Sanctuary, intervista a Zachary Wigon: “Il potere è una questione di controllo” – Roma FF17

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Giochi di ruolo, manipolazione e una forte carica emotiva contraddistinguono Sanctuary del newyorkese Zachary Wigon, uno dei titoli più attesi della 17esima edizione della Festa del cinema di Roma. In concorso ufficiale e alla sua opera seconda dopo The Heart Machine, il regista ci ha raccontato le sfide affrontate dietro la macchina da presa e le ispirazioni che hanno condizionato la messinscèna. La trama vede Christopher Abbott nei panni di un uomo facoltoso, schiavo per scelta, e la sua dominatrice, interpretata da Margaret Qualley. Senza mai uscire da una suite di un hotel, la coppia si intrattiene in una montagna russa di umiliazioni e rivelazioni, dove le dinamiche interpersonali cambiano costantemente. Un gioco appositamente studiato dal regista per mescolare tendenze visive e generi, prendendo ispirazione da un tipo specifico di commedia: “Prima di fare il regista io ero un critico cinematografico e ritengo molto affascinante che chiunque abbia visto il film possa fare connessioni con altri prodotti che ha visionato. Il collegamento più diretto è quello con la screwball comedy, alla Howard Hawks, come La signora del venerdì, tutta quella scuola delle vecchie commedie.” racconta Wigon, con l’uscita di Sanctuary fissata a novembre in sala con I Wonder Pictures.

Intervista Zachary Wigon Sanctuary
Zachary Wigon alla Festa del cinema di Roma (2022)

Il film è stato girato in 18 giorni, come ti sei approcciato allo script e quali sono state le sfide maggiori?

Sono state più sfide, ma per me la principale era quella di riuscire a coprire tutte le riprese nei tempi previsti. Per farlo mi ha aiutato pre-visualizzare l’intero film e le scene con il programma di simulazione Cine Tracer. Solo verso la fine, io e il direttore della fotografia siamo andati sul set a mettere le luci e a fare tutto con l’aiuto di qualche amico e volontario. Ma in termini di riuscita, la pre-visualizzazione è stata fondamentale. Per quanto riguarda la storia, quel che mi affascinava di più era lo spettro dei diversi comportamenti di Hal e Rebecca, la loro psicologia e il rapporto che hanno creato tra di loro.

A proposito di rapporti, durante il film la definizione di potere cambia costantemente. All’inizio sembra incentrata sul denaro, poi sul sesso, ma ragionandoci non sembra spettare a nessuno dei due. Dopo aver lavorato a questa storia, cos’è il potere per lei?

Non saprei dare una risposta definitiva, ma pensando a come funziona il potere nella storia credo sia strettamente collegato al controllo. Nell’ambito del role playing durante la fantasia del cliente, la dominatrice in questione ha un controllo e dominio totale sull’uomo, ma nella realtà, lui ristabilisce il controllo su di lei con il denaro. C’è una connessione tra il modo in cui queste diverse forme di potere sono mostrate e la drammatizzazione di come ciascuno dei personaggi cerca di controllare l’altro.

Intervista Zachary Wigon Sanctuary
Zachary Wigon alla Festa del cinema di Roma (2022)

Tornando al genere, ci sono state delle influenze specifiche?
Amo i film basati su testi forti, ma a volte dal punto di vista dello stile sono molto limitati. È come se non sfruttassero a pieno il loro potenziale, e per me è stata una sfida riuscire a dargli la completa forza espressiva che ha un certo modo di fare cinema, più aggressivo. Guardando indietro, alla storia del cinema, non posso non pensare a Chi ha paura di Virginia Woolf?, che ha tutto quel di cui sto parlando ed è girato in maniera magnifica, come anche Il servo di Joseph Losey. Mi interessava trovare quel punto di contatto tra i generi, come appunto dimostrano molti thriller psicologici o sessuali che sanno mostrare un certo umorismo.

Questo tipo di perfezionismo ha richiesto due attori di livello, com’è stato costruire questi personaggi con loro?

Non c’è la minima improvvisazione, da parte nostra o degli attori, è davvero tutto nella sceneggiatura. Ci sono state due sessione di reading room, due prove generali e poi abbiamo girato. Margaret e Christopher hanno capito benissimo i ruoli e sono riusciti a spingersi oltre, interpretando le due parti meravigliosamente. Ho fatto ricerche, leggendo articoli e interviste a dominatrix per prepararmi, anche se non è il mio approccio tipico. Ma sono state ricerche ad ampio raggio, per cercare di comprendere meglio quel tipo di lavoro e le motivazioni di chi lo fa, in attesa della sceneggiatura, nella quale i personaggi erano tratteggiati molto precisamente.

C’è un solo momento in cui vediamo la situazione dal punto di vista di lui tramite un’inquadratura molto specifica, è un suggerimento agli spettatori?

Ho passato un anno a pensare a quell’inquadratura. Anche se forse non è stato consapevole, volevo trasmettere un senso di disorientamento dovuto alla ripresa, e questo rispecchia il disorientamento che lui prova in quel momento. Ma non penso in termini tanto psicologici quando giro, sono più intuitivo, come dimostra il fatto che tendo a non fare troppe prove con gli attori proprio per non perdere la sorpresa sul set.

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