Schindler’s List – La lista di Schindler (1993): Un uomo che salvo vite umane

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Schindler's List (1993) locandina

Schindler’s List – La lista di Schindler

Titolo originale: Schindler’s List

Anno:1993

Paese: Stati Uniti d’America

Genere:DrammaticoGuerra

Durata: 195 min

Produzione:Universal PicturesAmblin Entertainment

Distribuzione: UIP – Cic Video

Regia:Steven Spielberg

Sceneggiatura:Steven Zaillian

Montaggio:Michael Kahn

Fotografia:Janusz Kaminski

Musiche:John Williams

Attori:Liam Neeson, Ben Kingsley, Ralph Fiennes, Caroline Goodall, Jonathan Sagall

Trailer di Schindler’s List – La lista di Schindler

Trama di Schindler’s List – La lista di Schindler

1939, Cracovia. La seconda guerra mondiale è ormai scoppiata e gli ebrei polacchi, a seguito dell’invasione della Polonia, sono costretti a registrarsi e a farsi schedare. Una marea di gente si reca così nei luoghi addetti a tale marchiatura sociale. L’imprenditore tedesco Oskar Schindler accorgendosi del gran numero di ebrei a Cracovia decide di approfittare della situazione sociale che impedisce agli ebrei di avere un’attività commerciale propria, per impiantare sul territorio un’azionda di produzione di pentole e tegami, indispensabili per l’esercito tedesco, impegnato nell’estenuante guerra.

L’abilità comunicativa e imprenditoriale lo porta a stringere legami con i vertici dell’SS, con un borsista nero e con un contabile ebreo, Itzhak Stern, che permette all’uomo di trovare dei finanziamenti per la sua impresa preso dei facoltosi ebrei che decidono di puntare economicamente sull’impresa di pentole. Inoltre Stern inizia, attraverso la copertura dell’azienda a salvare molti ebrei dal campo di concentramento, oltre togliendoli dalla miseria e dalla difficoltà del ghetto stesso. Tutto però cambia profondamente con l’arrivo in città del caporale Amon Goeth, un uomo crudele e sadico che deve creare un nuovo campo di concentramento a Cracovia e perfino la ditta di Schinder è costretto alla chiusura: tale evento metterà a rischio tutti gli ebrei che grazie a quel lavoro erano scampati alla morte nei ghetti.

Recensione di Schindler’s List – La lista di Schindler

Chiunque salva una vita salva il mondo intero

Talmud babilonese – Schindler’s List – La lista di Schindler

Tratto dal romanzo La Lista di Schindler di Thomas Keneally, basato sulla vita di Oskar Schindle, il lungometraggio Schindler’s List di Spielberg entra di diritto tra i cult del cinema, un film che nessuno uomo e donna può perdere essendo sia un cinema di altissimo livello cinematografico, sia una storia piena di umanità e di critica contro ciò che è avenuto durante la seconda guerra mondiale. Il regista del Lo squalo, grazie alla sceneggiatura di Steven Zaillian, si è trovato per le mani una storia d’importanza culturare che, con la sua maestria, è riuscita a trasformare il testo scritto in un opera audiovisiva immensa e straziante in cui è difficile non commuoversi.

La critica mondiale lo ha adorato definendolo un capolavoro donandogli agli Oscar ben 12 nomination e sette statuette tra cui miglior film e miglior regia. Curiosamente, all’origine del progetto, Spielberg non venne chiamato come regista ma compariva solo come produttore. I primi nomi contattati per la direzione del lungometraggio sono stati Martin Scorsese, Billy Wilder e Roman Polański che rifiutarono.

Realizzato agli albori del color grading, il film di Steven Spielberg sfrutta tale tecnica per donare alla storia una maggiore potenza narrativa, sfruttando un gioco di colori all’interno di un opera narrativa preponderantemente in bianco e nero se escludiamo qualche elemento di natura empatica e concettuale. Nella visione della pellicola lo spettatore non può che non rimanere sconvolto dalla vita, in due scene per non più di dieci secondi, della bambina con il giubbotto rosso che mostra come l’innocenza stessa è stata distrutta e annientata dalla guerra nonostante sia priva di qualsiasi colpa, in uno scontro in cui nessuno viene risparmiato. Il colore ha una potenza anche narrativa in cui nelle scene d’incipit e d’epilogo rintracciamo una fotografia realizzata con colori analogici, andando a mostrare come il presente sia realmente a colori, mentre il passato (1939 – 1945) essendo storia rimane in bianco e nero.

