Dom (2025). I bambini di Sarajevo – Venezia 82

Recensione, trama e cast del film Dom (2025). Il documentario di Battistella racconta la guerra di Sarajevo attraverso il viaggio emotivo di Mirela.

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Dom (2025) - Immagine ricevuta dall'ufficio stampa per uso editoriale
Dom (2025) – Immagine ricevuta dall’ufficio stampa per uso editoriale

Dom

Titolo originale: Dom

Anno: 2025

Nazione: Italia, Bosnia ed Erzegovina

Genere: documentario

Casa di produzione: Kama Productions, MESS

Distribuzione italiana: –

Durata: 80 minuti

Regia: Massimiliano Battistella

Sceneggiatura: Massimiliano Battistella, Lisa Pazzaglia

Fotografia: Emanuele Pasquet

Montaggio: Desideria Rayner, Giampiero Civico

Musiche: Nedim Zlatar

Attori: Mirela Hodo, Kristaq Nina, Denis Nina, Mathias Nina

Trailer di “Dom”

Informazioni sul film e dove vederlo in streaming

Nato a Roma nel 1985, Massimiliano Battistella si forma in ambito umanistico con una laurea in critica letteraria, arricchendo il proprio percorso con studi nelle arti visive. Si avvicina rapidamente al mondo dell’audiovisivo, maturando competenze come assistente alla regia e nel casting, collaborando con registi di rilievo. Come autore e regista, firma cortometraggi selezionati in festival internazionali riconosciuti dagli Academy Awards, con opere distribuite e commercializzate in Europa, Asia, Stati Uniti e Sud America grazie a realtà come Sayonara Film, Elefant Film e Prem1ere Film. Tra i suoi progetti più significativi figura il documentario Pierrot sui binari, realizzato in collaborazione con Trullove Cinema e premiato in numerosi festival internazionali.

Nel 2025 realizza il suo primo lungometraggio da regista, Dom, un documentario presentato in anteprima mondiale alle Giornate degli Autori, aprendo giovedì 28 agosto alle ore 21:00 in Sala Laguna la selezione Notti Veneziane, realizzata in accordo con Isola Edipo nell’ambito della 82ª Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia.

La pellicola è prodotta da Riccardo Biadene per KAMA Productions, in coproduzione con Nihad Kreševljaković per MESS Sarajevo e Ivana Cvetković Bajrović per Method, con la partecipazione di Global Film Partners Amsterdam.

Trama di “Dom”

Nel 1992, durante l’assedio di Sarajevo, Mirela viene evacuata dall’orfanotrofio Dom Bjelave insieme ad altri 66 bambini. Ha solo dieci anni quando trova rifugio in Italia, lasciandosi alle spalle una città sotto bombardamento e un passato spezzato. Nel 2025, Mirela vive a Rimini con il marito e i suoi due figli, uno dei quali affetto da problemi alla gola. Da questa sponda opposta dell’Adriatico che l’ha accolta, decide di intraprendere un viaggio di ritorno in Bosnia, alla ricerca della madre e di un’identità frammentata. Il suo percorso si snoda tra incontri con amici d’infanzia, memorie sopite e luoghi che portano ancora le cicatrici della guerra.

Recensione di “Dom”

DOM racconta una storia profondamente personale, ma al contempo universale, di sradicamento e di ricerca di appartenenza. Raccontandola insieme a Mirela, ho voluto stare accanto a tutti quei bambini che la guerra sradica dal proprio contesto di vita e condanna a una perenne ricerca delle proprie radici; per tutti estremamente dolorosa, per pochi, e Mirela tra questi, di riuscita riappropriazione. Durante le riprese si è instaurato un dialogo creativo ed emotivo senza cesure tra campo e fuori campo, guidato da una consapevolezza etica supportata dal metodo dello psicodramma applicato in fase di riprese, grazie alla scommessa di Riccardo Biadene, un produttore anomalo che ha investito sulla preziosa collaborazione di Lisa Pazzaglia, una figura professionale inusuale nel contesto cinema, preposta all’ascolto e alla tutela di tutti i ruoli in gioco, troupe inclusa, e di Mirela sopratutto; in relazione alla camera, alla produzione sul set e all’intero arco temporale di lavorazione. 

