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Il quieto vivere
Titolo originale: Il quieto vivere
Anno: 2025
Nazione: Italia
Genere: documentario
Casa di produzione: Faber Produzioni e Stemal Entertainment, Rai Cinema
Distribuzione italiana: Luce Cinecittà
Durata: 87 minuti
Regia: Gianluca Matarrese
Sceneggiatura: Gianluca Matarrese, Nico Morabito
Montaggio: Jacopo Quadri
Fotografia: Kevin Brunet
Musiche originali: Cantautoma
Attori: Maria Luisa Magno, Immacolata Capalbo, Carmela Magno, Concetta Magno, Filomena Magno, Sergio Biagio Turano, Giorgio Pucci
Trailer di “Il quieto vivere”
Informazioni sul film e dove vederlo in streaming
Nato a Torino nel 1980, Gianluca Matarrese si trasferisce a Parigi nel 2002, dove completa gli studi in cinema e teatro. Dopo una laurea in storia e critica del cinema nordamericano e in scrittura audiovisiva tra l’Università di Torino e Paris 8, prosegue la formazione all’École Internationale de Théâtre Jacques Lecoq, diplomandosi nel 2005.
Nel 2008 debutta in televisione come autore e regista di una serie comedy per i canali OCS, in onda fino al 2012. Da allora lavora come autore, reporter, coordinatore artistico e segment producer in oltre venti programmi televisivi. Nel 2014 vince il Premio Achille Valdata al Torino Film Festival con il cortometraggio Il mio bacio come al cinema. Il suo primo documentario lungo, Fuori Tutto (2019), prodotto da Agat Films & Cie, Rossofuoco Film e France Télévisions, si aggiudica il premio come Miglior Documentario Italiano al Torino Film Festival ed è selezionato per i Nastri d’Argento 2020.
Successivamente dirige per France Télévisions un documentario musicale sulla cantante Barbara Pravi, rappresentante francese all’Eurovision 2020. Nel 2021 presenta La dernière séance alla Settimana Internazionale della Critica di Venezia, dove vince il Queer Lion Award. Nel 2022 Fashion Babylon, co-prodotto da France Télévisions, debutta al CPH:DOX e viene programmato a Hot Docs e in circa venti festival internazionali. Il suo film successivo, Il Posto, è presentato in anteprima a Visions du Réel e selezionato per Hot Docs, DMZ in Corea del Sud, i Nastri d’Argento e il Premio David di Donatello. Nel 2023 presenta L’Expérience Zola come Evento Speciale alle Giornate degli Autori e Les beaux parleurs in concorso al Biografilm.
Nel 2025, Matarrese firma GEN_, unico film italiano selezionato in concorso al Sundance Film Festival. Nello stesso anno presenta alla 82ª Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia il suo nono lungometraggio, Il quieto vivere, documentario Evento Speciale Fuori Concorso alle Giornate degli Autori.Come già in Fuori Tutto, Matarrese porta al centro del racconto la propria famiglia, che lo accompagna anche a Venezia. Protagoniste del film sono le sue cugine Maria Luisa Magno e Imma Capalbo (cognate tra loro), sua madre Carmela Magno, le zie Concetta e Filomena, i cugini Sergio Turano e Giorgio Pucci, e tutti i parenti del Cozzo, piccolo borgo calabrese che diventa teatro di una tragicommedia familiare.
Trama di “Il quieto vivere”
Contrada Viscigliette, Calabria. 70 abitanti, tutti parenti. Da dieci anni una palazzina è teatro di una guerra di famiglia. Non una famiglia qualsiasi, la mia famiglia.
In un borgo calabrese, una palazzina diventa teatro di una guerra familiare che si consuma giorno dopo giorno, alimentata da rancori antichi e da un odio che si trasmette come un’eredità genetica. Ogni nucleo è infelice a modo suo, ma nessuno quanto quello di Luisa Magno: cinquant’anni, spirito indomito, vita precaria, madre amorevole e combattente solitaria. Il suo bersaglio quotidiano è Imma, la cognata: più giovane, più bella, più integrata. Imma incarna tutto ciò che Luisa detesta e invidia, diventando il fulcro di una ossessione che si nutre di confronto e disprezzo.
Imma, dal canto suo, si sente vittima di una persecuzione ingiusta e racconta con dovizia di dettagli le vessazioni subite. Ma Luisa liquida tutto con una sentenza brutale: Imma è una poco di buono. Le due donne si affrontano in un crescendo di tensioni, tra denunce, insulti e provocazioni, mentre tre zie anziane — figure tragicomiche e stanche — tentano disperatamente di ricucire lo strappo. Il loro intervento prende la forma di un processo familiare surreale, sospeso tra rito arcaico, terapia collettiva e danza liberatoria. Luisa e Imma si sfidano in un duello finale dove i confini tra realtà e rappresentazione si dissolvono, lasciando spazio a una verità emotiva più profonda.
