Riscoprirsi amanti di se stessi: “Pane e tulipani” e “La persona peggiore del mondo”. Due film a confronto per conoscersi, capirsi e ricominciare

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Quante volte abbiamo pensato di non aver intrapreso la strada giusta nella nostra vita? Quante volte ci siamo ritrovati a chiederci chi siamo davvero e in che direzione ci stiamo muovendo? In questo percorso di crescita e riscoperta di sé, certi film possono diventare delle vere e proprie guide inaspettate, dei fari, capaci d’illuminare le nostre vite dal momento della loro prima visione. Che sia il cinema dei classici, come il capolavoro di Silvio Soldini “Pane e tulipani”(2000), che sia il nuovo cinema dal sapore totalmente nordico di Joachim Von Trier con “La persona peggiore del mondo”(2021), in due universi apparentemente contrapposti, con due registri e stili inconciliabili, la sfida del γνοτι σεαυτον socratico resta una delle tematiche più profonde in cui l’arte cinematografica si vuole inoltrare, che vuole realizzare e allora non ci resta che addentrarci, analizzare e conoscere questi due universi opposti ed esemplari, che convergono verso una ricerca, tutta al femminile.

“Pane e tulipani”(2000) 

Rosalba (Licia Maglietta) in una scena del film

Che succede se qualcuno ci dimentica in un autogrill durante un viaggio organizzato? La maggior parte di noi farebbe in modo di ritrovare i propri cari o il gruppo che ha perduto, ma Rosalba, madre e moglie, casalinga di mezza età, nel bel mezzo del cammin della sua vita decide di svoltare verso un’altra direzione e così, anziché ricongiungersi con marito e figli, decide di raggiungere la città che aveva sempre sognato di visitare: Venezia. Lentamente, giorno dopo giorno, mancato ritorno dopo mancato ritorno, Rosalba ricostruisce in una città, ricreata apposta dall’occhio attento  del regista per ospitare una favola moderna, la vita semplice e spontanea che aveva sempre desiderato: inizia a lavorare come aiutante di un anziano e solo apparentemente scorbutico fioraio, trova ospitalità presso un umile cameriere di origine tedesca, per il quale riscopre cosa voglia veramente dire amare ed essere amate, balla, suona, ride, si sorprende del suo essere donna, il suo essere individuo singolo, andando incontro anche a scelte che in passato non avrebbe mai avuto il coraggio d’intraprendere, ribellandosi a una vita familiare nella quale era rimasta incastrata e che si era dimenticata di lei e della sua presenza.

“La persona peggiore del mondo”(2021)

Julie (Renate Hansen) in una delle scene più iconiche del film

Julie è una poco più che ventenne come tante e come tanti ventenni non ha sin da subito un’idea chiara della sua vita, di chi sia, ma soprattutto di cosa voglia. Inizia così un continuo vagare a vuoto da un percorso all’altro,da universitaria a fotografa a commessa in una libreria, vagabondaggio mentale che si riflette anche nella sua vita sentimentale. Julie ama più uomini, ma forse nessuno davvero: con Aksel vive un amore passionale, ma anche già maturo, forse troppo, data la sua giovane età e la maturità anagrafica( anche eccessiva al livello mentale) del compagno, motivo che la porta a tradirlo prima e a lasciarlo poi. In una Oslo metafisica e sospesa, Julie incontra e si invaghisce di Eyvind, un barista che incarna l’esatto opposto del suo compagno. La costante di Julie è l’incostanza, il cambiamento e la comunque mancata felicità, in ogni ambito, finché un giorno la scoperta della malattia terminale di Aksel inizia a condurla verso una riflessione finalmente seria e approfondita, portata avanti assieme all’ex compagno, ancora profondamente innamorato di lei, relativa a se stessa, alla propria vita, al suo passare da una cosa all’altra, da una persona all’altra, il suo non essersi riuscita a conoscere, che ha provocato non poche sofferenze.

