Mario Bava e Riccardo Freda: la nascita del cinema horror in Italia

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L’origine del cinema Horror Italiano

Il mostro di Frankenstein (1920) di Eugenio Testa è considerata da molti storici la prima pellicola dell’orrore realizzata in Italia. Purtroppo tale opera andò perduta e di essa rimangono solo il titolo e pochi frame.

La nascita di un vero filone horror in Italia lo si deve a due grandi personalità del settore: Riccardo Freda e Mario Bava, che nel lontano 1957 realizzarono I Vampiri (a sola firma di Freda), pellicola che attinge a piene mani dall’eredità lasciata dalla Hammer Film Productions, oltre ad anticipare diversi elementi del cinema di genere più moderno.

Non ci sono mostri nel film di Freda, ma esiste una realtà permeata di elementi fantastici, composta da scienziati pazzi, nobildonne che non vogliono morire e desiderano scoprire il segreto dell’eterna giovinezza, amori orribili che superano le soglie della morte

cit. Gordiano Lupi, Storia del cinema horror italiano

I Vampiri (1957)

Il film, scritto da Freda insieme a Piero Regnoli, riesce nell’intento di adattare elementi gotici a un contesto contemporaneo, sostituendo la figura classica del vampiro con una più moderna: un’aristocratica che estrae l’energia vitale dalle sue vittime per prolungare la propria vita.

Il regista inserisce in una struttura da thrilling, con il ritrovamento di un cadavere e la ricerca dell’assassino, elementi fantascientifici; è infatti un macchinario creato da un mad doctor a estrarre il sangue utile a ringiovanire la crudele Marguerite Du Grand, interpretata da Gianna Maria Canale e ovviamente ispirata alla contessa Erzsébet Báthory.

Bava e freda: i vampiri

Gli effetti speciali che permettono l’invecchiamento dell’attrice sono a cura di Mario Bava, il quale si occupò anche dell’elegante fotografia che, insieme alle scenografie di Beni Montresor (fortemente voluto da Freda), conferiscono alla pellicola un’atmosfera originale, rendendo credibile una vicenda fantastica ambientata nella nostra realtà e non in un passato irreale, come accadrà solo tre anni dopo ne La maschera del demonio (1960), film d’esordio e capolavoro dello stesso Mario Bava.

Nonostante sia ambientato a Parigi, il film fu girato in un teatro di posa romano in circa quindici giorni utilizzando dei modellini, anch’essi realizzati Bava e Freda. Purtroppo la produzione, dopo un violento litigio con il regista, fece girare un lieto fine a Mario Bava, smorzando così i toni della vicenda.

I Vampiri non ebbe il successo sperato, complice anche il fatto di aver utilizzato il vero nome del regista, visto che all’epoca non si era abituati a pellicole italiane di questo genere. Ma nel 1959 Freda, sotto lo pseudonimo di Robert Hampton, ci riprovò, realizzando quello che da molti critici è considerato il primo fanta-horror italiano: Caltiki il mostro immortale.

La sceneggiatura, ad opera di Filippo Sanjust (anche se nei titoli di testa è segnalato come “Philip Just da un’antica leggenda popolare messicana”), narra di una spedizione scientifica che si addentra in una giungla alla ricerca di una leggendaria città Maya che nel 607 d.C. fu inspiegabilmente abbandonata dai suoi abitanti. Gli scienziati Fielding e Gunther, dopo aver rinvenuto l’antico luogo, entreranno in contatto con una statua raffigurante Caltiki, dea della morte.

Già in questa prima parte della storia troviamo un’idea narrativa molto interessante:dopo che Gunther viene aggredito in una grotta, gli altri personaggi tentano di ricostruire l’accaduto osservando una pellicola girata dall’esploratore stesso prima dell’aggressione. L’espediente del filmato amatoriale ritrovato è oggi un elemento narrativo abusato, ma all’epoca era una grande novità: il film anticipa infatti Cannibal Holocaust (1980) di Ruggero Deodato di ben 21 anni.

Il design della creatura è senza dubbio ispirato a The Blob (1958) di Irvin S. Yeaworth Jr., così come la sua capacità d’inglobare tutto ciò che incontra, ma per scrittura sembra uscita da un racconto di Howard Phillips.

 freda regista
Riccardo Freda

Caltiki il mostro immortale (1959)

Lovecraft: Caltiki potrebbe infatti essere avvicinato a uno dei Grandi Antichi creati dallo scrittore di Providence, ovvero creature giunte sulla Terra ancor prima della nascita degli uomini, in attesa di essere risvegliati.

Mario Bava si occupò anche in questo caso degli effetti speciali, sbizzarrendosi con i dettagli macabri come cadaveri spolpati e braccia scarnificate. Il mostro, racconta Bava, fu realizzato utilizzando trippa bovina, mossa dall’interno grazie ad un tecnico, e ripresa con delle lenti deformanti; inutile dire che, col passare dei giorni, la grande quantità di carne iniziò a puzzare terribilmente.

Come I Vampiri (1957), anche questa pellicola fu girata principalmente in studio, con un ampio utilizzo di fondali dipinti e scenografie posticce, rese credibili dallo splendido bianco e nero, sempre ad opera di Bava (che in questa occasione si firmò John Foam).

La grande collaborazione tra i due autori rende ancora oggi difficile stabilire con esattezza di chi sia la paternità dell’operazione. Lo stesso Freda racconta, in un’intervista rilasciata a Luigi Cozzi nel 1971:

Non lo ritengo un mio film. Ci sono mostri, meduse spaziali: è roba di Bava, onestamente è il suo genere… Ci siamo trovati a casa di suo padre e abbiamo impostato il film. Poi l’ho proposto a una produzione che l’ha accettato… ma è tipico di Bava, non me lo annetto.

Da questo momento in poi l’Italia fu grande innovatrice nel campo dell’horror, sfornando pellicole estremamente interessanti e coraggiose, almeno fino alla prima metà degli anni ’80.

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2 commenti

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