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La città proibita
Titolo originale: La città proibita
Anno: 2025
Nazione: Italia
Genere: Drammatico, Sentimentale, Azione
Casa di produzione: Wildside, PiperFilm, Goon Films
Distribuzione italiana: PiperFilm
Durata: 137 minuti
Regia: Gabriele Mainetti
Sceneggiatura: Stefano Bises, Gabriele Mainetti, Davide Serino
Fotografia: Paolo Carnera
Montaggio: Francesco Di Stefano
Musiche: Fabio Amurri
Attori: Enrico Borello, Yaxi Liu, Marco Giallini, Sabrina Ferilli, Chunyu Shanshan, Luca Zingaretti
Trailer di “La città proibita”
Informazioni sul film e dove vederlo in streaming
A dieci anni dal suo esordio con Lo chiamavano Jeeg Robot – diventato un cult nel panorama cinematografico italiano post-2010 – Gabriele Mainetti torna sul grande schermo con il suo terzo film, probabilmente il più intenso dal punto di vista emotivo. Uscito nelle sale italiane il 13 marzo 2025, La città proibita è un’opera che fonde azione e dramma, comicità all’italiana e cinema orientale, generando un’esperienza cinematografica unica. Tra kung fu e piatti di amatriciana, il film rappresenta il cinema dell’incontro, dell’interazione e della fusione, lasciando nello spettatore il desiderio di un mondo diverso da quello che conosce.
Con questa pellicola, Mainetti si conferma come uno dei più grandi interpreti italiani della contaminazione tra generi e stili, dimostrando ancora una volta la sua sensibilità artistica e la ricerca di autenticità sia nella scrittura che nella scelta e nel rapporto con gli attori sul set.
Il film, inizialmente previsto per l’autunno 2024 con Vision Distribution, è stato distribuito da PiperFilm dal 13 marzo 2025, con un’anteprima esclusiva l’8 marzo.
Trama di “La città proibita”
In una pittoresca e coloratissima Piazza Vittorio a Roma, un ristorante cinese si staglia imponente coi suoi segreti. Dai suoi sotterranei sopraggiunge una giovane: Mei (Yaxi Liu), una forza della natura, secondogenita in un Paese, la Cina, che non ammetteva ai suoi tempi più di un figlio. Lei è un’anima apparentemente senza identità, ma anche una combattente di Kong fu senza eguali, disposta a tutto per ritrovare la sorella maggiore, Yun, di cui ha perso le tracce una volta fuggita in Italia. Mei è pronta a scombussolare l’equilibrio precario di quel piccolo mondo, popolato da piccoli, ma non meno crudeli gangster locali, come Annibale, e grandi criminali organizzati, eppure la sua indagine la fa scontrare e incontrare con un giovane cuoco, Marcello, alla ricerca di suo padre, scomparso proprio assieme a Yun. Tra colpi di arti marziali di grande impatto visivo e momenti di delicato confronto, i due, insieme avvieranno una ricerca della verità, ma anche del loro io, mai veramente scoperto. All’interno di questa lotta e ricerca si conosceranno, imparando a comprendersi pur parlando lingue diverse, fino a un epilogo inaspettato in grado di far cadere ogni maschera.

Recensione di “La città proibita”
Definire, classificare, persino giudicare un film di Gabriele Mainetti è una sfida, ardua, anzi forse pressoché impossibile e forse è proprio questa la bellezza che contraddistingue il suo cinema. A dieci dall’uscita del suo primo capolavoro “Lo chiamavano Jeeg Robot”, Mainetti torna al cinema raccontando un amore che supera persino le barriere linguistiche (Mei e Marcello comunicano infatti con il traduttore), un amore surreale, impossibile da sostenere nella realtà di tutti i giorni, ma auspicabile, meraviglioso da immaginare e allo stesso modo raccontando una nuova Roma, senza dimensioni, senza confini ben definiti. Pittoresco e contemporaneo al tempo stesso nella sua ambientazione, dolce, ma anche cruento, freddo, ma con grandi momenti di emotività e fragilità, “La città proibita” si erge come un prodotto inetichettabile e sorprendente.
C’è chi ha parlato di Mei come del primo vero protagonista femminile tra i supereroi di Mainetti, ma parlare di questo personaggio come di una bandiera per cavalcare il femminismo è un grande errore: il cinema di Mainetti ha infatti sempre rappresentato penetranti caratteri femminili (pensiamo alla Matilde di Freaks Out) e non ha mai avuto bisogno di ostentarlo, accogliendo il femminile con la naturalezza che dal vero femminismo ci si aspetta.
