Orphan: First Kill (2022): una nuova crisi d’idee

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Orphan: First Kill

Titolo originale: Orphan: First Kill

Anno: 2022

Paese: Stati Uniti d’America, Canada

Genere: horror, thriller

Casa di produzione: Dark Castle Entertainment, Eagle Vision, Entertainment One

Distribuzione: Paramount+

Durata: 98 minuti

Regia: William Brent Bell

Sceneggiatura: David Leslie-Johnson, Alex Mace

Fotografia: Karim Hussain

Montaggio: Josh Ethier

Musiche: Brett Detar

Attori: Isabelle Fuhrman, Julia Stiles, Rossif Sutherland, Matthew Finlan, Hiro Kanagawa, Morgan Giraudet

Trailer originale di Orphan: First Kill

Trama di Orphan: First Kill

Orphan: First Kill racconta cos’è successo due anni prima di Orphan, sorprendente thriller/horror del 2009 diretto da Jaume Collet-Serra che, nel corso degli anni, è diventato un piccolo cult moderno.

Estonia, 2007. Nel Saarne Institute, ospedale psichiatrico per criminali con il sistema di sicurezza più fallibile del mondo, arriva una docente di arte terapia per aiutare i pazienti. Non passano neanche cinque minuti, che l’intera struttura è in subbuglio: la temibile Leena Klammer (Isabelle Fuhrman), trentenne omicida affetta da nanismo armonico (causato da un difetto ghiandolare che ha bloccato la sua crescita all’età di 10 anni, intrappolandola per sempre nell’aspetto esteriore di una bambina), non si trova più. Dopo aver attuato la propria fuga lasciandosi dietro già un paio di cadaveri, Leena si mette alla ricerca di qualcuno che abbocchi al suo tranello preferito: fingersi una bambina, farsi adottare da una famiglia, derubarla e poi – se ce n’è l’occasione – sterminarne i componenti prima di sparire. E la sua occasione si presenta subito: della piccola Esther Albright, rampolla di un clan di milionari americani che (guarda caso) le somiglia tantissimo, si sono perse le tracce da quattro anni. Dopo essersi spacciata per Esther con l’inganno, Leena attraversa l’oceano e si inserisce nella grande villa degli Albright, riportando il sorriso sulle labbra del padre Allen (Rossif Sutherland) ma destando non pochi sospetti nella madre Tricia (Julia Stiles) e nel fratello Gunnar (Matthew Finlan): le conseguenze saranno spaventose, perché forse Leena/Esther non è l’unica ad avere qualcosa che non va.

Fotogramma di Orphan: First Kill
Fotogramma di Orphan: First Kill

Recensione di Orphan: First Kill

Rifacendosi a quello del primo film, il poster ufficiale, tradotto, recita “C’è sempre stato qualcosa che non va in Esther“. Ma qualcuno dovrebbe cambiarlo in “C’è sempre stato qualcosa che non va nei prequel usciti a un decennio di distanza dagli originali” oppure in “C’è sempre stato qualcosa che non va in William Brent Bell”.

Prima di addentrarci nella recensione vera e propria del film, c’è da fare una considerazione: il cinema horror mainstream contemporaneo, con tutti i pregi e i difetti che lo accompagnano, non è mai stato esente da periodi neri in termini di originalità. Basti pensare alle diverse ondate che dai primi anni Duemila hanno portato in sala principalmente serie di remake (i rifacimenti made in Usa dei vari Ring, Grudge, Shutter tra le pellicole provenienti dall’estremo Oriente; l’agghiacciante trittico prodotto da Michael Bay: Non aprite quella porta; L‘alba dei morti viventi; Amityville Horror) o sequel di film anche autoconclusivi riportati in auge dopo decenni (cosa che ha impattato pure il cinema non di genere: Top Gun: Maverick; Ghostbusters: Legacy; Hocus Pocus 2, in arrivo ad Halloween 2022 su Disney+): sotto diversi punti di vista, Orphan: First Kill è proprio figlio di una nuova crisi d’idee che sta attraversando un certo cinema commerciale, il quale ormai troppo spesso ripiega sulla riapertura di storie vecchie come il mondo per strappare qualche biglietto in più al botteghino.

Se il primo episodio poteva contare su una nutrita serie di elementi positivi (il cast, le scenografie, le musiche di John Ottman e soprattutto un solido colpo di scena difficile da anticipare), la scelta di rispolverare il personaggio di Esther a 13 anni di distanza, mantenendo come attrice protagonista la magnetica – e bravissima – Isabelle Fuhrman, meritava sorte migliore: negli ultimi vent’anni, il nuovo regista William Brent Bell ha sfornato alcuni dei peggiori esemplari di horror moderno (Stay Alive; L’altra faccia del diavolo; The Boy, solo per citarne alcuni), mentre la Fuhrman ormai ha 25 anni e, seppur abilmente ringiovanita con escamotage che mischiano il digitale a stratagemmi analogici (prospettive falsate, controfigure molto più minute di lei), non dà a Esther la stessa credibilità che aveva con 13 anni in meno sul groppone. Il problema principale del film, però, è la storia: dopo l’incipit in Estonia, girato con indubbia professionalità e che riesce pure a regalare qualche brivido, la tensione si affloscia subito, e la sceneggiatura firmata da David Leslie-Johnson (già autore del prototipo: che il nuovo copione sia stato scritto un po’ controvoglia?) e Alex Mace arranca in diverse occasioni, faticando a far combaciare dettagli che tornino con quanto si è visto nel film precedente.

