Tutto chiede salvezza – prima stagione (2022): un viaggio nel cuore dei “folli”

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Tutto chiede salvezza

Titolo: Tutto chiede salvezza

Anno: 2022

Nazione: Italia

Genere: Drammatico

Casa di Produzione: Picomedia

Distribuzione: Netflix

Stagione: 1

Puntate: 7

Regia: Francesco Bruni

Sceneggiatura: Francesco Bruni, Daniele Mencarelli, Daniela Gambaro, Francesco Cenni

Fotografia: Carlo Rinaldi

Montaggio: Alessandro Heffler

Musiche: Lorenzo Tomio

Attori: Federico Cesari, Andrea Pennacchi, Vincenzo Crea, Lorenzo Renzi, Vincenzo Nemolato, Alessandro Pacioni, Fotinì Peluso, Ricky Memphis, Bianca Nappi, Flaure BB Kabore, Filippo Nigro, Raffaella Lebboroni, Lorenza Indovina, Michele La Ginestra, Arianna Mattioli, Carolina Crescentini.

Trailer ufficiale della serie TV Tutto chiede salvezza

Tutto chiede salvezza è una serie TV drammatica diretta da Francesco Bruni che, dopo aver girato il film di ispirazione autobiografica Cosa sarà (2020), si affida ora al piccolo schermo per consegnare allo spettatore un coinvolgente racconto di formazione. Una storia che affonda la lente cinematografica nell’intima materia del disagio psichico vissuto da varie generazioni a confronto. Il prodotto disponibile su Netflix a partire dal 14 ottobre 2022, è liberamente ispirato all’omonimo romanzo di Daniele Mencarelli, vincitore del Premio Strega Giovani 2020. E’ lui, infatti, a firmare la sceneggiatura della serie, in collaborazione con lo stesso Bruni, Daniela Gambaro e Francesco Cenni.

Trama di Tutto chiede salvezza

Roma, estate 1994. Mentre l’Italia di Roberto Baggio si prepara ai mondiali di calcio, Daniele Cenni (Federico Cesari), a vent’anni, una mattina si risveglia incredulo in un letto d’ospedale. Dopo una serata di euforia alcolica e una sopraggiunta crisi psicotica, il giovane viene trasferito in un reparto psichiatrico per essere sottoposto al TSO: trattamento sanitario obbligatorio. Una settimana è il tempo di cura prestabilito dall’equipe medica che lo tiene in osservazione. 7 giorni per emettere una diagnosi che sia in grado di rivelare le ragioni del suo comportamento fuori controllo. Un breve arco temporale in cui egli ha modo di conoscere persone speciali, grazie alle quali comincia a guardare da vicino la natura del suo male. E tutto è destinato a cambiare.

Recensione di Tutto chiede salvezza

Si alza il sipario e tutto è caos. L’alcool si mischia al ballo sfrenato. Il sudore con le luci stroboscopiche. L’adrenalina palpabile con un tiro di cocaina, consumata nello squallido bagno di una discoteca. In medias res e per mezzo di questo incipit chiassoso, lo spettatore entra in punta di piedi nella vita di Daniele. E’ un attimo: dopo il ritorno a casa di sabato sera, il giovane si ritrova la mattina seguente in una struttura ospedaliera, senza saperne il perché. O meglio, in fondo lo sa ma ha bisogno di un ingente sforzo di memoria per far riemergere un oscuro groviglio di ricordi che, forse, sarebbe meglio non riesumare. Nel frattempo che passi l’effetto dei sedativi assunti, uno sguardo atterrito, contratto e spaventato – di fronte ad atteggiamenti inusuali di improbabili compagni di stanza – ci presenta, a piccoli passi, il protagonista della nostra storia.

Daniele si risveglia nella sala di un reparto psichiatrico
Daniele si risveglia nella sala di un reparto psichiatrico

Daniele è un ragazzo comune, con un unico segno particolare: davanti al Male non compreso e non accettato, non può fare a meno di porsi domande di urgenza vitale. Non può non chiedersi quale sia il senso ultimo dello stare al mondo, perché ignorare questa esigenza interiore che squarcia l’io, significherebbe non vivere affatto. La risposta suona sempre morte come sola certezza dell’individuo e del suo passaggio sulla Terra. «A che serve tutto?» si chiede disperato, in preda a un attacco d’ira violenta, a seguito del quale rischia di nuocere al padre e alla madre. E’, questa, una sequenza mostrata attraverso l’espediente narrativo del flashback. Una scena emotivamente destabilizzante, che scende dritta dritta nello stomaco fino a risalire al cuore dello spettatore, già spezzato a metà.