Rosalba e Julie: due donne, due mondi, un’unica voglia di rincorrere se stesse

Sulla scorta di tutto ciò, che cosa hanno in comune Rosalba e Julie e come possono aiutarci le loro storie? Seppur nella loro diversità di estrazione sociale, età e stili di vita, entrambe condividono la volontà d’iniziare un percorso, di stravolgere e rivoluzionare. Lo stravolgimento di Rosalba è fisico, visibile,un atto di forza su chi la pretende sottomessa e invisibile, su chi non ha mai voluto vedere in lei l’immenso potenziale che la sua personalità cela.

Rosalba si guarda dentro con umiltà, ma anche coraggio, ripartendo da zero, ricercando un lavoro, che non aveva mai potuto avere e chiedendo ospitalità, senza vergognarsi della sua condizione di “fuggitiva”. Accetta il vero amore, un amore senza vincoli e di poche parole, quello del galante e integerrimo Fernando Girasole (Bruno Ganz), capace di esprimersi con romantiche colazioni e frasi dall’accento cavalleresco lasciate assieme a tulipani freschi ogni mattina sul tavolo di casa, una casa non sua, ma fatta sua, in una Venezia che non sarebbe mai stata quella visitata con il proprio marito, fatta di attrazioni turistiche e visite guidate, ma è la Venezia tranquilla e dimenticata, una città che ha poco a che fare coi fasti del Canal Grande e molto a che fare con i piccoli canali e le viuzze nascoste, proprio come la personalità che va riscoprendo.

Dall’altro lato Julie è immersa in un continuo vagare senza meta: si perde e lo fa quasi consapevolmente o meglio sembra che nulla possa fare per evitare questo suo continuo tergiversare. Il titolo sembra quasi una forma di beffarda ironia, perché in fondo a poco più di vent’anni in pochi non si sentono spaesati lavorativamente e sentimentalmente come Julie e, sì, è anche possibile nel ricercare il proprio percorso inciampare e rendere infelice qualcuno, che associava a noi un’idea diversa di felicità. Come una Venezia sperduta e intricata spalleggia Rosalba nella sua folle fuga dalla sua vecchia vita, così una metafisica Oslo si ferma letteralmente quando Julie decide di lasciare Aksel per correre da Eyvind e cambiare ancora una volta, perdendosi, ma convinta di aver imboccato forse la strada giusta per conoscere chi è veramente. Entrambe calpestano i desideri altrui, entrambe danno ascolto al proprio individualismo, al proprio io perché in fondo sono e sono state a lungo trainate da altri nelle scelte, comprese le persone che credevano di amare. La loro non è tuttavia un’impresa, una sfida titanica, quanto più una naturale liberazione del proprio sé da un qualcosa che lo rendeva quasi in trappola: fuggire come distruggere per poi ricostruire, anche se in modo diverso e con risultati diversi. Se la maturità di Rosalba, donna di mezza età che si emancipa da una vita vincolata dal nucleo familiare, la porta a una nuova vita nella quale può mettere se stessa al centro, la folle corsa di Julie non sappiamo fino alla fine se avrà dei risultati, se porterà davvero la giovane a capire qualcosa di sé e delle sue esigenze, ma di certo questo suo viaggio, seppur non ancora giunto a destinazione alla fine del film, la conduce verso una fermata importante proprio nelle lunghe conversazioni che vedono lei e il suo ex ricongiungersi a fronte della malattia del secondo:la consapevolezza di aver fatto delle scelte sbagliate e aver fatto soffrire altre persone, la voglia di riscoprirsi davvero, a partire dai sentimenti, dalle storie d’amore che si è lasciata alle spalle, perché possiamo capire tanto di noi da come abbiamo amato.

Conoscersi è un percorso di tappe a più tempi

Che ci piaccia o no, l’arte cinematografica, nel suo rappresentare infiniti microcosmi di umanità, con questi due film ci comunica un messaggio forte: che la ricerca di sé passa da un percorso fatto di ostacoli, sofferenze, paure, un percorso difficile da intraprendere e a volte confuso, ma necessario, come il cambiamento. Rosalba e Julie sono figlie di tempi, mondi e culture differenti, ma allo stesso modo non si conoscono, non si capiscono, finché una serie di eventi non le traghettano verso direzioni che non si sarebbero mai aspettate, facendosi guidare entrambe da un’ incontrastabile forze di volontà, che fa di  loro non le persone peggiori del mondo, ma semplicemente persone, che imparano ad amarsi.

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