Black Dog (2024). Incontro tra anime randage 

Recensione, trama e cast del film Black Dog (2024), un viaggio emotivo tra solitudine, emarginazione e speranza.

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Black Dog (2024) – Regia di Guan Hu – © The Seven Art Pictures – Con Eddie Peng – Immagine concessa per uso editoriale.
Black Dog (2024) – Regia di Guan Hu – © The Seven Art Pictures – Con Eddie Peng – Immagine concessa per uso editoriale.

Black Dog

Titolo originale: 黑狗 (Hēi gǒu)

Anno: 2024

Nazione: Cina

Genere: Drammatico

Casa di produzione: Huanxi Media

Distribuzione italiana: Movies Inspired

Durata: 110 minuti

Regia: Guan Hu

Sceneggiatura: Guan Hu, Ge Rui, Wu Bing

Fotografia: Gao Weizhe

Montaggio: Matthieu Laclau, He Yongyi

Musiche: Breton Vivian

Attori: Eddie Peng (Lang), Tong Liya (Uva), Jia Zhangke (Zio Yao), Zhang Yi (Manager Zhang), Zhou You (Nie), Xin (Il cane nero)

Trailer di “Black Dog”

Informazioni sul film e dove vederlo in streaming

Presentato il 19 maggio 2024 alla 77ª edizione del Festival di Cannes, nella sezione Un Certain Regard, “Black Dog” si è aggiudicato il premio come miglior film della sezione. Diretto da Guan Hu, cineasta considerato tra i pionieri della sesta generazione di registi cinesi, il film si inserisce nella sua consolidata esplorazione del dramma.

Con “Cow” (2009), Guan Hu ha ottenuto il premio per la miglior sceneggiatura non originale alla 46ª edizione dei Golden Horse Film Awards, mentre “Mr. Six” (2015) è stato presentato come film di chiusura alla Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia, riscuotendo un grande successo di pubblico e un ottimo risultato al botteghino nei cinema cinesi.

“Black Dog”, tredicesimo film del cineasta, è stato distribuito nelle sale cinesi il 15 giugno 2025, ottenendo un notevole successo economico, con un incasso di 2,4 milioni di dollari nei primi due giorni di programmazione. In Italia, invece, la pellicola è distribuita da Movies Inspired, a partire dal 27 febbraio 2025.

Trama di “Black Dog”

Cina, 2008. Dopo aver scontato dieci anni di prigione per l’omicidio del figlio di un gangster—che ancora pretende vendetta—Lang Yonghui, ex pilota motociclistico acrobatico, torna nella sua città natale, una località di provincia ai margini del deserto del Gobi, nel nord-ovest del Paese.

Il luogo che lo accoglie, però, è ben lontano da quello che ricordava. La città che un tempo conosceva è ormai in rovina, segnata da decadenza, povertà e abbandono. Le strade sono dissestate, gli edifici fatiscenti, e il paesaggio urbano sembra aver ceduto al degrado. Tra le rovine, un numero crescente di cani randagi vaga indisturbato, alla ricerca di cibo. È come se la natura, lentamente, si fosse ripresa il suo spazio, trasformando la città in un territorio che non appartiene più all’uomo. I cani randagi hanno preso il sopravvento, comandando intere vie della cittadina cinese, diventando i veri padroni di un luogo che sembra aver dimenticato la presenza umana.

Tutto ciò è il risultato di un profondo declino economico che sta attraversando il paese. La deindustrializzazione della zona ha spinto molti cittadini ad abbandonare definitivamente la loro terra natia, nella speranza di trovare fortuna altrove, lasciando così la regione in uno stato di estremo abbandono. Alcuni, però, hanno scelto di rimanere, affrontando una realtà sempre più difficile. Tra loro c’è il padre di Lang Yonghui, un tempo proprietario di un piccolo zoo locale, ormai dimenticato sia dal turismo che dagli stessi abitanti della città. La solitudine e il fallimento lo hanno spinto a rifugiarsi nell’alcol, consumando lentamente il proprio presente.

Alla ricerca di un nuovo inizio, Lang trova impiego come accalappiacani, incaricato di ripulire le strade dai randagi in vista delle Olimpiadi di Pechino. Taciturno e solitario, affronta la nuova realtà con distacco, finché non si imbatte in un cane ribelle e sfuggente: un whippet nero con cui, contro ogni aspettativa, sviluppa un legame profondo, nonostante le iniziali difficoltà. Due anime alla deriva—un uomo e un animale, entrambi segnati dall’abbandono—intraprendono un viaggio inatteso attraverso una terra arida e spietata, in cerca di redenzione, libertà e un posto nel mondo.