A farlo arrabbiare così tanto, però, non è solamente l‘amara consapevolezza dell’essenza effimera della vita, equiparata a un impercettibile soffio di vento. La goccia che fa traboccare il vaso è la scoperta della malattia di un suo vecchio amico, un brillante ingegnere ridotto a uno stato infantile a causa di un incidente stradale. E’ di fronte alla presa di coscienza di tale dramma che Daniele perde totalmente il controllo di sé. Il risultato, dunque, è la condivisione forzata di una stanza d’ospedale con tipi che il ventenne scruta con diffidenza, perché li identifica come dei «matti veri». Individui squilibrati, con i quali non ha nulla in comune. Ma, volente o nolente, deve adattarsi alla situazione. E, così, il protagonista inizia a conoscere gli altri personaggi: Gianluca, «bona come il pane», affetto da una grave forma di bipolarismo; “Madonnina”, un uomo in grado solamente di invocare l’aiuto della Santa Vergine; Mario, un saggio maestro elementare che passa le giornate a mangiate mele cotte e a contemplare un uccellino invisibile; Alessandro, segregato in un letto, in stato vegetativo, a causa di un incidente sul lavoro; e Giorgio, l’ultimo arrivato, incapace di non procurarsi male fisico, per l’assenza di una madre che i medici non gli hanno fatto vedere, prima che morisse.

Gianluca tenta di stabilire un contatto con Daniele
Gianluca tenta di stabilire un contatto con Daniele

E’ questo l’assortito quadro esistenziale entro cui si sviluppa, con delicatezza di sguardo, il racconto seriale sottopostoci. Sotto i nostri occhi scorre, come un fiume in piena, un’umanità fragile e caotica, caratterizzata, in misura diversa, da ferite psichiche difficili da superare. In scena compare un complesso reticolo di vite costantemente in bilico tra buio e luce, discesa e risalita. Ciascun personaggio porta sul viso pallido e giallognolo i segni del malessere, della solitudine, del terrore di scivolare per sempre nel baratro oscuro di una mente danzante. La temibile «zona nera» come la chiama, scherzandoci un po’ su, Gianluca.

Una realtà di tale sembianza, non può che, a primo impatto, scombussolare completamente Daniele. Infatti, cerca di isolarsi dal resto del gruppo, ergendosi su un piedistallo di normalità che, però, non fa che barcollare a ogni passo. Ma perché adottare un comportamento del genere? Il fatto è che il dolore degli altri genera sempre paura, perché è una materia che non si comprende razionalmente, per cui l’azione più logica che si può compiere è, semplicemente, evitare di far entrare gli altri nella nostra vita altalenante.

Piano piano, però, una parola tira l’altra, il muro della diffidenza comincia a essere lentamente scalfito. Durante il succedersi delle giornate, che scandiscono con ordine la struttura e l’evolversi del racconto, si assiste a un netto cambio d’approccio relazionale. Il nostro protagonista comincia a familiarizzare con i suoi compagni. Inizia a interessarsi alle loro storie personali e ad averne cura. Di rimando, essi si dimostrano ben disposti ad alleggerire la tensione da reparto psichiatrico con battute culinarie, frivolezze quotidiane e gustose risate. Daniele, insomma, avverte sotto pelle la necessità di scrollarsi di dosso quella sua fittizia maschera di superiorità, per condividere apertamente le sue fragilità e passioni.

Daniele, Giorgio e Gianluca in una scena della serie
Daniele, Giorgio e Gianluca in una scena della serie

Tra queste ultime, spicca quella per la poesia, che bussa indisturbata nelle ore di quiete, dopo l’allerta dei sensi, pronta a concedere aria pura. È questo il tempo di concedersi alla bellezza vergine della pagina bianca, in attesa di ricevere l’universo interiore di chi scrive. E Daniele scrive solo per una donna. Per Lei. Sua madre. Il simbolo di un amore primigenio. Motore primo di ogni slancio d’affetto e protezione. Certezza di un corpo da abbracciare forte, quando si vuole scappare. Quello della scrittura in versi è uno degli strumenti che intensifica l’atmosfera emotiva dell’impasto scenico e permette al nostro protagonista di perlustrare la propria indole, attraversata da pensieri straripanti. Da quei moti dell’animo che i suoi compagni accolgono con entusiasmo e gioia. Con l’ingenua saggezza di chi sa distinguere la creatività dalla pazzia.

Sono proprio loro, dunque, a rivelarsi unica medicina efficace capace di curare ogni abbattimento. Le acque dello sconforto, però, non sono le uniche ad essere navigate. Infatti, accanto alle alternate crisi di nervi e alle notti passate a corteggiare il sonno, si assiste anche alla magnifica esplosione dell’immaginazione. Ecco che, allora, è sufficiente affacciarsi da una finestra e osservare un’imbarcazione in lontananza per diventare i giocosi timonieri della Nave dei pazzi, su cui tutti, indistintamente, sono invitati a salire. Insomma, basta poco per distrarsi da sé stessi e assaporare il gusto della semplicità. Così, anche mangiare una pizza che sa di cartone, diventa un dono. Come, peraltro, è un dono poter contare su medici e infermieri che, al pari dei pazienti, sono essere umani pieni di trascorsi, traumi e ammaccature. Dietro le loro uniformi, battute in romanesco e corazze impenetrabili, si nasconde solo del buono.

