Society of the Snow (2023): umanità fra le Ande – Venezia 80

Informazioni sul film e dove vederlo in streaming

Society of the Snow, lungometraggio di sopravvivenza dell’acclamato regista spagnolo J.A. Bayona, ha chiuso l’80° Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia 2023, dove ha partecipato fuori concorso. L’uscita del film nelle sale è prevista per dicembre 2023 per poi essere distribuito su Netflix dal 4 gennaio 2024. Inoltre La sociedad de la nieve è stato candidato candidato dalla Spagna come miglior lungometraggio internazionale ai 96esimi Academy Awards. La pellicola si basa sul libro di Pablo Vierci. L’autore ha frequentato il Collegio Stella Maris di Montevideo, in Uruguay, insieme ai sopravvissuti del disastro aereo delle Ande avvenuto nel 1972.

La storia vera su cui il film è basato:

12 ottobre 1972. La squadra di rugby dell’Old Christians Club si imbarca sul volo 571 dell’aeronautica militare uruguaiana da Montevideo, Uruguay, a Santiago del Cile, dove è in programma una partita. La partita non ebbe mai luogo. L’aereo, che trasportava un totale di 45 passeggeri (equipaggio, giocatori, familiari e amici), si è schiantato nel cuore innevato delle Ande, nella Valle delle Lacrime. Solo 29 dei 45 passeggeri sopravvissero all’impatto. Intrappolati in uno degli ambienti più inaccessibili e ostili del pianeta, i sopravvissuti hanno affrontato freddo, sete e fame estremi e sono stati costretti a prendere misure estreme per rimanere in vita. Alcuni dei sopravvissuti all’incidente aereo morirono nei giorni successivi. Il 23 dicembre 1972, due mesi e mezzo dopo l’incidente, ne furono recuperati 16 vivi.

Trama di Society of the Snow

Una squadra di rugby urugayana diretta in Cile precipita nel cuore delle Ande. Intrappolati in mezzo alla natura, i sopravvissuti devono ricorrere a misure estreme per sopravvivere.

Fotogramma di Society of the Snow (2023)
Fotogramma di Society of the Snow (2023)

Dichiarazione del regista

Ho letto il libro La società della neve più di 10 anni fa, mentre mi preparavo a girare The Impossible, e si è rivelato di grande ispirazione. Il titolo di The Impossible, ad esempio, mi è venuto in mente leggendo una dichiarazione di Roberto Canessa, uno dei sopravvissuti delle Ande. Ricordo di aver condiviso alcuni estratti del libro con Naomi Watts e Tom Holland durante le pause tra le riprese. I due film raccontano due tragedie umane accomunate da un’idea di sopravvivenza non solo fisica ma anche emotiva. Pablo Vierci riesce a farti entrare nella mente di ognuno dei personaggi, e tu vivi un’esperienza estrema che ti mette faccia a faccia con la morte – e da lì, l’attenzione si concentra sulla vita. È una storia affascinante e complessa. Il suo libro è pieno di forti contrasti tra luce e buio, ed è molto umano. Mi ha interessato soprattutto il senso di colpa che permea tutta la storia, che smonta la classica storia dell’eroe dei film che raccontano questo tipo di storie. Nel libro, Roberto Canessa si rivolge ai morti 40 anni dopo l’incidente e chiede loro di accettare serenamente di aver vissuto la vita che non hanno avuto. Da questa idea nasce uno dei temi del film: la necessità di stabilire un contatto tra i vivi e i morti per scrivere una storia che metta in luce il ruolo fondamentale di tutti, anche di chi è rimasto indietro.

C’è un’importante differenza in termini di tempo: dalle 72 ore che hanno vissuto i sopravvissuti di The Impossible ai 72 giorni che passano i personaggi di questo film. L’esperienza è molto diversa. In questo film c’è spazio per la riflessione, per le domande. Anche il contesto è molto diverso. Society of the Snow parla della vita in un luogo dove la vita non è possibile. I personaggi devono reinventarla. Le relazioni, i costumi e i legami vengono reinventati.

Se stiamo ancora parlando di questa storia più di 50 anni dopo, è soprattutto perché i protagonisti hanno dovuto nutrirsi dei corpi dei loro amici. Mi interessa molto la natura simbolica di questo atto, l’idea di donarsi all’altro. Al centro di Society of the Snow c’è uno spirito di collaborazione e di amicizia che si manifesta spontaneamente quando i protagonisti affrontano avversità sempre più grandi. Il dono di sé agli altri si manifesta sia spiritualmente – quando si cammina per gli altri o si curano le loro ferite – sia fisicamente, con quei corpi che danno il permesso di essere mangiati di fronte alla morte. È un dispositivo tanto estremo quanto mistico e umanistico. Pur trattando temi oscuri, i miei film sono pieni di luce: parlano della morte per enfatizzare la vita.

Recensione di Society of the Snow

Raccontare un incidente come quello accaduto nel 1972 non era certamente un compito facile: il rischio era di trovarsi di fronte all’abituale pellicola di sopravvivenza senza infamia e senza lode, un susseguirsi di eventi stereotipati in cui nei minuti finali si sarebbe tutto risolto. Per chi conosce la storia sa che non è così.

