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Saint Omer
Titolo originale: Saint Omer
Anno: 2022
Paese: Francia
Genere: drammatico
Produzione: Srab Films
Distribuzione: Minerva Pictures
Durata: 122 minuti
Regia: Alice Diop
Sceneggiatura: Alice Diop, Amrita David, Marie NDiaye
Fotografia: Claire Mathon
Montaggio: Amrita David
Musiche: Thibault Deboaisne
Attori: Kayije Kagame, Guslagie Malanga, Valérie Dréville, Aurélia Petit, Xavier Maly, Robert Canterella, Salimata Kamate, Thomas de Pourquery
L’8 Dicembre 2022 arriva nelle sale italiane “Saint Omer” di Alice Diop, film che ha riscosso un importante successo al suo debutto a Settembre alla Mostra del Cinema di Venezia ’79 ottenendo il Gran Premio della Giuria e il Premio alla miglior opera prima. Il lungometraggio è stato inoltre selezionato dalla Francia come candidato agli Oscar per il miglior film internazionale
Trama Saint Omer
Una scrittrice assiste al processo di una giovane donna accusata di aver ucciso la figlia di soli 15 mesi per trarre dal caso una rivisitazione contemporanea del mito di Medea. Ma mentre il processo va avanti, nulla procede come previsto e la scrittrice, incinta di quattro mesi, si ritroverà a mettere in discussione ogni certezza sulla propria maternità.

Scopri l’intervista alla regista su Saint Omer
Recensione Saint Omer
Alice Diop nasce come documentarista (difatti ha scatenato qualche polemica il suo essere premiata a Venezia come “miglior esordiente”) e Saint Omer è il suo primo “film di finzione”; ma Sain Omer in fondo di finzione non è. È un film impregnato di realtà, che sembra quasi creare un filo diretto col neorealismo italiano degli anni ’40. In un suo famoso saggio Bazin (celebre teorico del cinema) imputava la grandezza della visione neorealista alla sua capacità di astrazione dal giudizio. Nei film neorealisti non si denunciava la povertà bensì si raccontava la vita dei poveri, senza pretese moraleggianti e senza l’idea di proporre soluzioni, soltanto la cruda realtà, soltanto il fatto che comporta l’essere povero impresso su pellicola. Saint Omer sembra riprendere la lezione neorealista, Rama è una scrittrice che assiste al processo contro Laurence Coly, una giovane madre senegalese accusata di aver ucciso la figlia.
Mai, neanche per un istante l’opera di Alice Diop emette giudizi, il film fa piombare lo spettatore dentro un aula di tribunale in cui il tempo sembra come sospeso, non c’è interpretazione, non c’è logica. C’è solamente la brutalità di un orrendo gesto che ci viene restituita nuda e cruda dalle parole dell’accusata. Un’operazione complessa che l’autrice Alice Diop filtra sdoppiandosi nel personaggio di Rama (Kayige Kagame), giovane scrittrice che assiste al processo, andando fra l’altro a creare un interessante parallelismo realtà – finzione. La stessa Diop nel 2016 partecipò infatti al vero processo che ispirò la vicenda (avvenuta proprio a Saint-Omer)
Confrontarsi al mistero di questa donna, non capirlo, ci obbliga a scendere in zone cupe, misteriose e profonde di noi stessi. E quindi a mettere in questione zone scomode del nostro essere, fra cui la maternità e il rapporto che abbiamo con le nostre madri
La regista Alice Diop
L’immigrata senegalese (Guslagie Malanga) è terribilmente onesta, non ci sono dubbi sulla sua colpevolezza o meno. Lo è, non intende nasconderlo.
Sain Omer è un’opera fitta, costruita sul dialogo, sulle parole. Nell’aula di tribunale assistiamo a fiumi di parole atte alla condanna o alla comprensione (le tragiche condizioni sociali da cui la donna proviene, l’impossibilità di garantire un futuro alla bambina).

Alice Diop si spinge nelle crepe del lecito andando a costruire un film rischioso, che potrebbe essere mal letto o mal recepito, di certo distante dalla retorica o dalla banalità. Il suo sguardo è interessato a raccontare la maternità attraverso esempi estremi, il personaggio di Rama resta atterrito dal partecipare in tribunale a sedute in cui si discute di una violenza così efferata, ogni sua certezza viene meno di fronte a una madre che si è spinta a tanto nell’impossibilità di andare avanti. Viaggiando fra mito (vari i riferimenti alla Medea, infanticida per eccellenza), ispirazione documentaria e racconto sociale Saint-Omer è un racconto sospeso, in cui è lo spettatore a divenire protagonista, sguardo esterno che viene posto al centro da una macchina da presa che scruta i volti e lentamente si insinua fra pieghe di realtà e dubbi nel corso dell’estenuante processo.

In conclusione
Complessa, l’opera di Diop, di certo non di facile lettura, probabilmente si parla persino di un’opera che cerca di risultare scomoda e respingente. Fin troppo spesso si vedono film che salgono in cattedra e scagliano giudizi o soluzioni, a Saint-Omer tutto questo non interessa. Saint-Omer è un grande film perché ci vuole restituire il reale, puro e semplice. Una realtà di dolore e paura che avvinghia lo spettatore e non lo molla per due, intensissime ore. E a fine visione ci si rende conto della potenza di un racconto sociale fondato su un minimalismo formale e su un astrazione dal commento.
Il cinema di Alice Diop solo apparentemente toglie, in realtà è un continuo dare spunti e offrire sensazioni. Un cinema che trasuda di realtà.
Note positive
- L’opera di Alice Diop è pienamente riuscita nel suo intento di narrazione che si astrae dal giudizio.
- Dialoghi pregnanti e ben orchestrati.
- Regia che sa trasportare nel racconto
Note negative
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