I tre volti della paura: L’apogeo del gotico italiano

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I tre volti della paura

Anno: 1963

Paese: Italia, Francia

Genere: Horror, Thriller

Casa di produzione: Emmepi Cinematografica, Lyre Cinematographique, Galatea S.p.A

Prodotto da: Lionello Santi, Alberto Barsanti

Durata: 1 hr 30 min (90 min)

Regia: Mario Bava

Sceneggiatura: Alberto Bevilacqua, Mario Bava, Marcello Fondato

Montaggio: Mario Serandrei

Dop: Ubaldo Terzano, Mario Bava

Attori: Boris Karloff, Mark Damon, Michele Mercier, Susy Andersen, Lidia Alfonsi, Glauco Onorato, Massimo Righi, Milly Monti, Gustavo De Nardo, Jacqueline Pierreux

Recensione de I tre volti della paura

TRAMA DI I TRE VOLTI DELLA PAURA

In apertura troviamo Boris Karloff (il Frankenstein della Universal) nel ruolo di sé stesso che introduce la platea a ciò che sta per vedere, rompendo la quarta parete come in un gioco meta-cinematografico che tornerà anche nel finale.

Nel primo episodio, Il telefono, l’avvenente Rosy (Michele Mercier) è sola nel suo raffinato domicilio, quando improvvisamente squilla il telefono: dall’altro capo della linea la voce di Frank, ex fidanzato della donna appena evaso di prigione, minaccia di ucciderla prima del sorgere del sole.

In I Wurdalak, l’aristocratico russo Vladimir (Mark Damon) giunge in un villaggio in cui i locali attendono il ritorno dell’anziano Gorca (Karloff), partito da cinque giorni a caccia di un wurdalak, un vampiro turco. L’uomo ritorna nel cuore della notte, instillando negli affetti il dubbio che possa esser lui stesso diventato un vampiro.

La goccia d’acqua è il terzo e ultimo episodio, una storia di zombie in cui la protagonista Helen (Jacqueline Pierreux) verrà travolta da un turbinio di morte e terrore dopo aver rubato un anello a una medium deceduta durante una seduta con gli spiriti dei morti.

Boris Karloff in I tre volti della paura
Una scena di I tre volti della paura

RECENSIONE DI I TRE VOLTI DELLA PAURA

Cult intramontabile dell’horror nostrano al punto da influenzare i registi più vari sia a livello nazionale (Lucio Fulci e Dario Argento) che internazionale (John Carpenter, Ridley Scott e Quentin Tarantino), I tre volti della paura è il frutto più maturo e sofisticato della carriera di Mario Bava, un genio che ha contribuito a definire generi preesistenti e persino a inventarne di nuovi (lo slasher, per esempio, nasce con Reazione a catena).

Il titolo si riferisce ai tre episodi autoconclusivi che compongono la struttura narrativa del lungometraggio, il quale mette in scena tre modalità differenti di intendere l’orrore attingendo da racconti classici di Maupassant, Tolstoj e Cechov.

Visto al giorno d’oggi, I tre volti della paura potrebbe far discutere per l’estrema artigianalità degli effetti speciali, ma la capacità di Bava di riuscire a tirare fuori grande arte cinematografica dalla povertà di mezzi ha permesso di conferire al progetto un’atmosfera spesso imitata ma mai eguagliata, con un accostamento di cromie dal sapore onirico degno del miglior David Lynch.

I tre episodi, uno più bello dell’altro, si susseguono in un crescendo di tensione hitchcockiana e inquietudine forse non proprio originale nelle dinamiche ma di sicuro impatto. L’appartamento di Rosie, la casupola della famiglia di Gorca o la camera ardente della medium sono dei piccoli capolavori di décor che ben fanno da sfondo alle trame, dimostrando la maestria di Bava nel saper inquadrare ambienti ristretti e pochi personaggi in modo sempre intrigante, che inchioda alla poltrona.

Mosche, nebbia, acqua gocciolante e alberi spogli si amalgamano compatte in un immaginario gotico suggestivo oltre ogni misura, annullando persino quella sgradevole sensazione di vuota disomogeneità che è piuttosto tipica dei film antologici. E poi c’è il finale, con Karloff a cavallo e in costume di scena pronto a lanciarsi in una delle più geniali, ironiche e toccanti celebrazioni alla Settima Arte mai ammirate in un film. Una sequenza che da sola basta a conferire a I tre volti della paura quel titolo di capolavoro che merita.

Un film tanto bello da dare il nome persino a una band rock.

NOTE POSITIVE

  • Regia
  • Sceneggiatura
  • Scenografia
  • Recitazione

NOTE NEGATIVE

  • Nessuno di rilevante
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