Recensione di “Black Dog”

Eddie Peng offre una prova attoriale sublime, magnetica e sorprendente nel dare vita al solitario e silenzioso Lang Yonghui, un personaggio estremamente complesso da rappresentare sul grande schermo. Il protagonista si esprime essenzialmente attraverso la fisicità e l’espressione, avendo nel corso della drammaturgia rarissimi momenti di dialogo. La sua voce è udibile solo in qualche breve istante della pellicola, tra frasi essenziali e monosillabi, accentuando la natura taciturna del personaggio.

Un’interpretazione di questo tipo è particolarmente sfidante, poiché per rendere credibile un carattere narrativo così sfuggente e introspettivo era necessario che l’attore riuscisse a immedesimarsi profondamente nel ruolo. Eddie Peng, nome ancora poco conosciuto nel panorama cinematografico europeo e italiano, affronta la sfida con estrema bravura, offrendo un’interpretazione asciutta, essenziale e dal forte impatto fisico. La sua presenza scenica conferisce tridimensionalità e introspezione al personaggio, dando vita a una performance intensa e autentica, caratterizzata da un profondo realismo.

Questo realismo trova ulteriore forza nel linguaggio registico adottato dalla pellicola: una regia che gioca di sottrazione e che evita qualsiasi forma di spettacolarizzazione degli eventi, puntando invece a catturare l’essenza più pura e intima delle emozioni. L’attenzione si concentra sulle sfumature più sottili e impercettibili, quelle quotidiane e reali, trasmesse attraverso una messa in scena che valorizza i piccoli gesti, le espressioni fugaci sui volti dei personaggi e le situazioni apparentemente comuni. L’intento non è quello di enfatizzare l’artificio filmico, ma piuttosto di ricercare e ricostruire la verità del momento, della vita del solitario Lang Yonghui e della sua comunità paesana.

Tutto ciò conferisce alla pellicola un sapore di nouvelle vague, non solo per la sua costruzione visiva, ma soprattutto per lo sviluppo della sceneggiatura. Il film si articola attraverso una serie di vicissitudini quotidiane all’interno di una comunità cinese che, intrecciate tra loro, compongono il quadro sensoriale dell’opera. “Black Dog” non si struttura su una drammaturgia spettacolare, ma si concentra sull’essenza umana e spirituale, costruendo un racconto intimo, profondo e toccante.

Seguiamo il percorso di formazione di Lang Yonghui, un uomo appena uscito dal carcere che stringe un legame inatteso con un cane, mentre ricerca incessantemente la propria dimensione interiore e la sua libertà come essere umano. Allo stesso tempo però “Black Dog” è, in fondo, una storia minimalista e introspettiva, che si innesta su una trama secondaria fortemente presente nel corso del film: il tessuto socio-economico di un piccolo villaggio rurale cinese nei mesi che precedono le Olimpiadi di Pechino del 2008.

Da un lato percepiamo la Cina opulenta delle Olimpiadi, dall’altro il regista ci mostra l’abbandono politico, sociale ed economico che grava sui piccoli centri rurali. Villaggi dimenticati dal sistema, immersi nel nulla, destinati a scomparire perché privati di prospettive lavorative e di ogni forma di assistenza statale. Il paesino ai margini del deserto del Gobi, con la sua terra arida e sabbiosa, diventa così un potente simbolo della condizione sociale cinese: un paese che ha lasciato indietro gli ultimi, i poveri e i cittadini delle zone periferiche, condannandoli a sopravvivere nell’abbandono.

Black Dog esprime innanzitutto un punto di vista autoriale. È un film nato dalla mia osservazione diretta dei profondi cambiamenti che hanno attraversato la Cina nell’ultimo ventennio e delle loro ripercussioni sulla vita della gente comune. Vivendo in Cina, ho potuto assistere in prima persona al suo sviluppo, ma sono sempre stato incuriosito dalla realtà di coloro che vivono al di fuori delle grandi città o nelle zone più remote del Paese. Era inevitabile che questo processo si fosse lasciato alle spalle degli emarginati. Mi interessava capire cosa motivasse questi dimenticati a resistere e cosa li aiutasse a sopravvivere. l film si concentra sulla vita di un gruppo di abitanti di un villaggio che affronta dei profondi cambiamenti sociali. Durante la sua realizzazione, ho sentito l’esigenza di andare oltre la semplice creazione artistica per cogliere l’essenza della vita di queste persone. Ho optato dunque per una messa in scena più semplice ed essenziale possibile.