Mei non è altro che la prima fusione che il cineasta riporta in questo film: quella tra l’io eroico del cinema d’azione asiatico, fatto di combattimenti e vendette, e la leggerezza della gioventù, che seppur repressa dalle sventure, la contraddistingue. Mei è leggera ed elegante come un origami, ma anche feroce e segnata dalla mentalità della vendetta e questo è il primo segno di fusioni e contrapposizioni di cui è impregnato il film. Il suo carattere sfaccettato si scontra con quello altrettanto particolare e per niente scontato della sua controparte: Marcello. Quest’ultimo, a dispetto del ricordo cinematografico a cui il suo nome ci riporta, vive di una tenerezza ancora quasi infantile, un uomo non ancora segnato da alcun tipo di mascolinità tossica, ma, al contrario, ravvivato da quella bontà d’animo, che spesso si perde col tempo.
Mei e Marcello, così come il loro amore, semplice nei modi, senza orpelli, in pieno stile mainettiano, non hanno un solo volto, non hanno genere, ma si tingono di una bellezza stratificata e questo stesso lavoro viene portato avanti con minuzia anche sugli altri personaggi, primo fra tutti il vero villain della storia: Annibale (Marco Giallini), il piccolo gangster di zona, crudele, ma romantico, razzista, ma appassionato di De André, insomma un vero e proprio personaggio da tragedia greca, fino alla fine. Mainetti spinge lo spettatore a non volere mai troppo male al “cattivo”, a capirlo, a trovarlo a tratti simpatico, ironico, tenero, nonostante le brutalità commesse. E’ questa la prima grande forza del cinema senza genere che il regista romano ripropone e che si esprime in ognuno dei tre film: il lavoro sulle sfaccettature dei personaggi è reale e si compie proprio attraverso il lavoro su forze e fragilità degli attori stessi, che Mainetti tende e vuole conoscere personalmente.
L’incontro/scontro presente in questo film, non si esprime tuttavia solo nella costruzione dei personaggi o nella perfetta unione tra un noodle in brodo e un bucatino all’amatriciana, ma anche nei luoghi. La Roma antica percorsa in vespa stile “Vacanze Romane”, come la Roma di Marcello e del suo ristorante tipico, ma anche vecchio, si incontra, si fonde con la Roma di Piazza Vittorio, colorata, dipinta come un acquerello di culture, profumi, lingue differenti, purtroppo solo idealmente in perfetta armonia. Mainetti sa bene infatti che quella che lui rappresenta, non è la piazza Vittorio dei nostri giorni, ma la piazza che dovrebbe diventare, se quelle culture fossero davvero accolte, se l’odio represso che attanaglia chi non accetta il diverso, chi parla di “casa nostra”, frase ripetuta quasi inconsciamente da Annibale per tutto il film, si estinguesse e questo Mainetti lo rivela senza mai essere didascalico, senza bacchettare.
Della storia, l’intreccio dei fatti che coinvolgono i personaggi, ovviamente non si può dire che rientri in un thriller o in un film d’azione e nemmeno pienamente in un film drammatico: anche in questo caso Mainetti lascia infatti pieno potere alle immagini e alla sceneggiatura di pescare un po’ da tutti i generi, regalando momenti di pura commedia all’italiana, alternati a momenti in cui le arti marziali dominano come in un vero film di Jackie Chan. Questa alternanza è oltretutto ben sottolineata dai colori, dalle scenografie, dalla regia: se la storia tra Marcello e Mei si connota di colori tenui, tranquillizzanti, le scene d’azione, sono fredde, richiamando tonalità talvolta molto forti e in contrasto fra loro, come nel cinema di Hong Kong.
Questa forza visiva, rivela ancora una volta le grandi qualità registiche del cineasta della capitale, nonostante “La città proibita” nel suo estremo manifesto di fusione totale, di eliminazione di etichette e confini, di rappresentazione di un presente non del tutto reale, ma ancora possibile a Roma, forse resti molto meno d’impatto al livello visivo del precedente Freaks Out, fra tutte le opere, ancora la più poetica.

In conclusione
Non si può di certo dire che “La città proibita”, nonostante a tratti si dilunghi un po’ perdendo la magia dell’attimo, non sia un film da vedere: il cinema di Mainetti è infatti ancora uno dei pochi al livello italiano, ma forse anche internazionale, in grado di parlare al pubblico senza tingersi di qualcosa che non è, senza dare risposte nette o giudizi affrettati, spesso ipocriti. Gabriele Mainetti, tra un supereroe e una periferia, tra scene di violenza quasi da videogioco e momenti di tenerezza a ogni età, è ancora fra i pochi che riesce a lasciare spazio all’immaginazione di un mondo diverso, senza dimenticare le storture che lo affliggono e questo…questo è il cinema di cui abbiamo bisogno.
Note positive
- Personaggi sfaccettati e ben caratterizzati
- Regia che mescola generi in modo originale
- Ambientazione affascinante e ricca di dettagli
- Equilibrio tra spettacolarità e riflessione sociale
- Ottime interpretazioni del cast
Note negative
- A tratti risulta eccessivamente lungo