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The Creator

Titolo originale: The Creator

Anno: 2023

Nazione: Stati Uniti d’America

Genere: azione, fantascienza, thriller, drammatico

Casa di produzione: 20th Century Studios, New Regency Production

Distribuzione italiana: Walt Disney Studios Motion Pictures

Durata: 133 min

Regia: Gareth Edwards

Sceneggiatura: Gareth Edwards, Chris Weitz

Fotografia: Greig Fraser, Oren Soffer

Montaggio: Hank Corwin, Scott Morris, Joe Walker

Musiche: Hans Zimmer

Attori: John David Washington, Madeleine Yuna Voyles, Gemma Chan, Allison Janney, Ralph Ineson, Marc Menchaca, Ken Watanabe, Sturgill Simpson, Michael Esper, Veronica Ngo.

Trailer di The Creator

Informazioni sul film e dove vederlo in streaming

The Creator, di 20th Century Studios, New Regency edEntertainment One, è un epico thriller d’azione fantascientifico ambientato in una guerra futura tra gli esseri umani e le forze dell’intelligenza artificiale. Diretto da Gareth Edwards, il film è interpretato da John David Washington, Gemma Chan, Ken Watanabe, Sturgill Simpson, Madeleine Yuna Voyles e Allison Janney. La sceneggiatura è di Gareth Edwards e Chris Weitz, da un soggettodi Gareth Edwards. Il film è prodotto daGareth Edwards, p.g.a., Kiri Hart, Jim Spencer, p.g.a., e Arnon Milchan, mentre Yariv Milchan, Michael Schaefer, Natalie Lehmann, Nick Meyer e Zev Foremansono i produttori esecutivi. La pellicola è disponibile al cinema in Italia dal 28 settembre 2023.

Trama di The Creator

Joshua (Washington), un ex agente delle forze speciali in lutto per la scomparsa della moglie (Chan), viene reclutato per dare la caccia e uccidere il Creatore, l’inafferrabile architetto dell’avanzata AI che ha sviluppato una misteriosa arma con il potere di porre fine alla guerra… e all’umanità stessa. Joshua e la sua squadra di agenti d’élite oltrepassano le linee nemiche nel cuore oscuro del territorio occupato dall’AI solo per scoprire che l’arma apocalittica che è stato incaricato di distruggere è un’AI con le sembianze di una bambina (Voyles).

Madeleine Yuna Voyles in una scena di The Creator
Madeleine Yuna Voyles in una scena di The Creator

