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La donna che canta
Titolo originale: Incendies
Anno: 2010
Genere: Drammatico, Guerra
Casa di produzione: Micoscope, Entertainment One
Distribuzione italiana: Lucky Red
Durata: 130 minuti
Regia: Denis Villeneuve
Sceneggiatura: Valerie Beaugrand-Champagne, Denis Villeneuve
Fotografia: Andrè Turpin
Montaggio: Monique Dartonne
Musiche: Gregoire Hetzel
Attori: Lubna Azabal, Maxime Gaudette, Melissa Desormeaux-Poulin
Trailer di “La donna che canta”
Informazioni sul film e dove vederlo in streaming
Denis Villenueve si è guadagnato una crescente stima tra gli amanti della settima arte, mettendo a segno un film dietro l’altro nel corso della seconda decade degli anni 2000. Dune ha consacrato il successo del regista canadese nel panorama mainstream, portando il suo nome anche sulla bocca di chi – di solito – non si interessa delle nuove uscite in sala. Non si può negare che la trasposizione del romanzo di Frank Herbert sia stata una notevole prova. Infatti non è mai facile – per un regista – realizzare un film ad alto budget senza tradire lo stile che lo aveva caratterizzato fino ad allora. Non è facile, ma Denis Villenueve sembra esserci riuscito. Se infatti in Doctor Strange 2 c’è ben poco del Sam Raimi che ha dato vita a La casa (o anche alla più commerciale saga di Spiderman) e in Indiana Jones 5 c’è poco dello stile di James Mangold, in Dune non mancano i tratti distintivi del regista canadese Denis Villenueve.
Villenueve è riuscito a conciliare il suo modo di fare cinema con le necessità che si incontrano quando si ha a che fare con un budget così cospicuo. In una filmografia che spazia dal thriller alla fantascienza con disinvoltura, l’apice è probabilmente raggiunto da uno dei film più vecchi e meno chiacchierati, ovvero “La donna che canta”, pellicola del 2010, candidata come miglior film straniero ai Premi Oscar 2011, adattamento cinematografico dell’opera teatrale di Wajdi Mouawad. Il film, presentato in anteprima mondiale al Festival cinematografici di Venezia e successivamente a Toronto nel settembre 2010 si rifà alla vita di Souha Fawaz Bechara e sugli eventi riguardanti la guerra civile libanese, tenutasi tra il 1975 e il 1990.
Trama di “La donna che canta”
Nawal si è portata un grande segreto nella tomba. La lettura del suo testamento rivela ai figli Jeanne e Simon dell’esistenza di un altro fratello. Per trovarlo, Jeanne va in Libano, terra natia della madre. Il viaggio alla ricerca della verità passa attraverso la storia di una famiglia distrutta e di una terra devastata dalla guerra civile, e porta alla luce segreti ben più oscuri del previsto.
Recensione di “La donna che canta”
La morte può essere vista come un nuovo inizio, sembra suggerire l’incipit del film. Infatti, è dal testamento della madre che ha inizio la nostra storia. Da questa premessa, Villeneuve parte a raccontare una trama che si estende su un lungo lasso di tempo, intrecciando numerose vicende e personaggi. Eppure, nonostante questa ampiezza e questa grandezza, il film si concentra sui piccoli dettagli e sulle vicende familiari. Tutto il resto funge da sfondo alla vicenda storica e viene filtrato attraverso lo sguardo dei protagonisti. Difatti, la guerra di religione passa in secondo piano, con due fazioni ugualmente crudeli e personaggi che non si schierano. Il fulcro del film sono dunque le emozioni dei personaggi, quelle pi+ intime, che hanno poco a che vedere con la situazione politica del territorio libanese.
“La donna che canta” non è il racconto della guerra civile libanese, ma piuttosto il resoconto di un viaggio umano intrapreso da Jeanne. Questo viaggio le permette di ripercorrere le orme di quello compiuto da sua madre da giovane, attraversando gli stessi luoghi polverosi e devastati dalla violenza. Si tratta di due viaggi alla ricerca della propria famiglia, in un mondo che sembra indifferente ai legami affettivi. Il paesaggio brullo del Libano che vediamo scorrere durante il lungometraggio, con le sue case spoglie e diroccate si sposa bene con il tipo di racconto scelto dal regista e con la regia asciutta effettuata dal cineasta. Negli ambienti scoscesi del Medio Oriente prevalgono colori chiari come il giallo, il bianco e il verde chiaro degli sporadici arbusti. Le carrellate che seguono i personaggi per le vie delle cittadine libanesi non sfiorano mai il virtuosismo fine a sé stesso e le panoramiche negli spazi stretti della prigione garantiscono un senso di estrema claustrofobia. Il tutto per una regia che resta sempre al servizio della narrazione.
Andando avanti, i due gemelli, Jeanne e Simon, fratelli di Nawal Marwan dovranno fare i conti col peso di una verità dolorosa. Una scoperta che cambia la loro vita e che mette in discussione la razionalità con cui, specialmente la sorella, aveva sempre interpretato il mondo.
La necessità di compattare così tanti avvenimenti in due ore qualche volta si fa sentire, e a volte si avverte la necessità di premere un po’ sull’acceleratore per far rientrare tutto nel tempo prestabilito. Inoltre il film – soprattutto nel finale – rischia di scivolare nel retorico con dei monologhi che poco aggiungono a quello che già era stato detto. Sembra quasi un riassunto troppo didascalico dei messaggi principali dell’opera. In punto di morte, la madre ha voluto dare ai suoi figli l’opportunità di ripercorrere la sua storia e imparare a non farsi fagocitare dalla violenza del mondo che li circonda. Solo sostituendo la vendetta col perdono la catena di odio che ha distrutto la vita di Nawal può essere spezzata.
In conclusione
Un film sul perdono, sulla comprensione del carnefice e sulla resistenza dei legami affettivi in un mondo dominato dall’odio. Un film che non va incontro a chi è in cerca di una storia puramente di guerra, e nemmeno a chi ha solo voglia di vedere un dramma familiare. La donna che canta unisce i due generi con successo in un progetto ambizioso, che rimane a oggi una delle vette più alte toccate dal cinema di Villenueve.
Note positive
- Regia e stile visivo
- Il film affronta temi complessi come il perdono e la necessità di rompere il ciclo di violenza attraverso la comprensione e l’empatia. La scoperta delle verità dolorose e il confronto con il passato offrono una riflessione profonda sulla condizione umana e sulle cicatrici che la violenza e l’odio possono lasciare.
Note negative
- Alcuni monologhi nel finale del film possono risultare ridondanti e retorici