L’odio: la rabbia di 3 giovani nelle banlieue senza colori degli anni ‘90

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Scheda film
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L’Odio – Recensione film

 Titolo originale:    La Haine

 Paese:   Francia

  Anno:   1995  

Dati tecnici:   B/N 

Genere:   Drammatico

CAST TECNICO

Regia:   Mathieu Kassovitz

Sceneggiatura:   Mathieu Kassovitz

Fotografia:   Pierre Aim

Montaggio:   Mathieu Kassovitz, Scott Stevenson

Musiche:   Vincent Tulli

Durata:   95 min 

Distribuzione:   Mikado Film, Mondatori Video, L’unità Video

Produzione: Canal+, Cofinergie 6, Egg Pictures, Les Productions Lazennec

CAST ARTISTICO

Vincent Cassel, Saïd Taghmaoui, Hubert Kounde, Edouard Montoute, Vincent Lindon, Mathieu Kassovitz, Peter Kassovitz, Karim Belkhadra, Abdel Ahmed Ghili, Solo, Rywka Wajsbrot, François Levantal, Héloïse Rauth, Marc Duret, Choukri Gabteni, Fatou Thioune

Film

L’odio – Recensione del Film

 Premiato a Cannes per la miglior Regia, L’odio è senza dubbio il consacramento professionale definitivo – e forse inaspettato – del giovane Mathieu Kassovitz, che a soli 28 anni realizza uno dei principali prodotti cult degli anni ‘90 tornando dietro la macchina da presa 2 anni dopo “Metisse”.

Che quello di Kassovitz con L’odio non fu un colpo di fortuna non lo certificano solo i riconoscimenti nazionali e internazionali di cui ha goduto la pellicola, ma anche i lavori futuri del regista; fra i principali troviamo “I fiumi di porpora” (2000), “Gothika” (2003), e “Babylon A.D (2008), lavorando con interpreti del calibro di Jean Reno, Penelope Cruz, e Vin Diesel, ma non solo.

L’odio è una vera e propria denuncia sociale, un urlo strozzato in gola di una parte di società ormai ghettizzata e repressa, che ha fatto ormai del tirare a campare il proprio scopo di vita.

In questi 95 minuti di racconto, Kassovitz ci sbatte in faccia la realtà senza se e senza ma, rendendoci testimoni inermi di uno scenario agghiacciante, che ci illustra come il tessuto sociale di alcune realtà sia ormai lacerato irreversibilmente, e che ci fa avvertire delle sensazioni di ansia e impotenza paralizzanti.

Il film è tratto da un fatto di cronaca realmente accaduto, dove un giovane delle banlieue perse la vita durante un interrogatorio di polizia il giorno seguente una violenta sommossa urbana.

TRAMA

Vinz (Vincent Cassel), Said (Said Taghmaoui), e Hubert (Hubert Koundè) sono 3 giovani abitanti di una banlieue parigina, da poco teatro di una violenta guerriglia urbana. Una giornata turbolenta scandita da eventi figli dei loro sentimenti di rabbia e disperazione.

ANALISI FILMICA

Dopo 2 lungometraggi di modesta rilevanza, Kassovitz decide di rompere gli schemi, portando sul grande schermo con coraggio e incoscienza un argomento non poco ostico in quel periodo in Francia, ovvero il degrado e la tensione sociale che imperavano nelle banlieue nel corso degli anni ‘90, banlieue che furono più volte teatri di scontri e violente sommosse urbane. Il regista però non passa all’onore della cronaca solo per aver creato un prodotto scomodo e controverso, ma anche per aver creato un’opera che consacra il talento di Vincent Cassel, con un personaggio su misura (Vinz), che lo porterà in seguito ad affermarsi come uno dei maggiori interpreti del cinema francese nel mondo.

L’odio non è il classico film che demonizza i quartieri di periferia etichettandoli come l’inferno in terra, dove nei momenti più sereni della giornata c’è una sparatoria; tutt’altro, la violenza “fisica” è quasi del tutto assente, e durante il trascorrere dei minuti si passa da scene di caos e disordine a momenti di svago e simpatiche gag tra i protagonisti, indorando la pillola allo spettatore e facendo venire sempre più a galla l’essenza quasi tragi-comica del film.