Dichiarazioni di Gareth Edwards

Quando ero piccolo, quasi ogni film al cinema era un colossal originale. Non passava mese senza che uscisse un nuovo classico fantascientifico, come se venisse calato dal cielo dagli dei del cinema. Film il cui immaginario e i cui personaggi sarebbero rimasti impressi per decennia seguire, frullando nella testa degli spettatori per il resto della vita.Non ricordo quanti anni avevo quando ho visto per la prima voltaStar Wars, in un certo senso è sempre stato lì. Guardare quel filmè stata un’esperienza semi-religiosa. Per il modo in cui univa la mitologia antica e un lontano futuro tecnologico, ho capito subito cosa avrei voluto fare per il resto della vita… Mi sarei unito all’Alleanza Ribelle e avrei fatto esplodere la Morte Nera. Poi, lentamente, ho cominciato a capire. Queste cose chiamate film non erano reali. L’Alleanza Ribelle non esisteva,tutta questa storia era una grande bugia chiamata “cinema”. Così, dopo tanto sgomento, alla fine ho deciso di passare al piano B: sarei diventato anch’io un bugiardo e avrei fatto dei film. Però aspetta, come si fa a diventare un regista?Sono cresciuto al centro dell’Inghilterra, quindi Hollywood sembrava lontana anni luce. Poi, un giorno, quando avevo circa 12 anni, mio padre tornò a casa e annunciò che saremmo andati tutti in vacanza in Asia e, cosa ancora più elettrizzante, avrebbe comprato una cinepresa per immortalare l’intero viaggio.Era fatta… A quel punto non ce n’era per nessuno. Ho impugnato la cinepresa nell’istante esatto in cui è arrivata, filmando ogni secondo del nostro viaggio nelle megalopoli di Hong Kong, Bangkok, sulle spiagge tropicali e nelle giungle della Thailandia. Ha avuto un impatto enorme su di me, non avevo mai provato niente di simile prima. Non capivo nulla della cultura, dei cartelli, delle pubblicità, mi sentivo completamente tagliato fuori, e mi piaceva.A 18 anni, avevo già accumulato una collezione di cortometraggi in VHS che mi spianò la strada verso la scuola di cinema. Mi sono ritrovato a dividere l’appartamento con uno studente di cinema che stava studiando questa cosa nuovissima chiamata “animazione computerizzata”. Era il 1993 e vedere cosa riusciva a fare con il computer di casa mi ha lasciato a bocca aperta. Era chiaro che quello strumento avrebbe democratizzato il cinema, o almeno così pensavo. Se non fosse arrivatala chiamata di Hollywood non importava, nulla avrebbe impedito a chiunque di realizzare unepico film fantascientifico dalla propria camera.La chiamata di Hollywood non è mai arrivata. Non riuscivo a trovare un lavoro come regista, così mi sono indebitato e ho comprato un computer. Avendo passatofin troppo tempo a studiare gli effetti speciali, mi venivano offerti molti più lavori di grafica computerizzata che legati alla regia. Alla BBC mi sono guadagnato la fama del“ragazzo che fa gli effetti speciali dalla propriacamera”. Ma cercavo sempre di corrompere i produttori con cui lavoravo, dicendo: “Se mi mettete alla regia di un vostro show televisivo, farò tutti gli effetti gratis”.Ogni anno che passava, continuavo a trovare scuse per non lasciare il mio lavoro. Finché non ho raggiunto un puntodi svolta in cui la paura di fallire era inferiore alla paura di non provarci mai. Ho bussato alla porta di una società cinematografica a basso budget, ho mostrato loro il mio showreel degli effetti speciali e i miei cortometraggi, e in qualche modo li hoconvinti che il settoreera a un punto di svolta, che adesso si poteva fare un film super scenografico senza molti soldi, e per qualche motivo mi hanno creduto… Tre mesi dopo ero in America Centrale a girare il mio primo lungometraggio, Monsters.Avevamo poco budget, ma non importava. Era un film di fantascienza, e meno controllo avevamo, più sembrava reale. Viaggiavamo per tutto il Centro America e ogni volta che vedevamo una location interessante schizzavamo fuori e giravamo una scena: è stato tutto incredibilmente naturale ed efficiente. Abbiamo filmato persone vere insieme adue soli attori, e utto ciò che normalmente sarebbe stato consideratoun freno è diventato la nostra forza. Non si direbbe, ma ci sono molti vantaggi nel fare un film senzasoldi.L’unico problema era che dovevo fare da solo tutte le 250 riprese con effetti visivi dalla mia camera. Utilizzando tutti i nuovi software che promettevano di democratizzare il cinema, mi sentivo come se stessi gareggiando con centinaia di altri registi nelle loro camere in tutto il mondo per essere il primo a farlo. Dopo vari rifiuti, alla fine il film è approdato al SXSW, dove per caso è stato visto da un agente di Hollywood che si è offerto di rappresentarmi. Ero incredulo, ma a quel punto stranamente non mi sembrava più così importante… l’impressione era che fosse in arrivo una rivoluzione digitale, che chiunque potesse fare film, chi aveva bisogno di Hollywood? Finché il mio nuovo agente non mi ha chiamato chiedendomi: “Sei un fan di Godzilla?”