Perché Spielberg ha scelto il bianco e nero per rappresentare i fatti della seconda guerra mondiale, in particolare della shoah?

La rappresentazione del dolore non può avvalersi di colori (motivazione etica), inoltre è presente una rimediazione della fotografia e del cinegiornale degli anni 30 e 40 che è per la maggior parte in bianco e nero, per quanto riguarda la seconda guerra mondiale e i campi di concentramento. In questo senso Schindler’s List ricerca una fedeltà storica tipica del documentario. Inoltre sappiamo che il regista per la regia del film si è ispirato ad un documentario di genere del 1985 Shoah. Inoltre Janusz Kamiński dichiarò di volere creare una storia dal punto di vista fotografico che richiamasse la drammaticità dell’espressione tedesco e del neorealismo italiano. Lo stesso Spielberg asserì che la decisione del bianco e nero era quella più coerente con la storia riuscendo a donare una maggiore empatia con il pubblico che si sarebbe persa con l’uso dei colori.

Il mondo della storia reale ovviamente non era un mondo in bianco e nero, ma si lega alla storia dei media. Spielberg prima di questo film era famoso per Et, Indiana Jones, Incontri ravvicinati del terzo tipo, lo squalo. Che tipo di film sono? Fanno parte del cinema di genere, un cinema mainstream, un cinema popolare, comunque lontano dalla rappresentazione della storia; Schindler’s list è un film più impegnato ma è anche un film realistico, è un film storico, che ambisce ad una verosimiglianza storica, che nei predatori dell’arca perduta non c’era. Nei predatori dell’arca perduta ci sono i nazisti, ma a Spielberg non gliene importava niente se facevano delle cose che non erano documentate storicamente. Anche se il film fosse ambientato nell’epoca delle invasioni barbariche,  e se al posto dei nazisti ci fossero stati i vichinghi o i visigoti non sarebbe cambiato nulla nella struttura del film. Schindler’s list è un film storico, che ambisce a fare un discorso sulla storia, è un film che rappresenta e narrativizza un evento storico reale, per quanto poi marginale rispetto all’economia della seconda guerra mondiale. Parte da un personaggio realmente esistito; quindi una terza motivazione, accanto a quella etica e a quella della storia dei media, e’ che Spielberg voleva effettivamente staccare il proprio film schindler’s list dalla produzione precedente.

Spielberg era un regista popolare, di film di generi, d’intrattenimento, di film di massa, e nel momento in cui vuole fare un film storico e realistico, documentato e storicamente accreditato o accreditabile, si serve del bianco e nero anche per dare un tono di maggiore serietà e per ridefinire la propria carriera, il proprio percorso di regista all’interno del cinema hollywoodiano.  Il produttore inizialmente era contrario; voleva che Spielberg facesse questo film a colori, perché fare un film così costoso in bianco e nero era un rischio economico notevolissimo.

Il colore per il presente, all’inizio e alla fine del film; bianco e nero per il passato; tutto il resto del film ibridazione colore/bianco e nero in due sequenze del passato, che possiamo definire i due emotional marker principali su cui si regge tutto l’impianto narrativo ma soprattutto emotivo del film; noi possiamo togliere quelle due sequenze dal film e la sua struttura narrativa regge comunque, comprendiamo lo stesso lo sviluppo narrativo del film, ma cessiamo invece di comprendere il suo sviluppo emotivo, perché sono i due momenti in cui si incardino le due decisioni prese dal protagonista, che ricadono poi effettivamente sullo spettatore per i fenomeni dell’empatia.   