Dichiarazione del regista

Le cicatrici del passato, gli orrori degli uomini. Il cinema le racconta, non per glorificare la grande Storia o i leader che hanno giocato alla guerra, ma per dare voce agli invisibili, a coloro che hanno portato nel corpo e nell’anima le ferite di conflitti che hanno stravolto il loro presente e il loro futuro. Nel 2022, la cineasta italiana Barbara Cupisti con Hotel Sarajevo ha aperto uno squarcio sulla guerra in Bosnia, partendo dal racconto dell’Holiday Inn, luogo simbolico dove si rifugiavano i corrispondenti occidentali durante l’assedio. Il documentario intreccia le memorie di tre generazioni, restituendo il trauma collettivo attraverso storie personali. Nel 2023, la regista bosniaca Mersiha Husagic con Cherry Juice ha esplorato le cicatrici interiori di una giovane donna che, da bambina, ha visto la guerra con i propri occhi. Il film è un viaggio nell’intimità del dolore, nella memoria che non smette di pulsare. Nel 2024, Iva Radivojević ha firmato When the Phone Rang, presentato al Locarno Film Festival. Ambientato in un venerdì del 1992, il film segue Lana, una bambina di undici anni che riceve una telefonata destinata a cambiare per sempre la sua vita. Il film è un mosaico di memoria e dislocazione, dove il telefono diventa una macchina del tempo e la voce narrante un fantasma che attraversa le immagini.

Nel 2025, Massimiliano Battistella aggiunge un ulteriore tassello con Dom, documentario presentato alle Giornate degli Autori di Venezia. Il film segue Mirela, rifugiata bosniaca evacuata da Sarajevo nel 1992, che intraprende un viaggio di ritorno per riconciliarsi con il proprio passato. Attraverso il suo sguardo, il film racconta le cicatrici dell’anima lasciate dall’assedio di Sarajevo — il più lungo della storia moderna, durato quasi quattro anni e costato oltre 12.000 vite civili.

La guerra in Bosnia, conclusa formalmente con gli Accordi di Dayton nel novembre 1995, ha lasciato il paese diviso e ferito. Il cinema, in maniera particolare dal 2020, ha scelto di non dimenticare. Ha raccontato non i generali, ma i bambini, le madri, i profughi. Ha dato forma al dolore, ha cercato la memoria, ha costruito ponti tra passato e presente. In questo gesto, il cinema diventa atto di resistenza. Non solo contro l’oblio, ma contro l’indifferenza.

Un viaggio nelle cicatrici invisibili della guerra

In linea con gli altri lungometraggi citati, Dom si distanzia dalla grande Storia per abbracciare le piccole storie umane, quelle capaci di diventare emblemi di un’intera generazione di giovani donne e uomini coinvolti passivamente, e spesso inconsapevolmente, nel conflitto bosniaco. Il regista Massimiliano Battistella sceglie di raccontare la vicenda di Mirela, una donna comune, per esplorare le cicatrici interiori lasciate dalla guerra, il senso di colpa per essere sopravvissuta, e la sua profonda ricerca di riconnessione con un’identità spezzata.

Il film assume la forma di un viaggio fisico ed emotivo, con un tono marcatamente on the road, segnato da tappe e spostamenti che scandiscono il percorso di Mirela verso sé stessa. Espatriata contro la propria volontà, cresciuta a Rimini tra le braccia di una maestra italiana affettuosa, Mirela intraprende un ritorno verso Sarajevo, e in particolare verso l’orfanotrofio di Dom Bjelave, luogo che per lei rappresenta “casa”. Qui ritrova volti cambiati dal tempo, ma legati da un’esperienza comune: la vita condivisa nell’orfanotrofio durante l’assedio, che ha trasformato quei bambini in fratelli e sorelle.

Il viaggio si arricchisce di incontri e tappe che approfondiscono la protagonista, portando a galla emozioni sopite e un senso di colpa per aver lasciato Sarajevo nel pieno del conflitto, quando fu evacuata in Italia insieme ad altri 66 bambini. La sua ricerca la conduce infine nella Bosnia più interna, dove tenta di ricostruire la propria storia familiare. Raggiunge l’ospedale in cui è nata e riesce a parlare al telefono con la madre biologica, nella speranza di poterla incontrare, guardarla negli occhi e ricongiungersi con lei. In questo senso Dom è un racconto intimo e commovente, che non cerca il rancore ma la comprensione. È il racconto di un tentativo di una donna di mettere insieme i tasselli mancanti di una vita frammentata, di dare forma a un’identità che ha sempre cercato le proprie radici. È un film che parla di memoria, di appartenenza, e di quella fragile ma potente volontà di guarire.

Una regia per raccontare l’anima

In Dom, Massimiliano Battistella compie una scelta registica radicale e coerente: la macchina da presa a mano resta incollata ai volti, ai corpi, agli sguardi. Rarissimi sono i campi lunghi o le inquadrature panoramiche; prevalgono invece i primissimi piani e i piani ravvicinati, che restituiscono con intensità il viaggio emotivo della protagonista. Non vediamo mai la Bosnia, né le bellezze di Sarajevo: il paesaggio è interiore, fatto di relazioni, ricordi, ferite e riconciliazioni.

