Le mura di Bergamo (2023): quando l’umanità si riscoprì fragile

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Locandina de Le mura di Bergamo (2023)

Le mura di Bergamo

Titolo originale: Le mura di Bergamo

Anno: 2023

Nazione: Italia

Genere: documentario

Casa di produzione: Iervolino & Lady Bacardi Entertainment, Rai Cinema

Distribuzione italiana: Fandango

Durata: 119 minuti

Regia: Stefano Savona

Sceneggiatura: Stefano Savona

Fotografia: Stefano Savona, Danny Biancardi, Sebastiano Caceffo, Alessandro Drudi, Silvia Miola, Virginia Nardelli, Benedetta Valabrega, Marta Violante

Montaggio: Francesca Sofia Allegra, Davide Minotti, Sara Fgaier

Musiche: Giulia Tagliavia

Attori:

Trailer italiano de Le mura di Bergamo

Dopo l’anteprima mondiale al 73. Festival Internazionale del Cinema di Berlino, il film documentario Le mura di Bergamo di Stefano Savona arriva nei cinema italiani il 23 marzo 2023, distribuito da Fandango, accompagnato da un tour con l’autore. Il film, prodotto da Iervolino & Lady Bacardi Entertainment con Rai Cinema, realizzato con il supporto di Danny Biancardi, Sebastiano Caceffo, Alessandro Drudi, Silvia Miola, Virginia Nardelli, Benedetta Valabrega, Marta Violante, racconta l’arrivo della pandemia di COVID-19 in Italia, in particolare a Bergamo: una città che, come un unico organismo si scontra e reagisce al virus, rendendo la maglia di connessioni tra le vite degli abitanti ancora più stretta e forte. Il documentario è stato designato del premio “Film della critica” dal Sindacato Nazionale Critici Cinematografici Italiani – SNCCI con la seguente motivazione:

Stefano Savona conferma la capacità di raccontare il trauma che da personale si fa collettivo e mostra Bergamo come una città lacerata esattamente come il corpo dei suoi abitanti. Un lavoro complesso, stratificato, che scava nella memoria dolorosa del recente passato senza mai trasformarsi in cronaca del dolore, ma suggerendo la necessità della memoria.

Trama de Le mura di Bergamo

Bergamo, marzo 2020. La città, dentro le sue mura, è un corpo malato. È un insieme di cellule, di tessuti, di organi che non riescono più a comunicare. Le strade si sono svuotate, gli scambi azzerati, gli incontri proibiti. Disconnesso dagli altri, ogni corpo è solo all’interno delle sue mura. Ogni immagine, ogni memoria è un frammento fragile del mosaico che fino a ieri componeva la città. In ospedale, nel buio della notte, ci sono i corpi paralizzati di chi non riesce più a respirare. Medici e infermieri sono i custodi di questi corpi da consolare, da rianimare, da sedare, da smaltire, corpi che conservano in sé frammenti di memorie che emergono dal buio della coscienza. Dopo gli incubi di questa notte infinita, i sopravvissuti si risvegliano in una città sconosciuta. Il desiderio di fare ritorno a casa è forte ma altrettanto forte è il terrore di non ritrovare chi si era lasciato. Incrociano gli sguardi, cercando nei volti dietro le maschere un confronto e un conforto. Nei loro silenzi c’è il bisogno fortissimo di trovare le parole per cominciare a condividere quello che è successo a ognuno di loro, la gratitudine e il senso di colpa per essere sopravvissuti. Il corpo della città è un organismo devastato che prova a reagire. Medici, infermieri, pazienti, volontari, e anche chi non ha vissuto direttamente il dolore della malattia, tutti cercano un proprio ruolo nel processo di guarigione della città. Raccogliere e raccontarsi le storie di chi non c’è più diventa una maniera per rielaborare il lutto privato e collettivo e per ragionare sul bisogno di una nuova ritualità della morte. Le Mura di Bergamo è un film che crea connessioni tra memoria e futuro, per accompagnare questa collettività, lungo le prime fasi della paziente opera di ricomposizione di quel tessuto intimo, familiare e sociale, che la pandemia ha lacerato. Il protagonista di questa storia è la città, un corpo sociale che, come ogni organismo vivente, è costituito innanzitutto dalle infinite connessioni tra le sue parti. Le parole, gli sguardi, i gesti, i silenzi che questa narrazione testimonia sono un tentativo di rendere conto di qualcuna di queste connessioni, con la speranza che, rendendole visibili, il racconto cinematografico possa contribuire a consolidarle.

