Il 15 Ottobre alla 16°edizione della Festa del cinema di Roma in sala Petrassi, dei vari Incontri Ravvicinati in rassegna, si è tenuto quello con i Manetti Bros, cineasti romani noti al grande pubblico sia per la rinomata serie dell‘Ispettore Coliandro ma anche per gli ultimi due successi cinematografici: Song’e Napule (2014) e Ammore e Malavita (2017). Quest’ultimo ha spopolato anche ai David di Donatello 2018 ricevendo ben cinque riconoscimenti. Ma ora li attende una nuova sfida…
Il 16/12 infatti uscirà in tutte le sale italiane il loro nuovo progetto, già pronto da due anni (rimandato causa covid): Diabolik (2021) con protagonisti principali Luca Marinelli, Miriam Leone e Valerio Mastandrea. Cercheranno dunque di portare sul grande schermo la celebre graphic novel di Angela Giussani, dopo il tentativo di Mario Bava nel 1968

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INCONTRO CON I MANETTI BROS.
Quando vi è venuto in mente di diventare registi? E di chi è stata prima l’idea?
Marco Manetti: Per questioni anagrafiche il primo a voler divenire regista sono stato io, è un qualcosa che mi sentivo sin da piccolo. Addirittura in seconda media scrissi un racconto…Una commedia gialla per la precisione, che nonostante non venne presa per la recita, ricevette comunque le lodi dei miei professori. Da quando invece il tutto è divenuto più professionale, come tanti ho fatto la gavetta e poi sono partito all’estero per andare a fare l’aiuto regista.Tornato in Italia girai il mio primo cortometraggio e al contempo anche mio fratello ne aveva realizzato uno. Però decidemmo fin da subito di metterci insieme e così nacque l’episodio Consegna a Domicilio del film De Generazione (1994)
Possiamo dire dunque che per un momento vi è stata competizione tra voi?
Antonio Manetti: L’essere fratelli attenua molto l’indole competitiva, spesso scriviamo (o diciamo) chi ha fatto cosa, però non ricordo momenti di competizione. Abbiamo sempre condiviso messe in scena sin da quando usavamo le nostre primissime videocamere, e io al tempo la vedevo ancora di più come un gioco, tant’è che a differenza di mio fratello non ero così sicuro che sarei diventato un regista, anzi essendo il minore tra i due, temevo di risultare una semplice imitazione
Marco Manetti: Se si guarda la storia del cinema, il regista nel 90% dei casi è un singolo e le poche volte che un duo funziona si tratta quasi sempre di fratelli. Noi non siamo mai stati in competizione, ci può essere quella del momento relativa a differenti modi di concepire la scena, ma alla fine termina con uno solo dei due che vince e l’altro non se ne fa mai problemi
Nel vostro duo come dividete il lavoro ?
Marco Manetti: Diciamo che noi siamo molto metodici sul set, ma come si sa il cinema prevede una fase di pre – produzione e una di post – produzione. Ecco quest’ultima potremo definirla la più caotica. I film, eccezioni permettendo, si devono finire sempre nel tempo prestabilito e il nostro sistema di usare Antonio (Antonio Manetti) come operatore alla macchina porta me a parlare più con gli attori e lui a occuparsi maggiormente delle riprese. Avere un operatore regista d’altronde è un grosso vantaggio, dato che può fare quello che vuole senza seguire dettami da nessuno. Questa è una delle ragioni per le quali i nostri attori sul set sono molto liberi, proprio perché non hanno particolari indicazioni da seguire essendo mio fratello a inquadrarli e a “raggiungerli” con la macchina.
Tu (rivolto ad Antonio Manetti) dunque stai in macchina? Lo sai che un tempo era considerata quasi una pratica proibitiva?
Antonio Manetti: Si, è vero sono io che sto in macchina, ma devo dire che il nostro modo di fare cinema è cambiato molto sul set. Per questo la distinzione per la quale io mi occupi esclusivamente d’inquadrature e mio fratello degli attori assume poi un aspetto fittizio. Infatti lui quando vuole può cambiare una ripresa e io quando voglio posso parlare agli interpreti. Sul mio ruolo da operatore inoltre seguo l’attore perché lo considero più importante della luce, perciò lo inquadro anche se esce dalla zona prestabilita
Marco Manetti: Per dirla con una battuta… Aderiamo a pieno titolo al Comitato per la liberazione della macchina da presa
IN MERITO AL FILM PIANO 17 (2005)
Quando uscì questo film diceste che grazie anche a un budget più esiguo siete riusciti a spaziare maggiormente. Ora come la vedreste questa affermazione?