Recensione di “Il quieto vivere”
Dove ha inizio la fiction e dove termina il documentario? È questa la domanda che assale lo spettatore al termine della visione filmica. Il quieto vivere, infatti, sembra muoversi lungo due direttrici intrecciate a livello di genere, rendendo complesso — sia per lo spettatore che per il critico — stabilire se si tratti di un’opera costruita drammaturgicamente o di un documentario puro. In quest’ultimo caso, il cineasta si sarebbe limitato a raccontare la verità che gli si è presentata davanti agli occhi, senza abbellimenti, senza modifiche, senza scrittura scenica: semplicemente riprendendo i personaggi nella loro quotidianità, lasciandoli liberi di muoversi nello spazio scenico come preferivano.
Stando alle parole del regista, le uniche sequenze costruite sono l’incipit e l’epilogo — le cornici del lungometraggio — mentre il resto dovrebbe essere realtà pura, colta e messa in scena. Se così fosse, sorprende l’incredibile naturalezza dei membri di questa famiglia, in particolare delle due donne che si odiano profondamente. Si muovono nello spazio scenico senza vergogna, senza timore del giudizio, senza alcuna paura della telecamera. Agiscono come se la macchina da presa — sempre a mano — non fosse presente, come se ciò che raccontano non fosse destinato a confluire in un lungometraggio incentrato sulle loro vite.
Gianluca Matarrese ha così dichiarato riguardo al suo lavoro nella messa in scena del film:
”Il Quieto Vivere” nasce da una storia vera, vissuta tra le mura della mia famiglia – racconta Matarrese . In un borgo calabrese dove il rancore è quotidiano e il conflitto è sacro, racconto la guerra domestica tra due cognate, Luisa e Imma. Attraverso un linguaggio che fonde documentario, finzione e teatro, metto in scena un universo chiuso e iper – reale, dove ogni lite è una performance e ogni pranzo un campo di battaglia. Abbiamo costruito, con discrezione, un dispositivo finzionale intorno a una realtà già esistente. Siamo intervenuti in punta di piedi, creando la finzione dall’interno sfruttando gli elementi del reale e senza mai violare la verità del reale. Il risultato è una verità talmente forte da poter sembrare inventata e invece non perde mai il legame profondo con ciò che è reale . È stato, in un certo senso, come mettere in scena un reality cinematografico, un formato di cui conosco bene le dinamiche e le potenziali tà come esercizio di osservazione, relazione e scrittura dal vero. Un reality senza spettacolarizzazione, in cui la vita entra nella finzione e la finzione si modella sulla vita. Gli interpreti, pur non essendo professionisti, sono stati guidati come in un laboratorio teatrale vero e proprio, dove si improvvisa a partire da situazioni familiari e da altre meno note, ma sempre con precisione, cura e ascolto. Per anni ho ascoltato e registrato i racconti di Luisa. Ho subito pensato che sarebbe stato giusto restituirli mettendo in scena le azioni di cui parlava, come si farebbe con un soggetto cinematografico tradizionale.
Tragedia greca e dramma del reale
In un film che mescola finzione e documentario per dar vita a un dramma del reale, emerge con forza la profonda connessione con la tragedia greca e l’arte teatrale. Il cineasta, nella costruzione della propria drammaturgia — in particolare nell’incipit e nell’epilogo — avvicina il racconto agli archetipi della tragedia antica, a partire dalla scena iniziale, ambientata non casualmente all’interno di un teatro greco. L’apertura della pellicola introduce elementi chiave della drammaturgia classica: il coro, composto dagli abitanti e parenti del villaggio, e il conflitto dialettico tra due personaggi, fulcro delle grandi tragedie di Eschilo, Sofocle ed Euripide. Drammaturghi che, nelle loro opere — come Antigone, esplicitamente richiamata dalla narrazione filmica — mettevano in scena dibattiti feroci sulla morale e sulla filosofia, trasformando il teatro in un processo pubblico sull’idea e sulla visione del mondo.
All’inizio del film (ma si potrebbe dire per tutta la sua durata) assistiamo a un confronto dialettico serrato tra due donne, Imma e Luisa, che si sfidano verbalmente davanti alla propria famiglia. Imma espone la sua verità, Luisa la propria, dando vita a due letture opposte della stessa realtà. Questo scontro genera una tragicommedia, elemento centrale non solo nella teatralità greca, ma anche nella vita quotidiana, dove — se osserviamo attentamente — possiamo cogliere la natura tragicomica dell’essere umano.
Nel corso della pellicola, si ha dunque l’impressione di assistere a una rappresentazione teatrale, fatto di riti e rituali: da un lato, due “attrici” impegnate in un conflitto dialettico; dall’altro, un gruppo di “comparse” che svolge la funzione del coro, voci che all’unisono cercano di condurre le due nemiche verso una possibile risoluzione.