Fotogramma de Le mura di Bergamo
Fotogramma de Le mura di Bergamo

Recensione de Le mura di Bergamo

Tre anni fa, a marzo del 2020, abbiamo attraversato un’Italia deserta per arrivare a Bergamo nel mezzo di una crisi mai vista. Per una volta non ero partito da solo con la mia telecamera per provare a raccontare, come avevo fatto per la rivoluzione in Egit to o l’invasione israeliana della Striscia di Gaza, una realtà complessa, un conflitto, una zona di crisi. Per una volta mi accompagnava un gruppo di giovani registi, già miei studenti al corso di documentario del CSC Palermo, con i quali avremmo provato a fare qualcosa che per me, anzi per ognuno di noi, era completamente nuovo: moltiplicare i punti di vista per provare a imbastire un racconto corale di una realtà sfaccettata e complessa, quella di una intera città che si ritrova da un giorno all’altro in vestita da una catastrofe imprevista e imprevedibile, nei confronti della quale ogni certezza si è sgretolata e ci si è scoperti totalmente impreparati. In punta di piedi abbiamo iniziato a filmare le vite di chi, rischiando in prima persona, cercava di a ffrontare, capire e superare l’emergenza che ci stava investendo tutti

Stefano Savona

Stefano Savona si cimenta dentro un progetto cinematografico alquanto complicato e suggestivo: il tentativo di andare a raccontare l’epoca tragica del Covid sul suolo Italiano, specialmente quello di Bergamo, la città devastata dal suono delle ambulanze e dall’odore della morte nel marzo 2020, un momento storico che, purtroppo, ha segnato, nel profondo, l’animo di ogni cittadino bergamasco, ma non solo, anche quello del resto d’Italia, che da un giorno all’altro ha dovuto imparare a fare i conti con la morte, non più un’entità lontana ma un elemento costantemente vicino a noi e che avvolgeva, come una cappa oscura e fredda, ogni nostro pensiero e ogni nostro istante di vita. Il Covid ci ha fatto riflettere su ciò che siamo e sulla nostra fragilità, ci ha fatto comprendere che non siamo immortali, ma solo esseri viventi in balia del destino, dove un minuscolo virus può condurci nell’oblio e alla distruzione. Sotto svariati aspetti il Covid ci riporta, non tanto alla Spagnola, ma piuttosto al tempo della Peste medievale, dove gli esseri umani morivano come mosche, dando vita a società impiantante sulla paura e sul terrore del contagio. A Bergamo, ma non solo, tutti i cittadini temevano il contagio, temevano di ammalarsi, perché infettarsi significava rischiare, pesantemente, di morire, soprattutto in un’età avanzata. Stefano Savona, documentaristica multipremiato con Primavera in Kurdistan (2006) e Piombo fuso (2009) ci riporta in quei giorni, dentro gli ospedali strapieni di gente e di uomini che lottano per respirare, avvolti da caschi e tubi che diventano la loro unica ancora di salvezza. Il cineasta però non è tanto interessato al racconto della malattia dal punto di vista medico, perdendosi entro inutili spiegazioni scientifiche sulla funzionalità del virus, ma intende raccontarci l’approccio umano e umanitario alla patologia, raccontando, in prima persona, coloro che hanno avuto a che fare, in maniera diversa, con il Covid. Le mura di Bergamo così segue e ascolta le vite e le dichiarazioni di alcuni infermieri, di una donna che si occupa di onoranze funebri e di uomini e donne che hanno lottato contro il coronavirus SARS – CoV-2.

Storie di vita durante e dopo il Covid

Il lungometraggio ha inizio nelle vie di una Bergamo oscure e silenziose. Nessuno cammina per le strade, ad eccezione delle ambulanze che viaggiavano a tutto andare, trasformando il suono delle loro sirene come un presagio di morte e di terrore, che ancora oggi, nel 2023, vive in noi. Ogni volta che sentiamo il suono dell’ambulanza, il nostro cuore, a livello inconscio, fa un tremito riconducendoci a quel ricordo spaventoso.  Stefano Savona decide di sfruttare questo suono per rifarci ripiombare nell’oscurità del 2020, trascinandoci dentro gli ospedali, mettendoci a contatto con uomini e donne che lottano contro una malattia ancora del tutto misteriosa. Uomini che devono affrontare la solitudine dagli affetti nel momento a loro peggiore, l’istante in cui potrebbero morire. Il regista ci racconta con grande umanità e oggettività la solitudine di queste persone, che da sole devono affrontare il dolore della malattia e la paura della morte senza un sorriso familiare accanto a loro, se non quello degli infermieri che tentano di donare un pizzico di dolcezza e affetto a quelle persone che sono entrati dentro un vortice di terrore. Interessante anche il racconto degli infermieri e di coloro che lavorano al centralino degli ospedali, lavoratori che si vedono costretti, a causa di strutture sanitarie al collasso a causa degli eccessivi tagli di governo alla sanità, a scegliere chi può avere una speranza per vivere e chi invece no. In quei reparti non c’è posto per tutti, quindi alcuni possono avere una chance di salvarsi mentre, chi è troppo anziano o troppo fragile, viene lasciato a sé stesso e alla malattia, venendo privato della speranza. Una responsabilità brutale e pesante che ricade sui cuori e sugli spiriti di quegli infermieri, perché come si fa a essere sicuri di chi può vivere e chi può morire? Come si ha la certezza di aver scelto erroneamente chi curare e chi no?