Marco Manetti: Per noi è l’inizio di come siamo oggi. Venivamo da due esperienze antitetiche. Una positiva con la serie de L’Ispettore Coliandro, l’altra nefasta con Zora la Vampira (2000) che ci ha fatto sentire “non liberi”. Questo dimostra che il budget non sia tutto, poiché nonostante i grandi finanziamenti messi da Cecchi Gori per Zora, con i 70 mila euro di Piano 17 ci siamo subito resi conto che abbiamo girato un film importantissimo. Una pellicola così importante che a fine riprese mi misi a piangere, conscio di non poter avere più accesso a tale libertà. Fortunatamente mi sbagliavo. Ciò non significa che siamo due “sboroni” infatti sappiamo perfettamente cosa dobbiamo fare per mantenere tale “status” e come cercare di evitare d’incappare in altri progetti a noi poco affini
Antonio Manetti: Si, diciamo che questo film è stato il nostro trampolino di lancio, poiché ci ha fatto capire come volessimo che fosse concepito il nostro metodo di lavoro. E Zora anche è stato molto utile da questo punto di vista, perché ha rappresentato la nostra nemesi, ovvero ciò che non vorremmo più ripetere al livello di esperienza sul set
Marco Manetti: Siamo liberi e sappiamo che questa è la cosa più importante. Ora con la Mompracem s.r.l (casa di produzione) stiamo mettendo sempre più mano nella parte produttiva, tanto che anche quando non finanziamo noi i film richiediamo sempre una clausola per poter comunque intervenire in tale fase
IN MERITO AL RAPPORTO SPECIALE CON BOLOGNA
Dal termine che avete utilizzato: “sboroni” si capisce che siete molto legati (anche linguisticamente) alla città di Bologna
Antonio Manetti: Bologna è per noi una città d’adozione professionale. Lì abbiamo girato tutte le 8 stagioni dell’Ispettore Coliandro, ciò ci ha permesso di conoscere la gente del posto ma anche di creare diverse professionalità lavorative. Per tutti questi motivi abbiamo un rapporto d’oro con la città, con il Film Commission e con la Cineteca.
Marco Manetti: Noi Siamo romani, ma Bologna è come se fosse “La nostra Roma”, I bolognesi sono ostici ma alla fine li abbiamo conquistati. Coliandro è divenuto oramai una maschera della città e perciò ci conoscono tutti e questo non può non piacerci. Sulla cineteca ci terrei a dire che è un posto fantastico nel quale si respira il “vero cinema” ed è triste che sia più popolare all’estero che in Italia
IN MERITO AL FILM L’ARRIVO DI WANG (2011)
Piano 17 come avete detto è stato un perno per la vostra carriera, durante L’arrivo di Wang invece, come vi sentivate?
Marco Manetti: Questi due film sono i nostri preferiti, due prodotti fatti in casa. Mentre stavamo girando Coliandro volevamo anche tornare alla ribalta nel mondo del cinema con un film che nello stile ricordasse Piano 17. È successo che avevamo un ufficio con una società di effetti speciali (con cui ancora oggi collaboriamo), la quale al tempo ci propose di produrre un corto che sarebbe stato il loro biglietto da visita. Mentre scrivevamo però il corto non veniva ed è per questo che abbiamo deciso di risentirci con l’azienda proponendogli un lungometraggio in cui avrebbero partecipato in veste di co-produttori. In tutte queste scelte inoltre è doveroso menzionare Luciano Martino, una figura cardine per la nostra esperienza e non solo.
Antonio Manetti: Eravamo rinati con Coliandro ed eravamo ricercatissimi per diversi progetti che però non ci convincevano, motivo per cui ne abbiamo rifiutati parecchi, con la paura di non poter ritrovare più niente. Luciano Martino ci ha dato la forza di osare, insegnandoci ad avere coraggio nelle nostre scelte e questo film ne è stata la dimostrazione. A Venezia fu accolto con clamore, i giornali titolarono “Un alieno a Venezia” per quanto in Italia siamo disabituati a fare un cinema così di genere.
IN MERITO AL FILM SONG’E NAPULE (2013)
Com’è avvenuta la scelta di Napoli, ma soprattutto come vi siete trovati nel girare lì?
