Black Mirror: Gente Comune (2025). Il consumismo sull’individuo

Recensione, trama e cast di Black Mirror: Gente Comune (2025), primo episodio della settima stagione di Black Mirror, disponibile dal 10 aprile 2025 su Netflix

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Trailer di “Black Mirror: Gente Comune”

Informazioni sul film e dove vederlo in streaming

Primo episodio della settima stagione di Black Mirror, la serie fantascientifica dai toni drammatici targata Netflix, Gente Comune (2025), della durata di cinquantasei minuti, segna il ritorno alla regia della cineasta e sceneggiatrice Ally Pankiw, che nella sesta stagione aveva diretto l’episodio Joan è terribile, con Annie Murphy e Salma Hayek nei panni della protagonista e della sua versione fittizia.

L’episodio, dai marcati toni drammatici, è sceneggiato da Charlie Brooker, creatore dello show, insieme a Bisha K. Ali – duo già collaudato nella scrittura del quinto episodio della sesta stagione, “Demone 79”. A vestire i panni dei protagonisti troviamo Rashida Jones, candidata come miglior attrice in un film commedia o musicale ai Satellite Award 2021 per On the Rocks di Sofia Coppola, e l’attore comico irlandese Chris O’Dowd, noto per il ruolo di Roy Trenneman nella sitcom britannica The IT Crowd.

Gente Comune è distribuito da Netflix, insieme agli altri cinque episodi della settima stagione di Black Mirror – “Bestia nera”, “Hotel Reverie“, “Come un giocattolo”, “Elogio” e “USS Callister: Infinito” – a partire dal 10 aprile 2025.

Trama di “Black Mirror: Gente Comune”

In un futuro in cui le api sono ormai estinte e rimpiazzate da minuscoli robot-impollinatori, Amanda e Mike sono sposati da tre anni e vivono un’esistenza modesta ma serena. Si accontentano delle piccole cose, abbracciando la normalità della loro quotidianità, pur tra difficoltà economiche e la mancanza di comfort. L’unico vuoto reale che sentono è l’assenza di un figlio: lo desiderano profondamente, ma ogni tentativo si rivela vano.

La loro fragile serenità si spezza all’improvviso quando Amanda, mentre insegna a scuola, sviene a causa di un violento mal di testa. Ricoverata d’urgenza, la diagnosi è devastante: un tumore al cervello in fase avanzata, senza possibilità di cura — a meno che non si ricorra a un trattamento sperimentale chiamato Rivermind.

Si tratta di una tecnologia all’avanguardia in grado di rimuovere la massa tumorale e, contemporaneamente, salvare la coscienza di Amanda attraverso un sistema di backup cerebrale. Per Mike, l’alternativa è impensabile. Pur di non perdere la moglie, accetta la procedura, consapevole che da quel momento in poi dovranno pagare 300 euro al mese per garantire il mantenimento della tecnologia nel cervello di Amanda, unica condizione per tenerla in vita.

Ciò che nessuno dei due immagina è che questa scelta apparentemente salvifica li condurrà dentro un incubo.

Chris O'Dowd e Rashida Jones in Black Mirror Gente comune (foto di Robert Falconer © Netflix)
Chris O’Dowd e Rashida Jones in Black Mirror Gente comune (foto di Robert Falconer © Netflix)

Recensione di “Black Mirror: Gente Comune”

Con Gente Comune, Bisha K. Ali e Charlie Brooker mettono in scena una riflessione acuta e tragica sul concetto di abbonamento ai servizi online — una realtà ormai onnipresente nelle nostre vite. Si tratta di sottoscrizioni che ci legano, mese dopo mese o anno dopo anno, a piattaforme di cui percepiamo la necessità, anche quando i costi aumentano, dove queste società cambiano le condizioni continuamente, proponendo sempre nuovi pacchetti “plus” a pagamento, che vanno a togliere funzionalità essenziali ai pacchetti basi, costringendo quasi l’utente a pagare un sopraprezzo per continuare a usare il medesimo servizio.

Questa logica di mercato — che induce le persone a sborsare somme sempre maggiori pur di evitare fastidiose interruzioni pubblicitarie o di accedere a funzionalità aggiuntive — viene portata all’estremo in Gente Comune. L’episodio ci offre uno sguardo originale e spaventosamente plausibile sulla nostra crescente dipendenza dai servizi in abbonamento, spingendo la riflessione verso territori cupi, dove il prezzo da pagare non è più solo economico, ma riguarda direttamente la vita, la salute e la libertà dell’individuo.

È questo il caso di Amanda, una donna che ama le piccole cose della vita, la semplicità della normalità, i riti che si ripetono anno dopo anno: come festeggiare l’anniversario di nozze in una vecchia bettola fuori città, dove una coppia anziana canta le canzoni di Elvis Presley. Amanda è legata a un mondo che scompare, fatto di oggetti che invecchiano e abitudini che rassicurano. Ma tutto questo viene spazzato via da una malattia improvvisa, da un tumore che la costringe ad affidare la sua sopravvivenza a Rivermind, un sistema tecnologico che asporta la massa tumorale e trasferisce la sua coscienza all’interno di una rete di server.