L’arco narrativo che ci concentra sull’ospedale è con certezza quello di maggior spessore drammaturgico possedendo i giusti ritmi narrativi, riuscendo a tenere alta l’attenzione dello spettatore, risultando come un ottimo cortometraggio visivo pieno di pathos e che sa come toccare le corde dell’animo umano. Il resto de Le mura di Bergamo possiede storie piene di umanità ma il documentarista non riesce a donare un buon ritmo alla vicenda, ricadendo entro una pesantezza narrativa, anche a causa di un’eccessiva durata, ben 2h, quando ci poteva narrare il tutto entro 1h 30 minuti, una durata più che giusta, per questo tipo di storia. Post – ospedale entriamo a contatto con degli anziani che hanno preso la malattia, che hanno lottato con la morte e che ora sono in attesa del tampone negativo, quel tampone che li riporterà a casa e forse alla normalità, ma come si fa a ritornare alla normalità dopo essere stati così vicino alla morte? Come fa a ritornare alla vita di sempre una donna che è sopravvissuta miracolosamente al Covid – 19 ma che ha perso, proprio in quei giorni, per quella stessa malattia suo marito, che si era contagiato insieme a lei. Come farà a superare il senso di colpa per essere sopravvissuta al marito? Gli stessi sopravvissuti o coloro che non hanno avuto perdite familiare, ricadono entro una sorta di senso di colpa, per coloro che hanno perso la vita, chiedendoci perché loro e non io?

La nostra scommessa era quella di restituire i movimenti di una comunità in resistenza. Ognisera per molti mesi ci siamo riuniti a guardare le immagini raccolte, cercando di trovareiraccordi invisibili che le univano, come fanno le vie e le strade di una città con le persone.E poi ci siamo lasciati condurre lungo le mura di Bergamo, fino a un luogo che affettivamenteabbiamo ribattezzato “la Montagnola”. In questo luogo fisico, unangolo di giardino ricavatosopra un antico bastione della cinta muraria monumentale, tutte le storie che abbiamointercettato, così come i loro protagonisti, hanno potuto incontrarsi, raccontarsi, scoprirsisimili o diverse dalle altre decine di storie che la pandemia aveva provato a cancellare. Neinostri incontri alla Montagnola abbiamo assistito a una collettività che piano piano riprendela parola, prima con pudore e con paura, e poi sempre di più con la consapevolezza chesolo da questo sforzo per trovare il modo di raccontarsi quello è successo nelle settimanedell’isolamento, della paura e del lutto, la città può cominciare a curare i suoi traumi e i suoiabitanti ritrovare il senso del loro stare insieme.Per altri due anni siamo tornati a Bergamo per documentare questo rituale collettivo dirielaborazione del lutto che avevamo visto nascere e di cui questo film-memoriale si è volutofare portavoce

Note di regia

Proprio per superare i blocchi interiori di persone divenute dei sopravvissuti dinanzi ai loro cari, che non hanno neppure visto morire e di cui non hanno neppure potuto celebrare un reale funerale fisico, un gruppo di volontari dà vita a un gruppo di ascolto, un metodo sia per creare la memoria scritta dell’evento, sia per aiutare i sopravvissuti a superare dei traumi interiori. Il film così, seppur non in maniera ottimale, racconta una serie di testimonianze dolorose di quei giorni oscuri ancora così freschi nella nostra mente.

Fotogramma de Le mura di Bergamo
Fotogramma de Le mura di Bergamo

In conclusione

La pellicola segue una struttura narrativa ben precisa per raccontare Bergamo e il suo dolore connesso al Covid, partendo con il racconto degli ospedali, per poi parlarci dei sopravvissuti e dei loro tormenti interiori, fino a intraprende una sorta di viaggio di ascolto e di comunità per superare i propri traumi che questa malattia ha lasciato in noi e nella società. Il film però, seppur interessante, si dimostra eccessivamente lento, anche a causa di una scelta di montaggio non del tutto azzeccata con delle immagini d’archivio storico sulla vita anni ’60 –’70, che non donano minimamente significato aggiuntivo alla narrazione.

Note positive

  • Tematica
  • I racconti di vite
  • La parte dell’ospedale e sugli infermieri
  • Valore culturale – umano

Note negative

  • Il montaggio, che non dona ritmo alla storia
  • Le scelte dei video d’archivio
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