The Euphoria of Being: una danza per tornare a vivere

Condividi su
Locandina The Euphoria of Being

The Euphoria of Being

Titolo Originale: A létezés eufóriáj

Paese: Ungheria

Genere: Documentario

Prodotto da: Campfilm, The Symptoms

Durata: 1h 23min 

Regista: Réka Szabó
Sceneggiatura: Réka Szabó

Fotgorafia: Claudia Kovács

Montaggio: Sylvie Gadmer, Péter Sass

Musica: Balázs Barna
Produttori: Réka Szabó, Marcell Gerő, Sára László

Cast: Réka Szabó, Emese Cuhorka, Éva Fahidi


Trailer Ufficiale de “The Euphoria of Being”

Trama The Euphoria of Being

Réka Szabó, regista del film, porta al cinema la storia della novantatrenne ungherese, Éva Fahidi, l’unica della sua famiglia ad essere sopravvissuta all’Olocausto,. Attraverso un insieme di arte che spaziano dal cinema alla letteratura, dal teatro alle parole, concentrandosi però, in modo particoalre sulla danza, per ricordare una delle piaghe più tragiche della storia dell’uomo. A differenza degli altri film/docufilm su questo argomento, Szabó pone al centro la memoria di qualcuno che ha vissuto quei giorni e quegli anni oscuri, che ha conosciuto i luoghi, le voci, le parole di chi ad Auschwitz c’è stato, ha sentito le lacrime, gli odori, ha visto i corpi di chi purtroppo non è riuscito a sopravvivere a tutto ciò.

Recensione The Euphoria of Being

Presentato al Trieste Film Festival in Tour, un racconto che prende forma grazie all’arte della danza, tracciando un ritratto perfetto della vita della protagonista. Cuhorka e Fahidi sono due vere e proprie artiste che sembrano essere quasi in contatto grazie ad una storia, si tragica, ma altrettanto coraggiosa. Tra una “performance” e l’altra, si lascia spazio alle interviste, con la donna anziana che rievoca i suoi ricordi legati ad un periodo storico molto negativo per lei e la sua famiglia.

I ricordi si concentrano sulla sua giovinezza, sul nazismo e al modo in cui oggi viviamo tutto ciò. La donna ci offre però, anche pensieri su molti altri argomenti. Un piccolo dettaglio che ci fa quasi soffrire pensando a lei, è il ricordo di suo padre; Fahidi infatti, condanna suo padre, sostenendo il fatto che fosse interessato solo al profitto mentre altre famiglie ebree avevano iniziato a fuggire dall’Ungheria già nel 1935. La sua permanenza ad Auschwitz inoltre, ha segnato una parte della sua femminilità e sottolinea più volte ciò, ricordando la situazione in cui viveva insieme alle altre donne del campo; donne nude, sporche, raggruppate come se fossero sardine in una scatola, incapaci di evitare di toccarsi.

Prima che tutto ciò diventasse un film però, è stata realizzata un’opera teatrale andata in scena numerose volte tra Berlino, Vienna e Budapest.

Imparare a camminare ti rende libero. Imparare a danzare ti dà la libertà più grande di tutte: esprimere con tutto il tuo essere la persona che sei.

(Melissa Hayden)

Analisi The Euphoria of Being

“The Euphoria of Being” traccia un ritratto speciale della sua unica protagonista, grazie ad un’altra ballerina, la giovane Emese Cuhorka, messa lì quasi a rappresentare la giovinezza che la protagonista non ha avuto modo di vivere. Il film non si concentra solo sul ricordo del passato, ma approfondisce anche il rapporto che si va a creare tra le due ballerine e lo spettatore si ritrova di fronte a due artiste così vicine, tanto da sembrare un corpo unico, che si muove all’unisono. The Euphoria of Being è un’opera in cui passato e presente si sovrappongono. Fahidi si mette al servizio dell’arte, diventando così mezzo per raggiungere altri livelli poetici e comunicare qualcosa di concreto a chi la osserva. Attraverso il suo corpo esprime tutto il suo dolore, ma soprattutto la sua vitalità e “felicità”, che nonostante tutto il male subito, le permette di proseguire nei suoi obiettivi e raggiungere il cuore degli osservatori, per dimostrare che dopo tutti questi anni, ancora tutto il male fatto non è stato dimenticato.

Fahidi oltre a coinvolgere tutti con questa danza, racconta di quando danzava nuda di fronte allo specchio, di quanto lei si riconoscesse donna, femminile, consapevole di sé e del suo corpo. L’euforia dell’esistenza del titolo infatti, si ritrova proprio in questa vitalità caratteristica di Fahidi, che riesce a trasmettere attraverso la danza prima su un palcoscenico e poi sullo schermo, lasciando i tempi giusti alla tragedia vissuta da lei e dalla sua famiglia.

Se durante la sua danza ci sentiamo quasi liberi, torniamo alla dura realtà quando inizia a raccontare il suo passato. Tutto diventa più crudo, sentendo i suoi pensieri sulla memoria dei 49 parenti che hanno perso la vita nei campi e continua con un’escalation di ricordi, via via più potenti: dalle montagne di cadaveri nelle camere a gas, alla rasatura dei capelli, passando per le stanze in cui erano costrette a “vivere”.

Danzare fino a cancellare le tracce al suolo, le parole in aria. Danzare per riscrivere il mondo.

(Fabrizio Caramagna)

Note Positive

  • Trasmettere tutto il dolore provato dalla protagonista
  • Emozionare attraverso la danza
  • Coinvolgere totalmente lo spettatore grazie ad un’ottima alternanza tra interviste e spettacolo

Note Negative

  • Nessuna di rilevante
Condividi su

Lascia una risposta

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.