Le mie zie, mia madre, sembravano un coro tragico. Si muovevano insieme, commentavano, assistevano, giudicavano. La loro presenza collettiva ha evocato in me una dimensione antica, arcaica. E mi è tornata in mente persino La dea dell’amore di Woody Allen, con il suo coro greco in un anfiteatro che fa da specchio e da contrappunto alla vicenda. Qui, come là, tutto sembrava già scritto, eppure succedeva davanti ai miei occhi, e davanti alla macchina da presa. Ed è qui che sono nate le idee del prologo e l’epilogo le uniche scene di finzione del film, girate in quel luogo meraviglioso del teatro del parco archeologico di Sibari. Il documentario, per me, è questo. Non solo osservazione, ma scrittura visiva. Ho guardato la realtà con l’occhio del drammaturgo, sì, perché vengo dal teatro, e il teatro è la mia prima grammatica, il mio primo mestiere. Ma spero di aver filmato e composto con quello del regista. Non volevo documentare il teatro della realtà: volevo trasformarla in cinema , senza snaturarla, anzi, esaltandone la sua potenza espressiva
La staticità del conflitto e il ritratto dell’anima
Il lungometraggio, pur essendo ben costruito a livello sceneggiativo — evitando buchi di trama o sviste registiche nella messa in scena — soffre di una certa staticità narrativa. Ci troviamo di fronte a un film in cui nulla accade realmente: ciò che vediamo è una continua riproposizione di quanto già compreso nei primi quindici minuti. La pellicola, attraverso un processo verbale, racconta incessantemente l’odio tra due donne profondamente diverse, senza però metterlo mai in scena in modo concreto. Il conflitto rimane sospeso, astratto, privo di una vera evoluzione drammaturgica. Assistiamo alle frasi taglienti di Maria Luisa Magno, che non esita a insultare e accusare Imma in ogni scena familiare, imputandole colpe gravi — dal taglio delle tende fino a un’aggressione con un coltello. Immacolata Capalbo, dal canto suo, non perde occasione per definire la cognata “pazza”, anche in presenza della madre di quest’ultima, Antonietta Giuseppina Mancuso, apertamente schierata con Imma, tanto da essersi parzialmente allontanata dalla figlia stessa.
Nel corso del film, ascoltiamo i vari punti di vista, ma — eccezion fatta per il duello iniziale, dal sapore tragicomico e quasi western — non assistiamo mai a un vero confronto tra le due donne. Il film non cerca la verità, non la mette in scena, ma sembra piuttosto interessato a descrivere l’interiorità delle protagoniste. Eppure, il racconto si concentra quasi esclusivamente su Luisa, vera protagonista e fulcro emotivo della pellicola. Il cineasta, attraverso dettagli come le calzature o il modo di vestire, costruisce un ritratto intimo e profondo delle due rivali, ma è in Luisa che riesce a catturare l’anima: una donna apparentemente forte, alla ricerca di una ribalta, ma in realtà profondamente triste. Una figura ferma, immobile, in un mondo ostile, fatto di solitudine non voluta e di malinconia. Il film, più che raccontare un conflitto, sembra volerci restituire il peso invisibile di un’esistenza.
Da bambino la osservavo (Luisa), affascinato dal suo modo di distaccarsi dal mondo che ci circondava in Calabria. Come scrive lei stessa su Facebook, Luisa è “unica e rara”. Possiede una modernità di pensiero, involontaria, che, se presa alla lettera , la renderebbe un personaggio scomodo, folle forse. Ma esplorando la sua profonda natura, lasciandosi guidare nel mondo filtrato dal suo sguardo, emerge un personaggio universale, impossibile da non amare. La sua è una parabola di solitudine, non desiderata ma irrimediabile. Il suo modo di raccontare la realtà, dipingendola con colori brillanti, è affascinante. Si investe di una grande libertà, senza limiti, come un buffone di corte, come nella satira. Le sue parole si scontrano con i valori tradizionali del contesto in cui v ive, e mi sono spesso chiesto: come può una persona così oppositiva sopravvivere in un ambiente che le è costantemente ostile? Per sopravvivere bisogna, per forza, essere rivoluzionari. E allora perché per Luisa non cambia mai nulla? Perché tutto resta immobile?
Dichiarazione del regista
In conclusione
Il quieto vivere è un’opera che sfida le convenzioni del documentario e della finzione, fondendo i due linguaggi in un esperimento cinematografico che si avvicina alla tragedia greca e alla drammaturgia teatrale. Gianluca Matarrese costruisce un racconto intimo e viscerale, dove il conflitto familiare diventa specchio di un’umanità ferita, grottesca, e profondamente vera. Pur soffrendo di una certa staticità narrativa e di una ripetitività tematica, il film riesce a restituire la potenza espressiva di un microcosmo domestico.
Note positive
- Fusione originale tra documentario, finzione e teatro
- Regia attenta e rispettosa della realtà familiare
- Riferimenti alla tragedia greca ben integrati
Note negative
- Staticità narrativa e ripetitività tematica
- Mancanza di evoluzione drammaturgica
- Focus sbilanciato su un solo personaggio
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Regia |
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Fotografia |
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Sceneggiatura |
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Colonna sonora e sonoro |
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Emozione |
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SUMMARY
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3.4
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