Sequenza del cappotto rosso in Schindler’s List – La lista di Schindler

Sequenza d’emotional marker di eccellenza del film in cui l’empatia passa dal cappottino rosso a Schindler e da Shindler a noi; c’è una sorta di effetto riflesso, visto che noi siamo spinti a guardare la bambina allineandoci percettivamente con lo sguardo di Shindler. Tutta la sequenza è intervallata e intramezzata da Primi piani dell’imprendito che guarda; il rosso diventa il marker, nel senso di evidenziatore emozionale del personaggio; noi dobbiamo pensare che Shindler è immerso in una realtà a colori e quindi lui non sta vedendo il rosso come colore che sta in mezzo al bianco e nero, ma il rosso accanto al bianco e nero sta a comunicarci a noi che quel rosso della bambina sta attirando la sua attenzione e la sua emozionalità. L’uomo, in mezzo a quella realtà colorata, vede soprattutto quel rosso che evidentemente diventa il simbolo della vita in un contesto in cui la morte è costantemente lì presente a minacciare la vita stessa, in un contesto che si può anche immaginare caratterizzato come da un certo grigiore, dalla presenza di colori spenti.

Inizialmente vediamo la bambina quasi come un piccolo punto, ma un punto che si trova quasi al centro, in fuoco prospettico di quell’immagine, o quantomeno percettivo. La musica è un coro di voci di bambini che cantano diventa quell’elemento di ridondanza emotiva che è tipico di quel cinema hollywoodiano che si rifà ai meccanismi del cinema classico. Lo schema percettivo viene ribadito grazie a questa ridondanza, per la terza volta, ci stacchiamo soltanto quando abbiamo capito che è Shindler a guardare, e quindi a questo punto, essendoci ormai allineati cognitivamente con lui, possiamo anche disallinearci da lui. Lu’uomo non vede la bambina da questo punto di vista, ma noi sappiamo che è lui a vedere la bambina; quindi ci avviciniamo a lei in modo che la sua efficacia emotiva sia ancora più forte. Poi si ritorna a quella che possiamo definire come una soggettiva di Shindler, per effetto del punto di vista rialzato. Poi inizia un punto in cui la nostra attenzione è bipolarizzata, il nostro fuoco si alterna; tra la bambina che sta passando sullo sfondo dell’immagine, è una fucilazione che crea anche un contrasto simbolico: Tra il bene e il male, tra la vita e la morte, che è qui rappresentato visivamente anche tra la vitalità del colore, del rosso, e la morte di questi ebrei fucilati. La scena è ambientata nel ghetto di Cracovia, in Polonia. Sembra che questa fucilazione/uccisione brutale sia stata vista percettivamente soprattutto dal punto di vista della donna, che risulta disgustata e stravolta da questa scena brutale e chiede a Schindler di andarsene, ma lo sguardo di Schindler persiste ancora, quando verosimilmente la bambina sembra uscita dal suo campo visivo; qui siamo in una soglia tra un immagine percettiva reale dell’impernditoe. e quello che egli sta pensando; è come se passiamo da un allineamento percettivo a uno inferiore (non sappiamo evidentemente se la bambina sta passando ma probabilmente sì, però lui non la può vedere. Allora c’è una sorta di inferenza di Schindler che sta pensando alla bambina. Qui siamo infatti sicuri che nonostante lui continui a guardare in quel punto e in quella direzione, lui non possa vedere la bambina che sta entrando in sala e sta salendo le scale. Percettivamente non siamo più allineati con lui, ma il montaggio ci suggerisce che nonostante questo noi stiamo ancora vedendo la realtà non più attraverso i suoi occhi, ma attraverso la sensibilità interiore e il vissuto emotivo di Schindler, che sembra rimanere freddo all’esibizione di quegli ebrei, ma che al contrario sembra emotivamente sconvolto dalla visione di questa bambina. Nonostante lui se ne sia andato, ma continua a pensare a quella visione, la bambina poi trova un riparo e rifugio diventando il simbolo universale dell’innocenza minacciata; finché il cappotto cessa di essere rosso.

