L’inquilino del terzo piano (1976): La crisi della realtà in un incubo kafkiano

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locandina - poster L'inquilino del terzo piano (1976)

L’inquilino del terzo piano

Titolo originale: Le Locataire

Anno: 1976

Paese:  Francia

Genere: Drammatico

Produzione: MARIANNE PRODUCTIONS S.A.

Distribuzione: CIC

Durata: 125 min

Regia: Roman Polanski

Sceneggiatura: Roman Polanski, Gérard Brach

Fotografia: Sven Nykvist

Montaggio: Françoise Bonnot

Musiche: Philippe Sarde

Attori: Roman Polanski, Isabelle Adjani, Melvyn Douglas, Jo Van Fleet, Bernard Fresson, Lila Kedrova, Claude Piéplu, Rufus

Trailer americano de L’inquilino del terzo piano

Trama de L’inquilino del terzo piano

Trelkowsky, un modesto impiegato polacco, è alla ricerca di un appartamento nella capitale francese. Ne trova uno che era stato poco tempo prima abitato da una giovane ragazza di nome Simone Choule che però, proprio all’interno del luogo, ha deciso di gettarsi dalla finestra per suicidarsi.

L’impiegato dunque si reca da Simone ricoverata all’interno di un ospedale in pessime condizioni. Lei è completamente fasciata, l’unica parte visibile sono gli occhi e la bocca. Alla vista dell’uomo lei ha una crisi isterica. Trelkowski farà ritorno a casa sconvolto dall’evento e niente sarà più lo stesso.

Fotogramma de  L'inquilino del terzo piano
Fotogramma de L’inquilino del terzo piano

Recensione de L’inquilino del terzo piano

Se mi tagli la testa cosa dirai? Me e la mia testa o me e il mio corpo.Che diritto ha la mia testa di chiamarsi me!

L’inquilino del terzo piano

Che Polanski fosse un grande ammiratore delle opere kafkiane, era già noto. Il capolavoro che lo ha consacrato al mondo del cinema e del grande pubblico, Rosemary’s baby (1968), era già vicino, sotto molti aspetti, alla rappresentazione di un mondo che pareva essere uscito dalle pagine di un racconto dell’autore praghese. Rosemary’s baby è un film che ha lasciato un segno profondo sul cinema a venire, circondato da coincidenze inquietanti, visto quanto accaduto poco più tardi alla famiglia Polanski in quel tristemente famoso 9 agosto 1969. Con L”inquilino del terzo piano (The Tenant), del 1976, tutti i fantasmi e le inquietudini che pervadono la mente del regista trovano la porta principale dalla quale venire fuori e prendere per mano, con una forte morsa, lo spettatore inerme. Una regia pulita, asettica, senza virtuosismi ma con la virtù di partorire una tranche de vie su un continuum di situazioni quotidiane.

L'inquilino del terzo piano (1976)
L’inquilino del terzo piano (1976)

Trelkovski un personaggio Kafkiano

Il protagonista, Trelkovski,  un polacco naturalizzato francese, come un antieroe modernista, come un inetto verso la vita, vaga per le strade di Parigi spesso senza una meta precisa; un uomo probabilmente fragile in partenza, non sappiamo nulla su di lui, solo che è un modesto impiegato. Insomma, il quadro di un uomo comune.

È molto difficile trovare un appartamento nella Parigi dei settanta, ma il nostro protagonista è fortunato; se così si può dire. Trova un appartamento che pare una manna dal cielo, appartamento che da pochi giorni è stato teatro di un tentato suicidio da parte della precedente inquilina, una giovane ragazza di nome Simon. Trelkovski è turbato da tale avvenimento, ma crudelmente si insinua nella sua mente una sinistra gioia nel potere dunque occupare l’abitazione. È qui che l’incubo  ha inizio, una discesa nel baratro che porterà il protagonista, vittima della paranoia, a identificare se stesso con Simon.

Come si arriverà a questo punto? Beh, Kafka ci ha insegnato che l’orrore e l’incubo si nascondono nella realtà quotidiana e Polanski, forte di questa lezione, crea attorno ai claustrofobici spazi dell’appartamento “maledetto” un mondo grottesco, popolato da sinistri vicini e da un padrone di casa che pare la personificazione del male.

Questa situazione porterà Trelkovski ad assistere a un teatrino di scene inquietanti, strani comportamenti, sguardi ambigui, situazioni che non faranno altro che confondere la sua fragile psiche e accrescerne il senso di disagio; sempre attento a non fare chiasso per non disturbare i vicini, per paura di un confronto con loro. Ma tutto ciò è reale?

Questo sinistro mondo esiste oppure è frutto della mente del protagonista, vessato dalla paranoia generata da un appartamento con una terribile storia scolpita nelle sue mura?

Fotogramma de L'inquilino del terzo piano (1976)
Fotogramma de L’inquilino del terzo piano (1976)

Non lo sapremo mai, non sapremo se quello che abbiamo visto sia reale, irreale, o addirittura sia frutto della mente di persone terze: parliamo di Simon, la giovane suicida che potrebbe aver sublimato il suo amore verso la sua amica Stella (Simon non è etero) attraverso il parto nella sua mente di una figura maschile che potrà quindi corteggiarla e che poi, per noi spettatori, sarà l’inetto Trelkovski.

Il finale resta aperto alle interpretazioni del pubblico, ma i messaggi semantici che Polanski ci porta sono estraibili dall’analisi della figura del protagonista, sempre ammesso che esso esista davvero, ossia la figura dello straniero e dell’alienato nella società; termini questi che spesso vanno a braccetto. I vicini macabri sono la rappresentazione della società, spietata e incurante delle identità altre e delle vite altrui.

La mente di Polanski si mostra con il fascino che da sempre genera sugli spettatori, una mente che ci mostra, attraverso il cinema, che il terrore è sotto il nostro naso, sotto i nostri occhi, lo vediamo ogni giorno e non basta barricarsi in casa e porre dei mobili davanti alla porta, ma che cascarci dentro, sprofondando in un baratro di follia, è questione di un attimo; spesso il contesto attorno a noi può palesare questo terrore.

È questo il vero incubo, l’incubo di una realtà che dietro le sue apparenze nasconde un mondo grottesco fatto di odio e pregiudizi, quelli verso Trelkovski per il suo essere straniero, ammesso sempre che egli esista, e quello verso Simon, lesbica, che se davvero ha generato il protagonista nella sua mente, lo ha fatto per sopperire all’impossibilità di esprimere i propri sentimenti verso un’altra donna a causa dei pregiudizi della società sulla questione.

In conclusione

Una lezione di cinema, un esempio di come tenere lo spettatore inchiodato alla sedia e confonderne le convinzioni. Uno dei picchi più alti della carriera di Roman Polanski.

Note positive:

  • Le musiche, ripetitive ma disturbanti al punto giusto.
  • La regia fredda e asettica che accresce il senso di paranoia.
  • Piccoli dettagli, quali sguardi o oggetti, che accrescono il disagio.
  • Una sceneggiatura che non lascia buchi, arrivando a mostrarci un finale perfettamente interpretabile soggettivamente.

Note negative:

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