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Per amore di una donna
Titolo originale: Per amore di una donna
Anno: 2025
Nazione: Italia
Genere: Drammatico
Casa di produzione: Colorado Film Production, Vivo Film
Distribuzione italiana: Fandango Distribuzione
Durata: 117 minuti
Regia: Guido Chiesa
Sceneggiatura: Nicoletta Micheli, Guido Chiesa
Fotografia: Emanuele Pasquet
Montaggio: Luca Gasparini
Musiche: Zoë Keating
Attori: Mili Avital, Ana Ularu, Ori Pfeffer, Alban Ukaj, Marc Rissmann, Serhii Kysil, Anastasia Doaga, Sira Topic, Limor Goldstein, Vincenzo Nemolato, Menashe Noy, Moni Moshonov
Trailer di “Per amore di una donna”
Informazioni sul film e dove vederlo in streaming
Guido Chiesa, laureato in Lettere e Filosofia, ha iniziato la sua carriera cinematografica negli anni ’80 lavorando come aiuto regista per autori del calibro di Jim Jarmusch, Amos Poe e Michael Cimino. Nel corso della sua carriera ha diretto opere di rilievo, tra cui “Il caso Martello” (1991), presentato alla Mostra del Cinema di Venezia, e “Babylon” (1994), vincitore del premio FIPRESCI al Torino Film Festival. Ha proseguito il suo percorso con “Il partigiano Johnny” (2000) e “Lavorare con lentezza” (2004), entrambi in concorso alla Mostra del Cinema di Venezia. Ha inoltre diretto la prima serie originale di Sky Italia, “Quo Vadis, Baby”, e il film “Io sono con te” (2010), presentato alla Festa del Cinema di Roma.
Negli anni successivi si è dedicato alla commedia con successi come “Belli di papà” (2015), “Ti presento Sofia” (2018) e “Cambio tutto!” (2020), tutte prodotte da Colorado Film Production, mentre nel 2025, riabbraccia toni più drammatici, con “Per amore di una donna”, pellicola scritta dallo stesso cineasta insieme a Nicoletta Micheli, tratta dal romanzo “The Loves of Judith” (1994) di Meir Shalev.
Prodotto da Iginio Straffi e Alessandro Usai per Colorado Film, Marta Donzelli e Gregorio Paonessa per Vivo Film, con Rai Cinema e con il sostegno del MIC – Direzione Generale Cinema e Audiovisivo, “Per amore di una donna” vanta un cast internazionale con Mili Avital, Ana Ularu, Ori Pfeffer, Alban Ukaj, Marc Rissmann, Serhii Kysil, Anastasia Doaga, Sira Topic, Limor Goldstein e Vincenzo Nemolato, con la partecipazione di Menashe Noy e Moni Moshonov.
Il lungometraggio è stato presentato in anteprima mondiale il 25 marzo durante il Bif&st 2025, dove ha ottenuto il Premio “Per il Cinema Italiano” – Miglior Film. In seguito, grazie a Fandango, la pellicola è arrivata nei cinema italiani a partire dal 29 maggio 2025.
Abbiamo terminato le riprese a gennaio del 2023, ma dopo il pogrom del 7 ottobre e la situazione che si è successivamente creata nella Striscia di Gaza, nessuno voleva il film per evitare polemiche e controversie a causa dell’ambientazione in Israele, anche se la storia non ha nulla a che fare con il conflitto arabo israeliano. Poi la Fandango ha scelto di distribuirlo senza preoccuparsi del rischio di eventuali contestazioni e lo ha presentato a marzo al BiFest di Bari dove ha vinto il premio come miglior film, votato all’unanimità da una giuria popolare di 30 persone di età dai 18 ai 70 anni. Ho saputo in seguito che in un primo momento due giurati avevano espresso qualche perplessità sull’opportunità di assegnare un premio a un film ambientato in Israele, ma i coordinatori della giuria hanno fatto notare che andava giudicata la qualità dell’opera, non l’opportunità o meno di assegnargli un premio. A loro sostegno è intervenuta una donna egiziana, membro della giuria, che ha dichiarato di non aver riscontrato nel film nulla che, in quanto araba, la potesse offendere e che il modo giusto per valutare un’opera fosse un approccio senza pregiudizi. – Cit. Guido Chiesa
Trama di “Per amore di una donna”
Negli anni ’70, Esther, una donna americana inquieta e alla ricerca di risposte, riceve una lettera scritta dalla madre prima della sua morte. Quel messaggio la spinge a trovare una donna vissuta negli anni ’30 in Palestina, allora sotto mandato britannico, che sembra custodire un segreto legato alla sua esistenza. Decisa a scoprire la verità, Esther si reca in Israele, dove viene aiutata nella sua indagine da Zayde, un professore di ornitologia segnato da un passato ingombrante.
