso purtroppo accade, nell’arco di qualche giorno. Anche le dinamiche mediatiche sono ben espresse in un incrocio di show in cui gli idol vengono messi alla prova, fan meeting nei quali gli idol entrano in contatto diretto coi fan, e coreografie che diventano virali sui social grazie a movimenti iconici.
In conclusione
In conclusione, “Kpop demon hunters” è un vero polo di attrazione per la gen z e non c’è da stupirsi se sta giorno dopo giorno ribaltando le classifiche Netflix di tutti i continenti. Nonostante il disimpegno apparente con cui si presenta infatti, è un prodotto ben riuscito, di altissima qualità grafica, ma anche musicale, e in linea col target che si propone di raggiungere, quello dei giovani, non solo adolescenti, e degli amanti di un Paese, la Corea del sud, che sta velocemente diventando, grazie alla sua cultura, alle sue tradizioni e alla sua musica, un vero e proprio faro per un’intera generazione.
Note positive
- Animazione spettacolare e ricchissima di riferimenti coreani
- Colonna sonora potente, orecchiabile e ben integrata nella narrazione
- Personaggi carismatici e strutturati con ironia e profondità
- Equilibrio tra folklore tradizionale e cultura pop contemporanea
- Cura minuziosa nei dettagli grafici e culturali
Note negative
- La densità simbolica potrebbe disorientare chi non conosce la cultura coreana
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Regia |
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Animazione |
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Sceneggiatura |
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Colonna sonora e sonoro |
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Interpretazione |
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SUMMARY
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4.0
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