Da quel momento Amanda non è più padrona della propria vita: diventa prigioniera — ed è il termine giusto — di un abbonamento online. Un servizio che non è solo necessario per il comfort, ma per la sua stessa esistenza. Senza quel pagamento mensile, Amanda cesserebbe di essere. La sua coscienza, ormai digitalizzata, non risiede più nel corpo, ma in una nuvola tecnologica da cui dipende completamente. E come tutti i servizi in abbonamento, anche questo è soggetto a cambiamenti improvvisi: aumenti di prezzo, piani extra, limitazioni nuove, regole che si riscrivono senza preavviso.

Amanda diventa così una merce. Non una cliente, non una paziente, ma il prodotto stesso su cui Rivermind intende guadagnare. La sua coscienza è l’oggetto della transazione. E come accade con le piattaforme streaming — Netflix, Prime Video, Spotify — anche Rivermind può decidere quando inserire pubblicità, modificare l’esperienza utente, ridefinire i confini tra gratuità e pagamento. Ma qui non si tratta più di uno spot prima di un film o tra una canzone e l’altra. Qui si tratta di esseri umani che iniziano, senza rendersene conto, a emettere slogan pubblicitari con la propria voce, con i propri gesti, senza alcun controllo, senza alcun consenso, perdendo dunque la propria autonomia, diventando prodotti di consumo e di sfruttamento economico da parte dell’azienda.

Gente Comune è il racconto disturbante della mercificazione del corpo e dell’anima. È la parabola estrema di un sistema che rende impossibile vivere per chi non può permettersi di pagare. Un futuro in cui, per le persone comuni, per chi guadagna poco o nulla, la morte diventa una soluzione più sostenibile della vita stessa.

Tutto per amore

L’episodio “Gente comune”, per il modo in cui la tematica è trattata, dai toni umani, si impone come uno dei più cupi e umanamente devastanti dell’intera settima stagione, a mio modesto parere. Diretto con precisione chirurgica e recitato con un’intensità rara, trova il suo cuore pulsante nella straordinaria performance di Chris O’Dowd, qui in una delle sue interpretazioni più profonde e tormentate, una interpretazione che si allontana da quella verve comica che lo ha spesso caratterizzato nei suoi ruoli precedenti. In questo mediometraggio l’attore interpreta il protagonista, Mike, colui che incarna la fragilità umana di fronte a un mondo tecnologico che chiede sempre di più, anche a chi ha ormai esaurito tutto.

L’episodio si muove su un registro profondamente intimo e straziante, lontano dal mondo ultra tecnologico, raccontando un amore disperato, quello di un uomo pronto a sacrificare sé stesso pur di garantire alla moglie Amanda ciò di cui ha bisogno – o meglio, ciò che crede possa renderla felice. Nel cuore di questa narrazione, c’è un futuro distorto, in cui la tecnologia diventa ancora una volta il catalizzatore di disuguaglianze, in cui non è l’accesso alla rete o alle informazioni a fare la differenza, ma i soldi. Soldi per Rivermind, una piattaforma terapeutica che promette sollievo e felicità e salvezza dalla morte, ma che diventa il simbolo più feroce di esclusione sociale e di disperazione per chi non può permettersela.

Mike affronta un viaggio autodistruttivo, una spirale psicologica che lo consuma lentamente, mentre cerca disperatamente di tenere in piedi la propria famiglia. È l’archetipo dell’“uomo comune” che cede sotto il peso della pressione sociale, dell’impotenza economica, della paura di perdere l’amore. La sua caduta non è spettacolare, ma silenziosa, straziante, inevitabile. Ed è proprio questa sobrietà che rende tutto ancora più agghiacciante. “Gente comune” non racconta solo un futuro distopico. Racconta il presente, parla del senso di inadeguatezza, delle disparità economiche, del ricatto emotivo che spesso si annida nell’amore più sincero. Ma soprattutto, ci costringe a chiederci: fino a che punto si può arrivare, in nome dell’amore?

In conclusione

“Gente comune” è un mediometraggio che lascia un segno profondo, mescolando umanità, dramma e critica sociale. È uno specchio per il nostro presente e una visione inquietante del futuro. La narrazione intima e straordinaria rende questo episodio memorabile, con interpretazioni di spessore che amplificano la sua potenza emotiva.

Note positive

  • Performance straordinaria di Chris O’Dowd.
  • Trattamento tematico originale e pertinente.
  • Regia precisa e narrativamente forte.
  • Critica sociale che riflette il presente e il futuro.

Note negative

  • Alcuni momenti narrativi appaiono prevedibili.

Review Overview
Regia
Fotografia
Sceneggiatura
Colonna sonora e sonoro
Interpretazione
Emozioni
SUMMARY
3.9
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Stefano Del Giudice
Stefano Del Giudice

Laureatosi alla triennale di Scienze umanistiche per la comunicazione e formatosi presso un accademia di Filmmaker a Roma, nel 2014 ha fondato la community di cinema L'occhio del cineasta per poter discutere in uno spazio fertile come il web sull'arte che ha sempre amato: la settima arte.