Selfie (2019): Il documentario di Agostino Ferrente

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I contenuti dell'articolo:

Selfie

Titolo originale: Selfie

Anno: 2019

Paese: Italia, Francia

Genere: Documentario

Produzione: Arte France e Magneto

Distribuzione: Istituto Luce Cinecittà

Durata: :76 min

Regia: Agostino Ferrente

Fotografia: Alessandro Antonelli, Pietro Orlando

Montaggio: Letizia Caudullo, Chiara Russo

Musiche: Cristiano Defabriitis, Andrea Pesce

Trailer del film Selfie

Trama di Selfie

Napoli, Rione Traiano. Nell’estate del 2014 un ragazzo di sedici anni, Davide, muore durante un inseguimento, colpito da un carabiniere che lo ha scambiato per un latitante. Anche Alessandro e Pietro hanno 16 anni e vivono nel Rione Traiano. Sono amici fraterni, diversissimi e complementari, abitano a pochi metri di distanza, uno di fronte all’altro, separati da Viale Traiano, dove fu ucciso Davide. Alessandro e Pietro accettano la proposta del regista di auto riprendersi con il suo iPhone per raccontare in presa diretta il proprio quotidiano, l’amicizia che li lega, il quartiere che si svuota nel pieno dell’estate, la tragedia di Davide.

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Scena del film Selfie

Recensione di Selfie

Apparentemente il docufilm di Agostino Ferrente sembra ricalcare le orme lasciate da una lunga scia di film ambientati a Napoli che raccontano una determinata realtà. In parte è così, ma ciò è dovuto alla condivisione di un realismo che accomuna Selfie con i lavori di Garrone (Gomorra, Reality) i Manetti Bros. (Ammore e malavita), Claudio Giovannesi (La paranza dei bambini). Tutti ambientati nella Napoli di periferia, territorio della malavita e quasi tutti incentrati su storie che hanno come protagonisti giovani o giovanissimi ragazzi. La particolarità di Selfie però risiede nella metodologia della narrazione, il regista infatti non si limita a seguire i personaggi tradizionalmente seppur in maniera ravvicinata, ma affida a loro lo strumento e il mezzo di trasmissione. La telecamera allora diventa uno strumento di uso quotidiano (il telefonino) e gli stessi protagonisti diventano registi delle loro vite. Una scelta artistica coraggiosa che accentua la dimensione realistica del film e che cerca di eliminare ogni interferenza esterna rispetto alla quotidianità dei due ragazzi.

La presenza del regista quasi non si avverte eccezion fatta per alcune interviste, per il ricorso costante all’uso di camere grandangolari in campo lungo che simulano le telecamere di sorveglianza degli esercizi commerciali suggerendo una sorta di controllo dall’alto, o ancora, in alcune scene semi oniriche in cui la tecnica cinematografica aiuta a esaltare la creatività dei ragazzi.
Proprio nella scelta di affidare ai due adolescenti il completo controllo sulla metodologia e i contenuti del film risiede il maggior pregio e allo stesso tempo quello che si più definire il suo limite. Infatti, specie nella prima parte, la narrazione sembra essere in alcuni casi ripetitiva e a volte frammentata nei momenti in qui la camera passa dalle mani dei protagonisti a quelle degli amici del quartiere.

Il risultato in ogni caso restituisce un quadro della situazione non molto rassicurante dove la fatica maggiore sembra essere quella di evitare di lasciarsi risucchiare dal vortice malavitoso che pervade il quartiere, nel quale si cresce con l’abitudine e l’idea di dover, prima o poi, fare i conti con la giustizia. Si assiste infatti all’elaborazione di una aspettativa che, nel migliore dei casi, prevede una vita altrove, ma che, più probabilmente, dovrà fare i conti con la disperazione e la galera. In tutto questo lo Stato sembra essere assente quasi quella fosse una zona franca, quando invece interviene lo fa in modo maldestro e pericoloso come testimonia la vicenda di Davide Bifolco caduto per la somiglianza con un ricercato.

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