Mario parla con Daniele della sua poesia
Mario parla con Daniele della sua poesia

Altro regalo prezioso sono i dialoghi che nutrono il legame tra Daniele e Mario. Quest’ultimo sembra incarnare per il suo giovane interlocutore una sorta di spirito guida. Un saggio mentore che sa dispensargli dritte esistenziali e che, soprattutto, è in grado di cogliere e comprendere fino in fondo la sua estrema sensibilità. Una qualità che gli permette di andare oltre la riduttiva superficie delle cose. E’ sempre Mario, inoltre, che lo esorta con autenticità a mantenere sempre e comunque uno sguardo libero e aperto sul mondo e le sue innate complessità. La forza della parola offerta in dono è così potente da far sì che un grigio e anonimo spazio ospedaliero diventi, per tutti, terreno fertile per la nascita di un’amicizia che travalica ogni confine. Un rapporto tra «fratelli» destinati a vincere la paura dell’incertezza e del sentirsi inadeguati.

Ma non è solo la nascita progressiva di un’indicibile fratellanza a preservare i nostri personaggi dalla caduta nell’abisso oscuro della mente. C’è anche l’amore che ci mette lo zampino. Quel sentimento che si affaccia per caso nelle vite di Daniele e Nina. Un’attrice influencer che nei suoi scintillanti vent’anni da social e Red Carpet ha fatto tutto, fuorché essere se stessa. La loro è una conoscenza che procede per gradi e segue varie tappe, finalizzate ad alleggerire e addolcire la narrazione seriale. Dal vano corteggiamento iniziale di lui e il menefreghismo strafottente di lei, si giunge, come da perfetto manuale, all’unione di due corpi fatti della stessa pasta interiore. Entrambi, affidandosi all’esplosività dei propri caratteri, si scambiano la verità dei loro vissuti, abbattendo ogni sovrastruttura e fragile maschera, per aprirsi al futuro.

Daniele e Nina nella scena finale della serie
Daniele e Nina nella scena finale della serie

Condivisione e dialogo. Salute e malattia. Vita e Morte. Sono tanti i temi messi in scena con la grazia di un occhio filmico attento a valorizzare ogni dettaglio visivo e che sa inquadrare e restituire l’essenza irrequieta della bellezza. Il risultato finale? Per ciascuno dei nostri, nonostante le crepe, l’acquisita consapevolezza di «andare un passo più avanti» ed «essere sempre vero».

In conclusione

Tutto chiede salvezza è più che una semplice serie tv da fruire in maniera distratta su una piattaforma streaming. Si tratta di un racconto audiovisivo tratto da una storia vera. Un inferno vero. Quello di un’anima in corsa per trovare se stessa e affollata dal pensiero mortificante della precarietà dellesistenza. In ballo, dunque, c’è roba grossa: il trattamento della sanità mentale, accanto all’equilibrio instabile di vite che amano e soffrono con la stessa intensità. Presenze vitali che pretendono di essere ascoltate e accettate, oltre il velo fallace dell’apparenza e del facile pregiudizio. Servendosi di un un titolo quanto mai evocativo, il regista e lo scrittore Mencarelli ci stanno dicendo, senza retoriche perifrasi, quanto davvero ogni fibra del reale abbia un bisogno smodato di salvezza. Ecco la parola fatidica. Quella che Daniele cerca da sempre, ma che fatica a trovare e pronunciare, perché dal significato troppo grande. Otto lettere per alludere a una dimensione rarefatta, eterea, che sfugge alla sostanza. Una condizione di libertà interiore che, forse, si può guadagnare accogliendo l’altro così com’è, con le sue peculiarità che sono unicità, piuttosto che diversità. Se poi essere pazzi significa mettersi in discussione e chiedersi qual è il senso del vivere, allora rassegnamoci: siamo tutti da manicomio. D’altronde, «noi, voi, che differenza vuoi che faccia. Ognuno ha la sua storia, e dentro ogni storia c’è un dolore». Al di là di ciò, guardando con attenzione il percorso di crescita e maturazione personale a cui i nostri personaggi vanno incontro, tra lacrime e sorrisi sinceri, si comprende come in qualunque situazione di disagio, davvero l’unione faccia la forza. Questa non è una banale frasetta da bacio perugina, bensì una verità assoluta da accogliere e mettere in pratica nella prassi quotidiana. Perché solo così si può risorgere dalla notte dell’anima e rinascere a nuova vita, consci della propria natura.

Note positive

  • Le tematiche trattate
  • La sceneggiatura

Note negative

  • /
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