Bayona dietro la macchina da presa realizza un survival movie non scontato, dove il centro della questione non è tanto l’incidente in sé, quanto l’interiorità del gruppo di sopravvissuti. Oltre a mostrare i dati anagrafici delle vittime non appena una di queste perde la vita, l’audace scelta della sceneggiatura è quella di mostrare come questo gruppo di sfortunati ragazzi uruguaiani si metta in gioco per la sopravvivenza e si divida in gruppi, dandosi dei compiti come in una società in base alle proprie inclinazioni. Queste divisioni non portano necessariamente a dei conflitti finché il cibo non inizia a scarseggiare. Qua si pone la domanda: quali limiti umani si possono sorpassare per sopravvivere? È giusto praticare l’antropofagia sui compagni deceduti? Lo spettatore non viene portato a scegliere una fazione giusta o sbagliata, non si assiste a nessuna scena cruenta, poiché il cannibalismo fa da sfondo, non viene mostrato per impressionare il pubblico. Si restringe il campo sulle condizioni umane e su come queste persone si siano dovute reinventare per lottare uniti contro le condizioni ambientali avverse per due mesi e mezzo. Ad accompagnare questi eventi ci sono diversi punti di vista espressi attraverso la voce fuori campo, una tecnica efficace per poter empatizzare di più con i vari personaggi, soprattutto l’io narrante.

Chiaramente la protagonista indiscussa del lungometraggio targato Netflix è la natura, qui rappresentata dalle immense Ande e dalla minacciosa neve. Soprattutto quest’ultima è la causa principale di tutti i problemi che si susseguono durante la vicenda, poiché costringe i sopravvissuti a rimanere serrati all’interno dei rottami e lottare contro il freddo e il congelamento e la regia riesce sapientemente a mettere a disagio lo spettatore con queste inquadratura strette, moltissimi primi piani, accompagnando il tutto con la colonna sonora drammatica composta da Michael Giacchino, con la quale si riesce a rispecchiare la tragedia vissuta tramite una musica tragica e potente. Inoltre, l’importanza stessa delle Ande è ribadita con questa accentuazione della fotografia a riprendere il tutto ad ampio respiro, mostrando l’aereo distrutto e i suoi “abitanti” come se fossero formiche, un nonnulla di fronte alla potenza della natura.

L’ottimo di lavoro di Bayona certamente non vuole sorprendere e non intende edulcorare il tragico evento, riuscendo a rimanere fedele alla cronaca e mostrando come l’essere umano è, sì, istinto, ma che nei momenti di difficoltà riescono a unire le proprie forze e farsi strada verso la salvezza a costo di oltrepassare i limiti dei comportamenti umani.

Fotogramma di La sociedad de la nieve di J.A. Bayona
Fotogramma di La sociedad de la nieve di J.A. Bayona

In conclusione

Il filmdi J.A. Bayona si distingue come un potente dramma di sopravvivenza che cattura l’intensità e la complessità della tragedia vera del 1972. La regia attenta e la profonda caratterizzazione dei personaggi portano alla luce l’umanità e la resilienza di fronte alle avversità estreme. La rappresentazione toccante e autentica dei sopravvissuti, unita alla maestria visiva di Bayona e alla colonna sonora commovente di Michael Giacchino, crea un’esperienza cinematografica coinvolgente che trasmette l’angoscia e la determinazione degli intrappolati. Tuttavia, la narrazione avrebbe potuto approfondire ulteriormente alcuni personaggi per creare un legame emotivo più forte con il pubblico, e alcune scene potevano essere più bilanciate per evitare momenti di stasi. Nonostante ciò, la pellicola riesce a trasmettere il potere dell’umanità nell’affrontare le sfide più grandi, offrendo una testimonianza toccante della forza dello spirito umano di fronte alla disperazione.

Note positive:

  • La regia di J.A. Bayona offre una rappresentazione autentica e commovente della tragedia del 1972, catturando l’intensità e la disperazione degli intrappolati nella miniera.
  • La profonda caratterizzazione dei personaggi evidenzia l’umanità e la resilienza di fronte alle avversità estreme, permettendo agli spettatori di connettersi emotivamente con le loro storie.
  • La colonna sonora di Michael Giacchino contribuisce a enfatizzare l’atmosfera drammatica del film, aggiungendo un livello di profondità emotiva alle scene.
  • La rappresentazione delle Ande e della natura come forze implacabili mette in risalto la potenza degli elementi contro cui i sopravvissuti devono lottare, aggiungendo tensione e drammaticità al racconto.

Note negative:

  • Alcuni personaggi avrebbero potuto essere approfonditi ulteriormente per creare un legame emotivo più forte con il pubblico, consentendo agli spettatori di comprendere meglio le loro sfide individuali.
  • Alcune scene potevano essere più bilanciate per evitare momenti di stasi nel ritmo della narrazione, mantenendo così l’attenzione degli spettatori in modo più costante.

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