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Palazzina Laf
Titolo originale: Palazzina Laf
Anno: 2023
Nazione: Italia
Genere: Drammatico
Casa di produzione: Palomar, Bravo, BIM Distribuzione, in coproduzione con Paprika Films
Distribuzione italiana: BIM Distribuzione
Durata: 99 minuti
Regia: Michele Riondino
Sceneggiatura: Maurizio Braucci, Michele Riondino
Fotografia: Claudio Cofrancesco
Montaggio: Julien Panzarasa
Musiche: Teho Teardo
Attori: Michele Riondino, Elio Germano, Vanessa Scalera, Domenico Fortunato, Gianni D’Addario, Michele Sinisi, Fulvio Pepe, Marina Limosani, Eva Cela, Anna Ferruzzo, Paolo Pierobon
Trailer di “Palazzina Laf”
Informazioni sul film e dove vederlo in streaming
Se l’indignazione del pubblico per lo stato attuale del cinema italiano si traducesse in un concreto impegno verso le pellicole meritevoli, la situazione sarebbe sicuramente migliore. Invece la sfiducia di buona parte del pubblico va a braccetto con delle distribuzioni spesso inadeguate, impedendo ai film validi di ottenere i riscontri che meritano.
Michele Riondino – che del suo orientamento politico non ha mai fatto mistero – cerca di raccogliere l’eredità di un tipo di cinema sempre più difficile da vedere in Italia. Un film che racconta del caso di mobbing collettivo venuto fuori nel 1997: il caso della palazzina Laf.
La sceneggiatura si basa sul libro Fumo sulla città di Alessandro Leogrande, a cui il film è dedicato.
Una storia vera
Nella palazzina Laf furono confinati 79 lavoratori della fabbrica Ilva, allora gestita dalla famiglia Riva. I dipendenti che non accettavano la novazione del contratto, ovvero il declassamento da impiegati e tecnici specializzati a operai, venivano destinati alla famigerata palazzina.
Lì erano impossibilitati a lavorare e costretti in una condizione umiliante. Nel novembre del 1998 i carabinieri posero fine alla condizione degradante dei lavoratori della palazzina, dando il via ad un processo per tentata violenza privata nei confronti dei dirigenti.
Soltanto nel 2006 la condanna fu confermata dalla cassazione. Undici persone condannate, tra cui Emilio Riva, presidente del Consiglio di amministrazione dell’Ilva.
Trama di “Palazzina Laf”
Le morti sul lavoro non si fermano a Taranto, ma Caterino Lamanna non sembra troppo preoccupato. Non si fida dei sindacati, non crede nello sciopero e mette la sua carriera personale sopra tutto. Così, quando i dirigenti della fabbrica gli chiedono di diventare una spia per identificare gli operai più “scomodi”, lui accetta senza riserve. Il lavoro lo porterà ad entrare nella palazzina Laf, reparto di confino dell’Ilva, dove entrerà in contatto con una realtà di cui era all’oscuro.
Recensione di “Palazzina Laf”
Nonostante qualche sporadico calo di ritmo, la struttura del film è molto solida e l’arco narrativo del personaggio di Riondino è, tutto sommato, coerente. I dialoghi riescono a riprodurre bene la retorica dei vertici aziendali.
Avrebbe meritato più spazio Anna, compagna del protagonista, che gli rimane piuttosto subalterna e fatica ad assumere un’identità a sé stante. La buona recitazione di Eva Cela non è sufficiente a dare spessore ad un personaggio che sembra essere stato trascurato in fase di scrittura.
Allo stesso modo il suo rapporto con Caterino non è molto sviscerato e rimane poco più che un pretesto per giustificare il suo morboso desiderio di ascesa sociale.
Caterino è una figura composta da molte caratteristiche e qualcuna di queste viene lasciata indietro col progredire della storia. Il suo velato razzismo, oltre ad essere spiattellato in modo un po’ troppo plateale nei primi minuti, non vede un vero sviluppo.
Lato tecnico
Il film è girato bene, con carrellate che restano vicine ai movimenti de personaggi, senza dimenticarsi di descrivere gli ambienti. Una regia che – con primi piani – cerca i volti afflitti degli operai e li mette a confronto con quelli di carabinieri e dirigenti. Meno efficace è l’unica scena di colluttazione, dove malgrado una regia sempre buona, la messa in scena perde di mordente.
La fotografia è dominata dai colori freddi: il grigio della fabbrica e il verde chiaro degli arbusti incolti si distendono sotto un cielo nuvoloso, che sembra incombere sui lavoratori come il tetto di una prigione.
Nella fase iniziale il montaggio alternato mette in luce come il successo di un lavoratore sia spesso a scapito di un altro, assecondando un divide et impera che favorisce i capi d’impresa. Sempre il montaggio – verso il finale – rende bene una sequenza onirica fondamentale per lo sviluppo morale del protagonista.
La recitazione è un altro punto di forza della pellicola, Elio Germano spicca su tutti con il suo paternalismo e il suo falso interesse verso i dipendenti. Riondino ci trascina dentro ad un personaggio cinico, disilluso ed egoista. Tutti gli altri contribuiscono a rendere realistiche le scene, senza mai andare sopra le righe. Sintomo di una direzione degli attori portata a termine con successo.
Il film eccelle nella claustrofobica rappresentazione della vita dei dipendenti. La ripetizione di certe azioni e i lenti movimenti di macchina all’interno delle stanze affollate della palazzina rendono tangibile la monotonia e l’umiliazione cui sono sottoposti i lavoratori nei reparti confino. Qui probabilmente l’influenza di Elio Petri viene fuori, ma lo fa nella maniera più naturale e spontanea possibile, senza dare mai l’impressione di volerne ricalcare lo stile.
Le tematiche
Un film che fa a pezzi il concetto di self made man, denuncia gli abusi sui lavoratori e – per certi versi – ci fa sentire tutti un po’ complici. Complici di un sistema e di una mentalità che vede il lavoratore come proprietà dell’azienda e i diritti sul lavoro subordinati alla produttività. Altri temi trattati sono l’abuso di potere dei carabinieri, la debolezza dei sindacati e la disillusione verso la lotta di classe.
In conclusione
Michele Riondino porta a casa un film importante, che si fa carico di temi delicati e difficili da mettere sul grande schermo.
Recupera il cinema sociale italiano anni sessanta e settanta, si lascia ispirare dal Ken Loach di Paul Mick e gli altri e realizza un film rivolto tanto a chi crede nella lotta per i diritti dei lavoratori, quanto a chi – come il protagonista – è ormai disilluso e chiuso sul suo interesse personale.
Una scarica di defibrillatore per un cinema italiano che sembra far fatica a tirare fuori quel lato politico e sociale che un tempo sfoggiava fieramente.
Un film che merita indiscutibilmente la visione.
Note positive
- Ottima recitazione
- Molto ben diretto
- Critica sociale che colpisce nel segno
- Storia interessante e ben raccontata
Note negative
- Rapporto tra Anna e Caterino non molto sviluppato