Negli anni ’30, in un villaggio di coloni, la vita di Moshe, contadino vedovo con due figli, viene sconvolta dall’arrivo di Yehudit, una giovane donna chiamata ad aiutarlo. La sua presenza altera i suoi equilibri interiori e domestici, ma anche quelli della comunità e di due uomini: Yaakov, un sognatore idealista, e Globerman, un commerciante pragmatico—entrambi innamorati perdutamente di Yehudit.
Mentre Esther e Zayde ripercorrono il filo degli eventi che collegano passato e presente, emergono verità inaspettate che cambieranno per sempre il corso delle loro vite.
Recensione di “Per amore di una donna”
È un progetto a cui, circa 20 anni fa, erano molto interessati Gabriele Salvatores e il produttore Maurizio Totti della Colorado, che avevano scoperto il romanzo grazie a Enrico Levi. In quegli anni, furono realizzate varie versioni della sceneggiatura, con diversi autori, che si basavano esclusivamente sul libro, adottando quella sorta di realismo magico, sulla falsariga di Bulgakov, Gogol o Marquez. Nessuna di queste versioni della sceneggiatura riuscì a diventare un film. Totti mi chiese di leggere il romanzo una prima volta nel 2010, ma non ne rimasi particolarmente colpito. Me lo ripropose nel 2018 e questa volta, invece, al di là della magmatica scrittura di Shalev, vi trovai la traccia di una possibile – e potente – storia per il cinema. Lo feci leggere a Nicoletta, che lo trovò interessante e così provammo a scrivere una prima versione del copione basata sul romanzo. Anche il nostro tentativo però si rivelò infruttuoso: alla storia mancava un “tirante”, qualcosa che ai nostri cuori, e agli occhi degli spettatori, potesse diventare un motivo per appassionarsi alla storia, uno spazio in cui calarsi e tirar dentro chi avesse visto il film. – Cit. Guido Chiesa
Un progetto lungo vent’anni, mai abbandonato del tutto da Colorado Film, che ha continuato a cercare una chiave di lettura adatta per trasporre cinematograficamente il romanzo di Meir Shalev, “The Loves of Judith”—un racconto crudo e dal tono marcatamente pessimista, caratterizzato da un punto di vista maschile, quello di Zayde. Questo uomo che ha tre padri, ripercorre la propria esistenza volgendo lo sguardo al passato, alla figura della madre Yehudit, nel tentativo di scoprire la vera natura e identità di lei e, parallelamente, di se stesso.
Dopo svariate bozze di sceneggiatura rifiutate e ritenute non all’altezza, Colorado Film ha deciso di affidarsi alla scrittura di Guido Chiesa e Nicoletta Micheli, che, non senza difficoltà, hanno trovato un escamotage drammaturgico per adattare la storia del romanzo a una trasposizione cinematografica. Il duo, così, ha operato una completa rilettura del testo di Shalev, distanziandosi in modo significativo dal materiale di partenza—sia a livello strutturale, che narrativo e tematico.
Il film di Chiesa conserva, naturalmente, alcuni elementi chiave dell’opera, come i personaggi, le ambientazioni e alcune scene fondamentali, ma ne rivoluziona la narrazione attraverso l’introduzione di una trama principale inedita, assente nel romanzo originale. Questa nuova prospettiva è legata al personaggio di Esther, un’americana che, dopo la morte della madre, viene spinta da quest’ultima a intraprendere un viaggio tra Gerusalemme e Israele, un percorso inatteso che la porterà a scoprire le proprie origini. Al centro delle vicende non troviamo più il viaggio interiore fatto di ricordi di Zayde, bensì quello di Esther. Tra libro e pellicola si verifica dunque un cambio radicale di impostazione narrativa, evidenziato dal drastico mutamento del punto di vista: dall’ottica maschile predominante nel romanzo a una narrazione che pone al centro lo sguardo femminile, con Esther e Yehudit come protagoniste indiscusse del film.
