Paolo Virzì: Premio alla carriera al Lucca Film Festival 2022

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Dopo aver presentato Siccità a Venzia ’79, il cineasta livornese Paolo Virzì (La pazza gioia, 2016; Il capitale umano, 2013; la prima cosa bella, 2010) riceve al Lucca Film Festival 2022 il premio alla Carriera e in seguito mostra, prima dell’uscita ufficiale nelle sale italiane, la sua pellicola distopica catastrofica.

Video integrale con tutte le dichiarazioni di Virzì

Al suo arrivo sul palco Virzi ha fatto un messaggio d’amore rivolto alla cittadina di Lucca

Grazie Lucca, per tanti motivi. Il primo è per aver accolto i miei nonni sfollati da Livorno che partirono col Barroccio durante i bombardamenti, che vengono a Santissima Annunziata e mi dissero: Erano gentili, non come i Pisani. Poi mi raccontarono che erano stati vessati da contadini di Palaia che per duovi vollero una fede nuziale, invece a Lucca si stettero bene. Quindi avevo in famiglia un racconto positivo e affettuoso, infatti ci venivamo a mangiare la domenica, da Giulio pelleria, da Fratelli baralla ma anche verso San Giuliano, il coniglio con le olive… Qui ci sono tornato qualche volta per affetto, per diletto… I livornesi guardavano questo posto con un briciolo d’invidia ma anche però con ironia, di malizia, prendendo anche in giro, perché sapete che i livornesi hanno anche questa prerogativa, questo posto dove c’erano i contadini avari… Non è vero poi…. Guardalo c’è un maiale a tre zampe, vuol dire che è di un contadino Lucchese che lo mangia un po’ per volta… Col tempo a Lucca sono venuto a girare delle scene di un film della Pazza Gioia, è stato divertente per le vostre ville, qualche pubblicità. Però in effetti merita, oggi mi hanno fatto visitare la casa del maestro Puccini, qualche idea la dà… Basta trovare l’attore giusto. Devo dire che è bellissimo ritornare a Lucca è ritrovarla esattamente com’era, è una cosa rarissima e non succede da nessuna parte. Ho ricevuto l’invito e mi son detto: sai che c’è, l’anteprima del mio nuovo film ci fa a Lucca.

Paolo Virzi
Paolo Virzi

In seguito riguardo al suo lungometraggio Siccità ha dichiarato

Questo film che ho l’emozione di presentare qui a Lucca è il più complicato che abbia fatto, il più difficile, il più impegnativo e il più ambizioso, quello che ha avuto bisogno di maggiore lavoro, di maggiore sforzo e fatica, innanzitutto a livello immaginativo, essendo stato concepito in un periodo particolare della nostra storia. Ho iniziato a pensare all’idea di fare un film quando stavo partendo nel febbraio del 2020 per andare a Baratti, a girare una commedia e invece, con una conferenza stampa del presidente del consiglio Conte ci è stato detto che torneremo ad abbracciarci ed ha chiuso l’Italia, quindi ho interrotto quella lavorazione e in quel periodo Roma era completamente deserta, una cosa sia bellissima che terribile. Una volta in questo periodo, ho avuto l’audacia di allontanarmi dalla mia strada, di poco, fino al Circo Massimo, circa 800 metri di distanza, ed era uno spettacolo perché ero l’unico essere vivente in un unico punto molto aperto, in cui si può vedere fino a San Pietro e mentre godevo di questo paesaggio distopico e arrivata con le sirene accese un auto della pulizia che ha frenato davanti a me è mi ha detto “Cosa fa lei qui?”, […] subito dopo sono corso a casa con il cane. Quello era il clima di quei giorni e ci si domandava ma faremo mai più il cinema, racconteremo mai più una storia e che storie racconteremo, gli attori si baceranno sullo schermo o si daranno un saluto coi gomiti… Che ne sarà di noi? In quei giorni ho iniziato a partorire questa visione di un dopo che era difficile immaginare. Quella specie di visione del futuro che ho avuto in quei giorni chiacchierando con il mio amico scrittore – scienziato Paolo Giordano, ragionando con lui avevamo voglia di fare un film collettivo affollato su noi, sulla società e a immaginare il futuro, abbiamo avuto una visione, abbiamo immaginato Roma attraversata da una striscia sinuosa di sabbia e detriti che è ciò che resta del Tevere e abbiamo immaginato che la vita che torna però alle prese con nuove emergenze, in quel caso idrica ma anche altre cose come la ferocia, la rabbia e altre paure, quella cosa che gli Americani come Antony Fauci, in televisione, chiamavano The Big Next One.

Avevamo la percezione che stava avvenendo qualcosa d’importantissimo che andava raccontato ma non era facile raccontarlo, ovvero potevano esserci delle scorciatoie come una bella commedia a casa tipo lockdown all’italiana, baciamoci con la mascherina… Ci potevano essere varie idee ma noi volevamo parlare di quello senza nominarlo, provando a fare una roba che si chiamerebbe metafora. Abbiamo ideato una specie di grande mosaico narrativo di vicende, di storia anche perché avevo voglia di riempire l’inquadratura di facce, di persone, in quella solitudine che provavamo in quel momento ed ho ipotizzato le feriti in termini umani, relazionali. È uscito fuori questo popò di film che è stato pensato per il grande schermo, in cinemascope con immagini Wild che spero abbiamo un impatto forte anche per la nostra retina, per visualizzare finalmente questa cosa per la quale ci allarmavano da tempo gli scienziati inascoltati e dunque prendiamola in considerazione che la razza umana sia destinata a una sua estinzione. Quindi abbiamo pensato di fare un film sulla fine del mondo, l’apocalisse.  Non so come mai da commediografo ho deciso di trattare questo tema così intenso, sicuramente c’è stata una forma si sfacciataggine perché poi non ho voluto rinunciare per nulla a quel modo di raccontare che è l’intrecciare la commedia e la farsa con la tragedia, raccontare l’umano in bilico tra tragedia e ridicolo.   

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