Alcuni studiosi hanno letto in questa sequenza una metafora di Cappuccetto Rosso, e Spielberg è stato criticato anche violentemente per fare un uso così emotivamente smaccato di questa bambina con questo effetto speciale un po’ esagerato, paragonando un fatto storico così drammatico che può essere considerato il male assoluto della storia, l’olocausto, l’uccisione degli ebrei, con una struttura simbolica, artificiosa e così forte della Fiaba; l’aver trasformato  un fatto storico una sorta di rielaborazione storicizzata della favola di cappuccetto rosso, l’ingenuità della bambina e la violenza incarnata, nella fiaba di cappuccetto rosso, dal lupo.

La prima apparizione della bambina marca un primo schift psicologico del protagonista, dall’idea cinica di sfruttare la situazione politica a proprio vantaggio, per avere un vantaggio economico, al volere invece offrire un aiuto concreto e reale tra gli ebrei, per aiutare a salvare un certo numero di ebrei dal campo di concentramento. Il secondo momento della bambina con il cappotto marca il secondo schift emotivo del film, il secondo passaggio psicologico del personaggio, il momento in cui l’occupazione e unica e ossessiva del protagonista è quella di salvare il maggior numero di ebrei, dopo aver assistito con i propri occhi all’immagine dell’orrore, all’incarnazione stessa della storia, i mucchi di cadaveri riesumati e trasportati con dei carri. Nonostante sia un cadavere riesumato, quindi diegeticamente quel cappotto non può avere il colore rosso, perché è stato sotto la pietra, e quindi è stato scolorito e ingrigito dal fatto di essere stato sepolto, diventa un puro espediente emotivo del film che riutilizza di riagganciare il momento della riapparizione della bambina che sorprendentemente non si è salvata, c’è un infrazione del codice della favola, e per finire anche lo scarto tra la storia e la favola; La Shoah, il male assoluto, che non lascia scampo, e Spielberg lo dice al personaggio e allo spettatore da questo stratagemma emotivo, enormemente criticato da molti studiosi. L’espressione del volto dalla visione di questo cadavere, una ridondanza emotiva viene data dalla musica, che richiama l’idea della morte, è un requiem, è come se si fosse trovato di fronte la morte in persona, e vuole opporsi in modo più deciso e netto ai gerarchi nazisti per riuscire a salvare gli ebrei.           

A simboleggiare il passato che diventa presente, nel finale del film, film che ha tre diversi tipi di colore,  le vittime salvate da Shindler che oggi camminano verso di noi, il passato che cammina e ci viene in contro, a parlarci del presente, e quindi abbiamo un presente che torna ad essere a colori. La tomba di Shindler serve per riagganciare la finzionalità del film alla realtà della Storia.  E le reali vittime il cui nome ci dà l’autenticità della storia raccontata, perché i personaggi che abbiamo visto nel film sono dei personaggi che ancora esistono, e sono dentro la nostra storia, c’è un orizzonte reale e storico, a differenza che quello finzionale di Indiana Jones. La musica serve da rinforzo emotivo per l’emozionalità della sequenza, per produrre questo meccanismo di coinvolgimento nello spettatore. E’ una sequenza che serve a farci credere che la storia raccontata dal film sia una storia reale ed autentica, ma essendo noi spettatori maturi essendo studiosi di cinema, non dobbiamo considerare il film come una storia autentica e documentaria, perché in realtà è un film che utilizza meccanismi narrativi e emozionali del cinema H. post – classico, è un film mainstream che ci racconta la storia con una sceneggiatura che segue i meccanismi delle storie h.  E’ tanto funzionale quanto indiana Jones, e lo possiamo analizzare come un film tanto finzionale come indiana, utilizzando gli stessi meccanismi dell’empatia spettatoriale e narrativi, come aveva già utilizzato nei suoi film precedenti. E’ dal fatto di saper manipolare così abilmente i meccanismi emotivi del film, che Shindler’s list ha avuto un così grande successo di pubblico, capace di sapere toccare le corde emotive degli spettatori, utilizzando un sistema ridondante di meccanismi narrativi e di meccanismi formali. 

Note positive

  • Interpretazioni
  • Musica
  • Sceneggiatura
  • Regia
  • Uso metaforico del colore

Note negative

  • Nessuna
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