Nel romanzo di Shalev tutta la storia è raccontata da un punto di vista maschile, quello di Zayde, il figlio con tre padri. Lui conosce già tutta la vicenda e il romanzo gli svela, attraverso la figura di Yaakov, come essa vada letta nell’ottica di un destino tragico, e se vogliamo incomprensibile, da cui gli esseri umani non possono sfuggire. Questa prospettiva non ci appartiene e ci rendeva difficile. Allora abbiamo incominciato ad analizzare a fondo la storia narrata del romanzo alla ricerca di una diversa prospettiva, che raccontasse i medesimi fatti ma in luce diversa. Abbiamo trovato un particolare che Shalev menziona appena: Yehudit, la donna che aveva scatenato il desiderio dei tre padri, aveva avuto una bambina, che le era stata portata via in maniera violenta dal marito. A quel punto ci siamo chiesti che cosa sarebbe accaduto se questa bambina, un giorno, avesse ricevuto da sua madre una lettera, una sorta di testamento scritto prima della morte, in cui le raccontava che nella sua vita c’era un segreto. Abbiamo compiuto così un piccolo tradimento del romanzo, prima di tutto come prospettiva. Nel libro c’era una sorta di visione pessimista sulle vicende umane, che noi non condividiamo perché crediamo che esseri umani possono cambiare la Storia, a cominciare dalla loro. Esther, il personaggio che abbiamo creato, non solo ci ha aiutato a rendere più accattivante e intrigante il racconto, ma ci ha anche permesso di sfrondare l’intreccio del libro che ha uno sviluppo a spirale, in cui si sa da subito come il racconto andrà a finire, senza l’interesse di condurre il lettore dentro a una qualche forma di scoperta. Attraverso Esther, invece, lo accompagniamo a dipanare un mistero, e riportiamo quella che è la storia del libro dentro il nostro mondo, dentro un realismo dove la risoluzione della storia si lega a un filo di speranza, a una risoluzione positiva che nel romanzo non c’ è. – Cit. Nicoletta Micheli
Pur non essendo un grande estimatore delle modifiche profonde al materiale drammaturgico di partenza—soprattutto quando si tratta di trasposizioni cinematografiche di romanzi—l’idea di Nicoletta Micheli e Guido Chiesa ha una sua logica e, nella pratica, funziona sorprendentemente bene. Il principale ostacolo nell’adattamento di questo romanzo risiedeva nella difficoltà di costruire un ritmo narrativo efficace, a causa di una struttura drammaturgica che privilegiava un registro più intimista e riflessivo. Per superare questa sfida, il duo ha ideato un escamotage narrativo, introducendo una nuova trama—destinata a diventare il fulcro della pellicola—capace di generare una tensione drammaturgica quasi da film giallo, incrementando il pathos della vicenda e mantenendo alta l’attenzione dello spettatore. L’intreccio, drammaturgico, così si sviluppa attorno al mistero delle origini di Esther, spingendo il pubblico a voler scoprire quale segreto familiare si celi dietro la sua nascita.
Il film, dunque, si articola su due registri drammaturgici distinti, sia dal punto di vista narrativo, che registico, fotografico e di montaggio, creando un contrasto dinamico tra l’introspezione del romanzo originale e la tensione cinematografica della trasposizione.
In primis, abbiamo la timeline ambientata nel presente filmico, ovvero gli anni ’70, con al centro la figura di Esther, una donna segnata dalla perdita della madre, con cui non aveva un rapporto idilliaco. Il suo viaggio personale in Israele la porta a incrociare il destino di Zayde, un professore di ornitologia incapace di vivere pienamente la propria esistenza e di raggiungere una reale felicità interiore. Questa timeline è raccontata attraverso un linguaggio registico asciutto, evidente nell’assenza totale di melodie musicali a favore di un paesaggio sonoro dominato da rumori e suoni ambientali, che restituiscono un senso di realtà cruda. La fotografia si avvale di una palette cromatica spenta, volta a sottolineare in modo netto l’interiorità emotiva di due personaggi incapaci di prendere realmente in mano la propria vita. A livello dialogico, questa parte del film presenta una costruzione dei personaggi abbastanza soddisfacente, seppur non ottimale. L’uso dei dialoghi è misurato e mai invadente, consentendo di cogliere alcuni aspetti interiori dei protagonisti senza forzature.
Ciò che, tuttavia, non convince pienamente in questa sezione narrativa è il montaggio, che, seppur interessante, risulta talvolta caotico. Alcuni tagli interni alle scene e i collegamenti tra le sequenze narrative non sempre funzionano al meglio, generando momenti di discontinuità che potrebbero far storcere il naso allo spettatore.
