Sogni: Akira Kurosawa fra onirismo e ricordi di vita

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I contenuti dell'articolo:

Sogni

Titolo in lingua originale: Yume

Anno: 1990

Paese di produzione: Giappone

Genere: fantastico, drammatico, biografico

Durata: 119 minuti

Produzione: Warner Bros. Pictures, Akira Kurosawa USA

Distribuzione: Warner Bros. Italia, Warner Home Video

Regista: Akira Kurosawa

Sceneggiatura: Akira Kurosawa

Montaggio: Tome Minami

Fotografia: Kazutami Hara, Takao Saito, Masaharu Ueda

Attori: Akira Terao, Mitsuko Baisho, Toshie Negishi, Chishu Ryu, Martin Scorsese

Trama di Sogni

Otto sogni legati dalla costante presenza dell’io narrante in diverse fasi della propria vita, dalla fanciullezza sino alla maturità. In accordo con la crescita biologica del protagonista ed il ciclo delle stagioni, si susseguono esperienze oniriche differenti. Il primo sogno dell’Io-bambino (Toshiko Nakano) è influenzato dall’antica leggenda dei demoni-volpe, le kitsune, che sono solite sposarsi durante le giornate di pioggia. Il sogno successivo vede l’Io-adolescente (Mitsunori Isaki) confrontarsi con la ribellione delle Bambole durante la giornata di festa a loro dedicata. L’episodio-sogno seguente (La tormenta) materializza i timori del protagonista, divenuto adulto (Akira Terao) di non riuscire nella propria vita, mentre nella sequenza Il tunnel risorgono ricordi terribili della Seconda Guerra Mondiale. Seguono l’esperienza onirica che vede il giovane entrare letteralmente nei quadri di Vincent Van Gogh (I corvi), l’incubo di una catastrofe che si abbatte sul Giappone all’ombra del Monte Fuji e lo scenario post-apocalittico generato da tale devastazione. Solo il sogno conclusivo, Il villaggio dei mulini, concernerà la chiave per un’esistenza serena ed in armonia con la natura.

Recensione di Sogni

Fra le ultime pellicole girate dal maestro Akira Kurosawa, Sogni è un lungometraggio episodico composto da otto sequenze oniriche. In bilico fra il realismo magico e la messinscena di alcuni sogni del regista nipponico, il film si rivela essere una rievocazione, in chiave fantastica e a tratti metaforica, della vita di Kurosawa, dall’infanzia sino alla morte, passando dal passato remoto al futuro anteriore. Otto episodi che vedono come protagonista l’alter ego del regista, impersonato da tre attori differenti e in tre diverse età, che si lascia trasportare dalla fantasticheria – o dagli orrori – prodotti dal suo subconscio.

Perdonatemi. Come unico sopravvissuto quasi non riesco a guardarvi in faccia: io vi ho mandato a morire, io sono da biasimare. Me ne assumo tutta la responsabilità: la guerra è follia, l’esercito con i suoi regolamenti è disumano…

L’Io-narrante (Akira Terao) nel sogno Il tunnel

Akira Kurosawa è stato uno dei più grandi cineasti nipponici e fra i maestri del cinema internazionale, partecipe della rivoluzione cinematografica giapponese durante il Secondo Dopoguerra. Autore di capolavori come Rashomon (1950), Vivere (1952), La sfida del samurai (1961) e Ran (1985), il regista di Tokyo si dedica, nell’ultimo periodo della sua vita, alla realizzazione di lungometraggi dal carattere autobiografico. Fra questi, Sogni è la pellicola che più sorprende sia dal punto di vista compositivo che dalla prospettiva narrativa.

Prendendo diretta ispirazione dai propri ricordi onirici, Akira Kurosawa realizza otto episodi legati collegati da un’unica costante, il proprio alter-ego, un Io-narrante ripreso nelle tre fasi cardine della propria esistenza che vive con particolari attitudini i propri sogni. Difatti, se durante l’età giovanile il protagonista soccombe alla natura della fantasticheria, durante il periodo adulto questi interroga i personaggi che incontra nel suo cammino nelle profondità dell’inconscio. Allora alla fantasia contaminata dalla tradizione popolare nipponica si susseguono i riferimenti al Secondo Conflitto Mondiale, alla letteratura manga (come il celebre Nausicaa nella valle del vento), fino a penetrare la sfera figurativa con gli omaggi a Hokusai durante il sogno Fujii in rosso e al pittore Vincent Van Gogh, eccezionalmente interpretato da Martin Scorsese.

Tuttavia, sono sicuramente le spettacolari scenografie ed i sontuosi costumi a farla letteralmente da padrone nel film di Kurosawa: due costanti, nel corso della narrazione, che il cineasta nipponico non esita a evidenziare attraverso un ritmo lento e contemplativo. Un esempio di tale tecnica è rilevabile nel sogno Il pescheto, durante il quale l’Io-narrante osserva stupito la danza delle bambole che, attraverso tale rito magico, permettono al fanciullo di rivedere gli alberi di pesco in fiore. Kurosawa osserva minimalisticamente e concede allo spettatore una visione completa di ogni singolo episodio: forse in accordo con la filosofia espressa dall’anziano contadino che si ritrova a dialogare col protagonista nell’ultimo sogno.

Sicuramente, la pellicola del cineasta nipponico racchiude segni e simboli sì particolareggianti, poiché riferiti all’esperienza del regista stesso; tuttavia, si evince anche un’universalità delle tematiche, delle situazioni e delle fantasie che vengono messe in scena. In tal senso, il pensiero corre necessariamente al celeberrimo episodio dedicato a Vincent Van Gogh, nel quale i quadri dell’artista olandese vengono animati non solo attraverso un sapiente uso della macchina da presa e degli effetti speciali, ma anche dalla mente del protagonista-visitatore, così assorto dalla Bellezza da venirne totalmente assorbito, assistendo, incredulo, alla nascita del dipinto Campo di grano con volo di corvi.

Note positive

  • L’eccezionale ricchezza dei costumi realizzati
  • L’idea della messinscena dei sogni intimi del regista nipponico
  • La commistione di cultura giapponese, arte visiva (da Van Gogh a Hokusai), letteratura manga, filmografia ozuniana e storia recente.

Note negative

  • Il film risulta connotato da una costante lentezza, una scelta volta sì a mostrare la grandiosità delle scene e dei costumi ma che potrebbe arrecare noia a una parte del pubblico.
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