Dichiarazione del regista

Il tema dell’abbandono emerge con forza nell’impostazione sociale della pellicola, amplificato dalla fotografia e dalla scenografia, che trasmettono un profondo senso di desolazione e distruzione. Dai paesaggi desertici alle strade vuote, dai numerosi cani randagi agli edifici fatiscenti, tutto contribuisce a dipingere un ambiente segnato dal degrado. Questa condizione di abbandono è centrale anche nella costruzione dei due protagonisti: l’ex carcerato e il cane che incontra. Entrambi sono anime sole, individui randagi, affini sotto molti punti di vista. Come il cane, che vive nella più totale solitudine e diffida degli esseri umani, anche Lang Yonghui è un uomo dal comportamento animalesco, ma dal cuore buono. Vive isolato, incapace di creare un legame autentico con le persone che lo circondano.

Lang è un emarginato, un individuo che la società non comprende né accetta per ciò che è. Solo il mondo circense, approdato su questa terra dimenticata, riesce a vedere oltre la sua solitudine. In particolare, Uva, interpretata da Tong Liya, riesce a cogliere l’animo di Lang, un uomo per cui l’unico vero compagno di vita è il proprio cane.

Lang e il cane sono due anime sole, emarginate, che decidono di sostenersi a vicenda. Esiste un’antica leggenda cinese che narra la storia del dio Erlang Shen* ed è proprio a lui che ho fatto riferimento scegliendo il nome Lang per il mio protagonista. Erlang è spesso rappresentato con un cane al suo fianco, snello ed elegante, che lo accompagna nei suoi viaggi celesti, alleviando la sua solitudine. (*Divinità della mitologia cinese, raffigurata con un terzo occhio sulla fronte. Una leggenda gli attribuisce la vittoria su una grande inondazione, legandolo così al ruolo di protettore dalle calamità naturali.

Dichiarazione del regista

Se a livello visivo e recitativo “Black Dog” funziona molto bene—soprattutto nelle scene d’interazione tra il protagonista e il cane, momenti di estrema empatia emotiva—il ritmo della pellicola risulta efficace solo a tratti. Il problema non è il montaggio, che evita tagli frenetici in favore di una narrazione più contemplativa, ma piuttosto la struttura della sceneggiatura, che non sempre riesce a definire in modo convincente tutti i personaggi.

Se il protagonista emerge con grande profondità e potenza scenica, grazie all’abilissima interpretazione di Eddie Peng, che riesce a sostenere l’intero film sulle proprie spalle, lo stesso non si può dire dei personaggi secondari, in particolare dei cosiddetti “cattivi”. Questi ultimi appaiono scritti con eccessiva superficialità, risultando più funzionali alla costruzione drammatica che non a una reale evoluzione narrativa.

Anche il personaggio femminile di Uva, pur leggermente più approfondito rispetto agli altri, avrebbe potuto godere di uno spazio maggiore all’interno della pellicola, evitando la sua marginalizzazione nel corso della vicenda. Indubbiamente, una maggiore attenzione alla scrittura dei personaggi avrebbe conferito alla pellicola ulteriore forza e incisività.

In conclusione

“Black Dog” risulta un’opera godibile e intensa, una visione meritevole che, pur essendo più riflessiva e intimistica che spettacolare, trova il suo valore proprio nella sua autenticità realistica. Un film pensato per un pubblico di cinefili, più che per chi cerca il fascino dei blockbuster.

Note positive

  • Interpretazione magnetica e intensa di Eddie Peng
  • Regia minimale ed evocativa, che enfatizza l’isolamento del protagonista
  • Fotografia suggestiva che amplifica il senso di desolazione sociale

Note negative

  • Personaggi secondari poco sviluppati rispetto al protagonista
  • Alcuni momenti narrativi risultano meno incisivi
  • Ritmo contemplativo che potrebbe non coinvolgere tutti gli spettatori

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Review Overview
Regia
Fotografia
Sceneggiatura
Colonna sonora e sonoro
Interpretazione
Emozione
SUMMARY
4.2
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Stefano Del Giudice
Stefano Del Giudice

Laureatosi alla triennale di Scienze umanistiche per la comunicazione e formatosi presso un accademia di Filmmaker a Roma, nel 2014 ha fondato la community di cinema L'occhio del cineasta per poter discutere in uno spazio fertile come il web sull'arte che ha sempre amato: la settima arte.