Questa scelta stilistica riflette la volontà del cineasta di raccontare non un viaggio geografico, ma un percorso intimo e umano. Dom è un documentario che rinuncia alla spettacolarizzazione per abbracciare la verità dei gesti, delle parole, dei silenzi. Mirela non è solo una protagonista: è un tramite, un simbolo di una generazione di bambini bosniaci espatriati nel 1992, cresciuti in terre straniere, portatori di una memoria frammentata e dolorosa. Attraverso il suo sguardo, il film dà voce a chi ha vissuto l’infanzia da sradicato, esplorando il senso di appartenenza, la resilienza e il bisogno profondo di riconciliazione. La storia personale di Mirela si intreccia con quella collettiva di un paese segnato da una delle più gravi tragedie del dopoguerra europeo. Il suo volto, spesso in primo piano, diventa specchio di un trauma condiviso, ma anche di una speranza: quella di ritrovare le proprie radici, di ricucire le fratture, di tornare a casa — qualunque forma essa abbia.

Il montaggio come memoria

Nel film Dom (2025), Massimiliano Battistella costruisce un impianto registico che si fonda su un dialogo costante tra il tempo della memoria e quello del presente, in un intreccio che non è mai solo narrativo, ma profondamente emotivo. La scelta di utilizzare materiali d’archivio — filmini privati, riprese familiari, documenti visivi provenienti dagli orfanotrofi di Rimini e di Dom Bjelave a Sarajevo — non è solo una strategia estetica, ma un gesto politico e affettivo. Attraverso questi frammenti, il regista restituisce alla protagonista Mirela la possibilità di rivedersi bambina, di riattraversare le tappe della sua infanzia spezzata, e di confrontarsi con un passato che non è mai stato davvero elaborato.

Il montaggio, curato con sensibilità da Desideria Rayner, cerca di dare forma a questa stratificazione temporale, alternando il presente del viaggio di Mirela — il ritorno a Sarajevo, l’incontro con gli amici d’infanzia, la ricerca della madre — con il passato registrato, spesso in modo spontaneo, dalle animatrici del centro di Santa Maria del Mare e dalle rare riprese dell’orfanotrofio bosniaco durante l’assedio. Tuttavia, non tutti i momenti d’archivio riescono a integrarsi con la stessa efficacia: in alcune sequenze, l’inserimento appare più evocativo che narrativamente giustificato, e il ritmo del racconto ne risente, lasciando lo spettatore in una sospensione che non sempre trova risoluzione.

Ciò che colpisce maggiormente è la delicatezza con cui il film ritrae i bambini di Sarajevo accolti a Rimini, soprattutto nella prima parte. Le immagini di gioco, di attesa, di saluti in italiano o in bosniaco rivolti alle loro famiglia di origine, restituiscono una dimensione universale del trauma infantile: lo spaesamento, la speranza di ritrovare i propri cari, la capacità di adattarsi a un mondo nuovo pur portando dentro una ferita invisibile. In quegli sguardi si coglie la resilienza, ma anche la fragilità di chi è stato strappato troppo presto alla propria terra e ai propri affetti.

Il montaggio, pur con qualche imperfezione, diventa così uno strumento di ricostruzione emotiva, un mosaico che non cerca la linearità, ma la verità del vissuto. Dom non è solo il ritratto di Mirela, ma quello di una generazione segnata dalla guerra, dall’esilio e dalla necessità di ricomporre una geografia identitaria frammentata. Il film riesce a creare uno spazio protetto, intimo e rispettoso, dove la memoria non è solo ricordo, ma possibilità di riconciliazione. E in questo spazio, il cinema diventa atto di cura.

In conclusione

Dom è un documentario che riesce a trasformare una storia personale in una narrazione universale, capace di toccare corde profonde e di restituire dignità a chi ha vissuto l’infanzia sotto assedio. Mirela diventa il volto di una generazione sradicata, ma anche il simbolo di una resilienza che non si piega. Il regista sceglie di raccontare il viaggio emotivo più che quello geografico, e lo fa con uno sguardo rispettoso, intimo, mai invadente. Non tutto funziona alla perfezione — il montaggio dei materiali d’archivio è talvolta disordinato — ma l’opera nel suo complesso è un atto di memoria, di ascolto, di riconciliazione. Un film che non cerca la spettacolarizzazione, ma l’essenza più intima e vera.

Note positive

  • Racconto intimo e universale della guerra e delle sue conseguenze
  • Regia attenta e rispettosa, centrata sui volti e sulle emozioni

Note negative

  • Montaggio dei materiali d’archivio talvolta disorganico con alcuni inserti visivi poco funzionali alla narrazione
  • Ritmo altalenante

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Review Overview
Regia
Fotografia
Sceneggiatura
Colonna sonora e sonoro
Emozione
SUMMARY
3.9
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Stefano Del Giudice
Stefano Del Giudice

Laureatosi alla triennale di Scienze umanistiche per la comunicazione e formatosi presso un accademia di Filmmaker a Roma, nel 2014 ha fondato la community di cinema L'occhio del cineasta per poter discutere in uno spazio fertile come il web sull'arte che ha sempre amato: la settima arte.