La timeline ambientata tra il 1930 e il 1945, in cui veniamo immersi attraverso il racconto di Zayde, è esattamente l’opposto di quella precedente. La fotografia abbandona completamente la palette cromatica opaca a favore di colori luminosi e accesi, quasi dai toni fiabeschi, trasportando lo spettatore in una dimensione contadina e agricola, in un piccolo villaggio nei dintorni di quella che, in seguito, diventerà Israele. Il sonoro, invece, abbandona i rumori d’ambiente per lasciare spazio a una colonna sonora intensa e predominante, che scandisce le sequenze drammaturgiche e amplifica il coinvolgimento emotivo.
Anche la regia e il montaggio subiscono un cambiamento netto: la macchina da presa smette di seguire da vicino i personaggi e, invece, dilata lo spazio visivo, raccontando in modo suggestivo l’ambientazione in cui sono immersi. Questa scelta estetica permette di trasmettere la semplicità e la durezza di quel tipo di vita, dando respiro alla narrazione e accentuando il contrasto tra le due timeline.
“Per amore di una donna” è un film con due anime, che man mano si intrecciano fino a diventare una sola. Un’anima sofferente, scolorita, come spenta, quella del presente della storia, il 1978 perché all’inizio del film Esther e Zayde sembrano aver smarrito la voglia di cambiare, di mettersi in gioco, negli affetti come nei progetti di vita. Ed è proprio in questo frangente di vita che si ritrovano a fare i conti con un passato che non vuole passare. Quest’anima priva di mordente si traduce in colori sbiaditi, con pochi contrasti e luci fredde. Le inquadrature sono strette sui personaggi, fisse, quasi claustrofobiche, dove i due protagonisti sembrano intrappolati, senza possibilità di reale movimento Il montaggio è serrato, nervoso, ricco di dettagli ma con un dinamismo solo apparente. La musica è quasi assente, per lo più proveniente da fonti diegetiche. A quest’anima sospesa e grigia, si contrappone quella dalle tinte calde e sature del passato. In quanto filtrata dai ricordi di Zayde la rappresentazione del mondo degli anni ’30 è realistica, ma con una cifra lirica e leggendaria, senza tuttavia mai scivolare nella nostalgia. Un’anima che porta il film ad aprirsi a inquadrature più larghe, con grandi contrasti di luci naturali, più movimenti di macchina e con lunghe dissolvenze. La colonna sonora è dominata da suoni naturali – uccelli, acqua, muggiti, rumori dell’agricoltura e dei lavori delle fattorie – che si fondono in un universo musicale fatto di archi e tapptti melodici, classico eppure sperimentale. La musica assume un ruolo epico, a tratti incantato, a tratti drammatico, con energici contrappunti, senza mai rinunciare alle emozioni forti. Parimenti le scelte di montaggio si fanno più armoniche, eppure sorprendenti, con stacchi aggressivi e inattese ellissi perché in quel mondo la storia va avanti. Sempre e comunque. Cit. Guido Chiesa
In conclusione
Pur senza brillare in modo evidente, e nonostante un ritmo poco dinamico e una regia non sempre incisiva, la pellicola riesce comunque a costruire una narrazione efficace, capace di intrattenere lo spettatore. Alcune sequenze evitabili—come la scena dello stupro—e alcuni elementi didascalici ne attenuano l’impatto, e certamente si sarebbe potuto fare di più, soprattutto considerando il materiale di partenza. Tuttavia, il film risulta godibile, anche se le interpretazioni del cast non emergono pienamente. Gli attori sembrano svolgere il loro compito in maniera corretta ma senza trasmettere fino in fondo la forza interiore dei loro personaggi.
Nonostante tutto, resta un’opera apprezzabile. Quel che ci si potrebbe augurare, però, è che venga realizzata, prima o poi, una vera trasposizione del romanzo originale.
Note positive
- Scelta narrativa che introduce maggiore tensione e pathos rispetto al romanzo
- Alternanza tra due linee temporali con una resa visiva e sonora ben distinta
- Un’interpretazione narrativa più accessibile e coinvolgente
Note negative
- Montaggio poco fluido in alcuni passaggi
- Alcuni momenti narrativi evitabili, come la scena dello stupro
- Interpretazioni del cast corrette, ma poco incisive
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Regia |
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Fotografia |
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Sceneggiatura |
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Colonna sonora e sonoro |
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Interpretazione |
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Emozione |
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SUMMARY
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3.3
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