.Poter girare uno dei film più importanti dell’estate è stato come essere teletrasportati direttamente alla finale del Super Bowl. È stato tanto stressante quanto esaltante. Ma ben presto ho capito che tutto ciò che era facile in un film senza budget, era improvvisamente difficile, se non impossibile, in un film con budget. E tutto ciò che era difficile, come creare 250 inquadrature con effetti speciali, è diventato improvvisamente facile. Non ero sicuro di come mi sentissi riguardo a questo scambio. Ero certo che esistesse un equilibrio perfetto per trarre il meglio daentrambi i mondi. Avevo deciso di allontanarmi dai grandi franchise cinematograficie di provare ad applicare ciò che avevo imparato a film più piccoli e ambiziosi, senza la pressione di una fanbase gigantesca che scrutava ogni mia mossa. A quel punto il mio agente mi ha chiamato di nuovo: “Ti piace Star Wars?”.Era un sogno che si avverava. La possibilità di mettermi in gioco nell’universo che mi aveva ispirato a diventare regista. In qualche modo, sembrava che “la forza” avesse tramato perché accadesse. Eppure, per tutto il tempo in cui abbiamo lavorato a Rogue Oneabbiamo cercato di spingere, di tornare alle nostre radici e di fare le cose in modo diverso. Greig Fraser e Industrial Light & Magic erano pronti a spingersi oltre i limiti. Per esempio usando schermi LED giganti anziché green screen per filmare fuori dalle finestre della navicella. Girando in luoghi reali ed elaborando le scene al computer in un secondo momento. Mi sembrava che tutto ciò che avevo fatto mi avesse portato a quel film. Ma quando finalmente hai la possibilità di unirti all’Alleanza Ribelle e far esplodere la Morte Nera, dopo cosa fai? Cosa può esserci di meglio?Terminata la lavorazione di un film, il cervello può finalmente liberarsi di due anni di idee e immagini, in un batter d’occhio, come se si formattasse un hard disk. Ci si ritrova improvvisamente con questa enorme tela bianca nella mente, completamente aperta a nuove idee e trame; è uno dei momenti che preferisco nella vita, quando ti senti come una spugna e tutto è possibile.Terminato Rogue One, avevo bisogno di una pausa. Sono partito per un lungo viaggio in macchina con la mia ragazza, per raggiungere i suoi genitori in Iowa. Mentre attraversavamo il Midwest, guardavo scorrere i campi sterminati ascoltando le colonne sonore dei film. Poi all’improvviso, in mezzo all’erba alta, èspuntata questa strana fabbrica. Ricordo che aveva un logo giapponese. Ho iniziato a chiedermi cosa costruissero lì dentro. Beh, era un’azienda giapponese e io sono un appassionato di fantascienza, quindi la mia mente è subito volata ai robot.Doveva trattarsi di robot, giusto?Immaginate di essere un robot costruito in quella fabbrica e di non aver mai conosciuto altro; poi un giorno qualcosa è andato storto e vi siete ritrovati per la prima volta fuori, in questo campo, a vedere il mondo, il cielo: cosa pensereste?Sembrava l’inizio di un film. L’ho trovato affascinante e quando siamo arrivati dai genitori della mia ragazza avevo già in mente l’intero film. È molto raro che succeda. L’ho preso come un buon segno e ho pensato che forse sarebbe stato il mioprossimo film.Ma odio scrivere le sceneggiature. È come avere i compiti peggiori del mondo. L’unico modo per convincermi a farlo è chiudermi in un bell’albergo e impormi di non uscire finché la sceneggiatura non è finita. Stavo facendo esattamente questo, in un resort in Thailandia, quando un mio amico regista (Jordan Vogt-Roberts, che aveva diretto Kong: Skull Island) mi ha invitato a raggiungerlo in Vietnam. Abbiamo trascorso una settimana in giro per il Paese ed essendo in uno stato d’animo creativo, con l’idea di una sceneggiatura in testa, la mia immaginazione è andata a briglia sciolta per tutto il tempo. Ho iniziato a immaginare imponenti strutture futuristiche che spuntavano dalle risaie, o a pensare alle affascinanti domande spirituali che sarebbero scaturite da un monaco buddista che in realtà era un’IA. Mi sembrava avvincente e mi entusiasmava l’idea di qualcosa di simile a Blade Runner, ma ambientato nel Vietnam che stavo vedendo. Se non avessi fatto subito quel film, qualcun altro mi avrebbebattuto sul tempo… Dovevo farlo! Credo davvero che il modo in cui realizzi un film sia importante quanto l’idea stessa. Per me era importante affrontare questo film in modo completamente diverso, altrimenti tanto valeva non farlo. Ma in questo momento storico convincere una grande casa di produzione a realizzare un’epopea sci-fi originale è molto difficile, se non impossibile. Era chiaro che l’unica vera speranza era quella di realizzarlo con molti meno soldi. Era giunto il momento di trovare il sacro Graal della cinematografia, dove ottenere tutti i vantaggi della cinematografia con e senza budget. Ho contattato il produttore di Monsterse ho cercato di spiegargli: “Non stiamo facendo un colossal a basso budget, stiamo facendo il film indipendente più ambizioso di sempre!”