I personaggi che compongono la “nuova famiglia” di Leena, poi, sono tagliati con l’accetta: troppo bidimensionali per suscitare un qualsiasi coinvolgimento del pubblico e quasi caricaturali nel proporre lo stereotipo della famiglia ultra-borghese, agiscono senza logica alcuna, invitando più volte allo sghignazzo. Non aiuta il fatto che siano interpretati da attori ben al di sotto di quelli del film originale: se lì trovavamo la nuova regina dell’horror (dopo aver interpretato la demonologa Lorraine Warren in The Conjuring) Vera Farmiga, il pur bravino Jimmy Bennett e un professionista come Peter Saarsgard, qua si va verso l’anonimato, a eccezione di una Juila Stiles tutto sommato in parte nel ruolo di una madre disposta a tutto pur di difendere la propria famiglia; la performance peggiore la regala Matthew Finlan – un simil-Timothée Chalamet che ha smesso di sognare e d’impegnarsi – nel ruolo di un insopportabile adolescente viziato, mentre Rossif Sutherland arreda, visto che il suo personaggio serve solo a dare un background a una delle passioni principali di Esther: la pittura con vernice invisibile che si rivela con la black light (chi ha visto Orphan, sa).

Almeno fino a metà film, quando si giunge a un inatteso twist degli eventi piazzato con arguzia, che non riveliamo: è proprio qui che un minimo d’interesse si riaccende, facendo gravitare la trama verso, ma è comunque troppo poco per salvare il film dal disastro: la regia di Bell si prodiga nel riempire i buchi di trama col gore (quasi assente nella pellicola originale) non riesce a governare né il crescendo di eventi, né la suspense (che poi, diciamolo: fin da subito è chiaro che la protagonista/antagonista può cavarsela alla grande in diverse situazioni rischiose…), sono pochissimi i guizzi di stile e in alcuni punte pare che fotografia e montaggio siano stati costruiti in cinque minuti. E la produzione ben curata del precedente, affidata tra gli altri a Leonardo DiCaprio, ha lasciato posto a una confezione che sembra quasi da b-movie girato in fretta: chiudendo un occhio per via delle riprese svolte durante la pandemia da Covid-19, si respira un generale clima di sciatteria senza molte giustificazioni. Non a caso, il film non ha ancora una data d’uscita prevista per il mercato italiano: in patria è uscito quasi sotto forma di evento, in cinema selezionati, per poi approdare direttamente allo streaming sulla piattaforma Paramount+, da noi non disponibile.

A questo punto, viene da chiedersi se i produttori non stiano di nuovo ricadendo in un vuoto penumatico d’idee, o se quelle più interessanti non stiano venendo cassate per puntare a qualcosa di più “facile” in termini remunerativi, per evitare il rischio di flop (che in questo caso, comunque, c’è stato: ben ti sta, Hollywood): gli ultimi due anni non sono stati facili per il mondo dello spettacolo, ma per un personaggio come quello di Esther sarebbe stato meglio rivedere la luce attraverso un’opera diversa, magari non destinata alle sale ma diffusa sul web (recentemente, com’era già successo a Scream e a diversi film horror simbolo di una generazione, Orphan è stato rivalutato dai reactors attivi sui social, guadagnando una nuova e meritata schiera di fan) dalla durata ridotta (i primi 10-15 minuti di questo sarebbero bastati), che evitasse gli scivoloni narrativi di questo First Kill.

C’è da sperare che, nel futuro prossimo del genere, questo trend di riesumare storie chiaramente non fatte per i seguiti muoia.

Fotogramma di Orphan - First Kill Hero
Esther/Leena

In conclusione

Strettamente riservato ai fan dell’originale, che vogliono approfondire di più la storia di un personaggio ormai cult come quello di Esther Coleman/Leena Klammer, o a spettatori di poche pretese: chi non si aspetta più del dovuto, può passare un’ora e mezza tra colpi di scena e qualche ammazzamento (il sottotitolo è First Kill per una ragione), senza pensare troppo alla logica degli eventi. Peccato, anche se questo risulta essere il titolo più riuscito di William Brent Bell: ed è tutto dire.

Note positive

  • Prologo efficace e girato con una certa cura per i dettagli
  • Colpo di scena godibile
  • L’attrice protagonista

Note negative

  • Regia a tratti sciatta e incapace di creare tensione
  • Interpreti di contorno poco convincenti
  • Montaggio un po’ televisivo
  • Incongruenze col primo film e poche idee in sceneggiatura
  • Impressione di essere girato in fretta
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