Proprio per le caratteristiche sopra citate e grazie a un particolare sviluppo dei personaggi, L’odio non pone una barriera moralistica tra noi e i protagonisti, anzi, ci fa immedesimare, patire e affezionare a loro.

Le ambientazioni, i costumi, e il linguaggio illustrati nel film sono curate nel dettaglio in modo talmente maniacale che ci mostrano il prodotto in modo drammaticamente realistico, proprio per la missione di Kassovitz di non volerci raccontare una storia ma una realtà, una cruda realtà.

Il bianco e nero è senza dubbio la chiave vincente, la componente che ci mostra il racconto ancora più crudo, ancora più reale, che ci mette davanti al fatto compiuto che il mondo che stiamo visitando non ha colori, ne speranza, e troppo spesso neanche via di scampo.

La caratterizzazione dei personaggi

I 3 differenti temperamenti dei protagonisti, vogliono mostrarci le diverse anime che compongono il complesso puzzle dei quartieri di borgata e dei ghetti; in questo caso infatti possiamo assistere alla rabbia cieca di Vinz, il rancore soffocato e razionale di Hubert, e la pura rassegnazione e abbandono di Said.

Per grandi tratti della pellicola possiamo assistere alla volontà dei 3 ragazzi di sfogare il proprio disagio e la propria repressione in modo quasi forzato, come a voler vendere la loro immagine come un qualcosa di potente e autorevole, ma persino nei momenti più movimentati del film dove i comportamenti dei 3 sono inaccettabili, non riusciamo a non giustificare i loro comportamenti, ovviamente non condividendole ma individuando nell’ambiente che li circonda il vero responsabile delle loro azioni.

Avendo dato già una buona overview sui protagonisti principali e sull’ambiente che li circonda, non possiamo non citare il protagonista forse principale del film, o almeno quello che rende il racconto ancor più ansiogeno e drammatico, ovvero la pistola che Vinz minaccia di usare contro i suoi nemici giurati, i poliziotti. L’arma che il giovane per tutto il film tratta come una reliquia, è stata persa da un agente di polizia durante la guerriglia urbana che ha scosso la banlieue nella notte precedente, ritrovata proprio dal “fortunato” Vinz.  Un oggetto senz’anima, capace però di inclinare e compromettere i rapporti fra i 3 protagonisti, in particolare fra Vinz e Hubert, che li vedremo discutere a più riprese proprio per il senso di onnipotenza che monta in Vinz da quando porta l’arma con se, ma l’arma in questo film non è solo un oggetto che potrebbe uccidere da un momento all’altro, ma rappresenta per il ragazzo l’unica sorgente di autostima e sicurezza, e che in più solletica il suo ego di finto criminale.

L’interpretazione degli attori è da brivido, e oltre a una sceneggiatura impeccabile possiamo ammirare una fotografia superlativa, diretta da Pierre Aim, collaboratore feticcio del regista con cui ha lavorato già in Metisse (2 anni prima), e nei precedenti 3 cortometraggi dello stesso Kassovitz.

Possiamo dire in via definitiva che L’odio è un prodotto che ci impone di farci delle domande, che ci vieta di chiudere gli occhi, e che ci lascia talmente sgomenti e impotenti da farci sentire in qualche modo responsabili del ritratto di società a cui abbiamo assistito per 95 minuti, una società in declino che che accarezza il baratro giorno dopo giorno.

Un messaggio impossibile da non cogliere, che ha dato in quel periodo  a Kassovitz lo scettro di regista più scomodo di francia, scomodo soprattutto per i pionieri del mainstream che tentano di farci credere che la vita reale è quella che ci propinano ogni giorno in tv.

Note positive

  •  regia
  • Sceneggiatura
  • Musiche
  • fotografia

Note negative

  • nessuna
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