Recensione di The Creator

Una pellicola che di sceneggiatura ha poco o niente se non solo la descrizione dei luoghi dove quei piccoli momenti di storia avvengono. Visivamente stupefacente con un estetica pari a quella dell’universo di Blade Runner, il regista Gareth Edwards più che creare una storia incentrata sui personaggi da un importanza superiore alla costruzione di un mondo futuristico alternativo, privando la sceneggiatura di profondità e introspezione dei personaggi. Una sceneggiatura debole e poco impattante, con dialoghi scialbi e stereotipati e colpi di scena costruiti nell’ anticlimax. Il punto di forza della pellicola non è nella sua scrittura ma nella sua capacità di costruire visivamente un mondo nuovo e futuristico, segnato da una storia contemporanea alternativa dove già negli anni ’50 le I.A. (intelligenza artificiale) diventano realtà. Un mondo in continua evoluzione plasmato da un passato simile ma comunque diverso dal nostro reale.

Il Worldbuilding di The Creator
La città di The Creator

Il Worldbuilding di questo film è talmente dettagliato e realizzato con estrema precisione che diventa automaticamente più interessante della storia stessa. Gareth Edwards realizza un luogo nuovo così completo che finisce per mettere in secondo piano i protagonisti, portando lo spettatore a essere più incuriosito dell’universo in cui si svolge la vicenda piuttosto che la vicenda in sé. Non c’è da sorprendersi se in futuro decidessero di realizzare serie o film spin-off legati a The Creator.

Le immagini sono imponenti, ma non dicono nulla se non il semplice fatto di dove ci troviamo, non racconto ma mostrano, quasi considerabile come un ritorno al cinema delle origini: dove l’obiettivo unico era attrarre lo spettatore attraverso la costruzione di scene e/o immagini che potessero scioccare visivamente lo spettatore. Un periodo della storia del cinema dove la narrazione veniva messa da parte per il puro scopo dimostrativo del mezzo cinematografico. The Creator ripropone questo: pura e semplice mostrazione di grandi paesaggi reali mescolati alla CGI.

Il film cade a pennello col periodo che l’umanità sta vivendo. Tra guerre e crisi economiche, nell’ultimo anno si è parlato molto anche di intelligenza artificiale e di come questa, nel giro di poco tempo, sia già parte integrante della società. Ma a differenza della realtà e della maggior parte dei film che trattano lo stesso tema, qui troviamo le A.I. come entità buone e non cattive e spietate con pensieri di genocidio, anzi sono a tutti gli effetti una nuova “specie” di esseri viventi senzienti che combattono per la propria libertà. Le I.A., accusate di aver provocato uno sgancio di una testa nucleare a Los Angeles, vengono bandite e perseguitate dagli Stati Uniti, ed è solo nel continente orientale chiamato Nuova Asia che possono trovare un luogo di momentanea pace ed essere considerate pari all’essere umano.

C’è la volontà dei due sceneggiatori, Gareth Edwards e Chris Weitz, di raccontare tematiche umane come l’oppressione, persecuzione e discriminazione, attraverso quello che nel pensiero comune umano vengono considerati semplicemente oggetti. Robot che con volto umano hanno una coscienza e intelligenza propria. Tutto questo per farci trasmettere attraverso la persecuzione delle I.A. una morale scontata e ormai abusata che non riesce nel suo intento per colpa di una costruzione narrativa che non fa nulla per trasmettere empatia e immedesimazione attraverso le I.A. se non il fatto che sono, difatti, una pigra metafora dell’oppressione. Ci viene mostrata un America sempre sul piede di guerra e armata fino ai denti che attacca a sangue freddo la Nuova Asia con una critica stereotipata e antiquata di una super potenza che combatte una “minaccia” non umana ma creata dalla stessa umanità. Dimostrando quanto l’essere umano è sia artefice e distruttore della sua creazione.

Non solo la sceneggiatura è debole ma anche l’editing non è dei migliori. Con un abuso del montaggio parallelo, il film prova a essere poetico (forse riprendendo un po’ troppo da Arrival di Villeneuve) riuscendo solo a trasmettere un senso di vanità per la tecnica utilizzata, e di fastidio per il continuo utilizzo dello stesso escamotage; accompagnato anche da un sound design che costruisce in modo pigro e ripetitivo la suspense, diventando stancante e portando lo spettatore ad anticipare ciò che può succedere nel corso della storia.

Fotogramma di The Creator
Fotogramma di The Creator

In conclusione

Con un finale molto simile a Rouge One (sempre dello stesso Gareth Edwards) il film è una riproposizione in chiave post-futuristica della crudele guerra del Vietnam. Una guerra ingiusta da parte degli Stati Uniti, dove le vittime innocenti hanno superato quelle dei colpevoli.

Note Positive

  • Fotografia
  • Scenografia
  • VFX e CGI
  • Estetica del film

Note Negative

  • Sceneggiatura
  • Personaggi poco sviluppati
  • Montaggio
  • Sound Design
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