Marco Manetti: Questo film è stato uno dei nostri più grandi successi ed è avvenuto proprio qui al Festival del cinema di Roma, dove la pellicola fu accolta da molti applausi. È stata l’ennesima garanzia di libertà creativa. Prima però abbiamo diretto Paura 3D (2012), ma dobbiamo ammettere che è stato un vero flop che ha seguito la medesima scia di Zora la vampira. Fu Luciano a suggerirci di girare a Napoli una storia di questo tipo, tanto che ci concesse di fare Paura 3D solo se poi avessimo realizzato anche questo progetto. Napoli dunque, per rispondere alla tua domanda sembrerà banale dirlo ma è una città ricca di stimoli per un cineasta ed è stata d’ispirazione anche per l’amatissimo film seguente (a oggi l’ultimo uscito in sala), figlio del meraviglioso rapporto con questo ambiente
I MANETTI BROS. SPETTATORI
Dopo aver discusso dei fratelli Manetti registi, come vi vedete da spettatori? Con quali film siete cresciuti?
Antonio Manetti: Abbiamo visto tantissimi film con le famose Vhs, registrando sia dai canali Rai che dalle televisioni private. Perciò vediamo e abbiamo visionato di tutto, ma il maestro per noi è Alfred Hitchcock. È attraverso i suoi film che vediamo “il Cinema” immergendoci totalmente nella settima arte.
Marco Manetti: Quando abbiamo un dubbio su come fare determinate inquadrature, le risposte le troviamo sempre nei suoi film. Però da adolescenti soprattutto, abbiamo visto tanta Nuova Hollywood fino ad arrivare anche a Steven Spielberg e a John Carpenter. Ecco se c’è una cosa che tutti i giornalisti riportano e che non ci rappresenta, con tutto il rispetto per il genere, sono proprio i B-movie.
IN MERITO AL FILM AMMORE E MALAVITA (2017)
Questo film è stato un piccolo miracolo, il modo in cui siete riusciti a fare questo musical è straordinario…
Marco Manetti: Una parola per descriverlo è ….. Incoscienza
Antonio Manetti: Dopo Song’e Napule come è stato già detto ci siamo innamorati di Napoli e della sua musica. Con Questo film abbiamo voluto portare la città sotto una veste folle, quella del musical, perciò sono d’accordo con Marco quando dice che si tratta d’incoscienza, alla quale però aggiungerei anche il tanto lavoro, soprattutto nel gestire le parti cantate all’interno della narrazione
Marco Manetti: Abbiamo cronometrato i tempi della musica e della narrazione presenti in tutti i musical che conoscevamo e quello con il miglior dosaggio è risultato Grease(1978). Durante le visioni, guardando i musical nostrani, ci siamo resi conto che le canzoni occupavano un ruolo esclusivamente di contorno, senza portare avanti la storia. A differenza di Flashdance (1983) dove What a Felling funge da turning point dell’intera vicenda. Noi non sappiamo scrivere canzoni e il modo migliore di riuscire nell’impresa è stato quello di trovare dei brani su cui poi poter rielaborarci sopra delle nostre versioni.
IN MERITO ALLA NUOVA USCITA : DIABOLIK (IL 16/12 SOLO AL CINEMA)
Una parola prima di visionare questa sequenza?
Antonio Manetti: Forse la mia sarà una risposta burocratica, ma vi prego di non fare alcun filmato e di non mandare in giro niente. Perché ci teniamo veramente
Marco Manetti: Questo film per noi è stato a oggi il punto più alto della nostra carriera. Riuscire a mettere in scena un fumetto che abbiamo sempre amato fin da piccoli può considerarsi un ottimo traguardo. Tutto ciò ci porta a essere tesi, emozionati ed è per questo che vogliamo godercela in mezzo al pubblico, scendendo da questo palco
[Manetti Bros. scendono dal palco godendosi lo spettacolo dalle poltrone della platea]
Dopo la scena mostrata al pubblico della Sala Petrassi, si conclude così l’incontro con i cineasti. Perciò il 16/12 correte in sala a vedere il loro ultimo film: Diabolik, dato che è un progetto vitale per tutto il panorama cinematografico nostrano.
In conclusione non resta altro che fare un grande in bocca al lupo ai fratelli Manetti per quello che sarà il giudizio finale su questa nuova avventura