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The Walking Dead 11
Titolo originale: The Walking Dead
Anno: 2021 – 2022
Paese: Stati Uniti d’America
Genere: Horror, Drammatico, Thriller
Casa di Produzione: AMC Studios, Skybound Entertainment
Distribuzione italiana: Disney+
Ideatore: Frank Darabont
Showrunner: Angela Kang
Stagione: 11
Puntate: 24
Regia: Greg Nicotero, David Boyd, Sharat Raju
Sceneggiatura: Angela Kang, Jim Barnes, Erik Mountain
Fotografia: Duane Charles Manwiller
Montaggio: Dan Liu, Hunter M. Via
Musica: Bear McCreary
Attori: Norman Reedus, Melissa McBride, Lauren Cohan, Jeffrey Dean Morgan, Christian Serratos, Josh McDermitt, Seth Gilliam, Ross Marquand, Khary Payton, Eleanor Matsuura, Cooper Andrews, Cailey Fleming, Cassady McClincy, Callan McAuliffe, Paola Lázaro, Michael James Shaw, Laila Robins, Margot Bingham, Ritchie Coster
Trailer di “The Walking Dead 11”
Informazioni sulla serie e dove vederla in streaming
L’undicesima stagione conclude una delle serie più iconiche e celebri del panorama televisivo, The Walking Dead, che nel corso degli anni è diventata un vero e proprio franchise, con numerosi spin-off prequel e sequel attualmente in produzione. Questa ultima stagione ha avuto una distribuzione piuttosto particolare, essendo stata suddivisa in tre parti da otto episodi ciascuna, una scelta che personalmente apprezzo poco. I primi otto episodi sono stati trasmessi negli Stati Uniti su AMC settimanalmente, dal 22 agosto al 10 ottobre 2021, mentre la seconda parte (episodi 9-16) è andata in onda dal 10 aprile 2022. La terza e ultima parte (episodi 17-24) è stata trasmessa dal 2 ottobre al 20 novembre 2022. In Italia, la serie è stata distribuita direttamente su Disney Plus, dal 23 agosto 2021 al 21 novembre 2022.
Trama di “The Walking Dead 11”
The Walking Dead segue un gruppo di sopravvissuti durante un’apocalisse zombie. Nelle stagioni precedenti, i protagonisti hanno affrontato i demoni del passato e combattuto nuove minacce, con amicizie e relazioni che risentono del crescente danno collaterale dell’apocalisse. Nell’undicesima stagione, Alexandria è gravemente compromessa e non rappresenta più il luogo sicuro che era una volta, a causa della devastazione provocata dai Sussurratori. Ora, gli abitanti di Alexandria cercano di rifortificare la città e di trovare il cibo necessario per sostenere il crescente numero di persone.
Tra i sopravvissuti ci sono coloro che si sono salvati dopo la caduta del Regno e l’incendio di Hilltop, inclusi Maggie e il suo nuovo gruppo, i Wardens. La situazione è critica per tutti: le tensioni aumentano a causa degli eventi passati e l’istinto di sopravvivenza sembra prevalere sempre più sulla collaborazione. Il loro obiettivo principale è procurarsi più cibo e ripristinare Alexandria prima che crolli, come innumerevoli altre comunità incontrate nel corso degli anni. Ma come faranno a farlo? Più stanchi e affamati che mai, i sopravvissuti devono trovare dentro di sé la forza per salvaguardare la vita dei loro figli, anche a costo della propria.
Nel frattempo, all’insaputa degli abitanti di Alexandria, Eugene, Ezekiel, Yumiko e Princess sono ancora prigionieri di un gruppo misterioso e poco collaborativo, i cui soldati sembrano parte di un’organizzazione molto più grande e oscura.

Recensione di “The Walking Dead 11”
Il 31 ottobre 2010, in un’epoca in cui il formato seriale non era ancora stato ampiamente abusato, l’America e il mondo intero scoprirono The Walking Dead, una serie rivoluzionaria che presentava, per la prima volta sul piccolo schermo, una narrazione di genere marcatamente horror-post-apocalittico, trattante il crollo della società della razionalità e della legge a causa di un misterioso virus che ha trasformato i morti in non-morti, creature che comunemente il genere horror definisce come zombi. Tuttavia, un lemma che questa serie non ha mai utilizzato effettivamente, preferendo dare a queste creature infernali altri nomi, come vaganti o erranti. Basata sulla saga a fumetti omonima di Robert Kirkman, la prima stagione, sotto la guida dell’ideatore e showrunner Frank Darabont (Le ali della libertà, 1994; Il miglio verde, 2001; The Mist, 2007), conquistò il cuore dello spettatore e della critica, che eressero la serie a cult del genere zombi. Secondo la mia opinione, la prima serie avrebbe meritato qualche riconoscimento in più, soprattutto ai Golden Globe, sia come serie che per le interpretazioni attoriali di assoluto livello, essendo una stagione di altissimo livello.
Il problema di The Walking Dead è che la serie mantenne un’elevata qualità narrativa e tecnica per un lasso di tempo eccessivamente breve, collocabile solo nella prima stagione e nella seconda (e in parte della terza), le uniche effettivamente valide sia emotivamente che narrativamente. Dopo queste tre stagioni, la serie iniziò un costante e lento declino, a causa delle scelte editoriali fatte dalla AMC, che adottò decisioni in contrasto con gli addetti ai lavori. Frank Darabont, per diverse vedute creative, si ritrovò ad abbandonare la serie durante la seconda stagione. Glen Mazzara, collaboratore di Darabont, si ritrovò così a ricoprire il ruolo di showrunner durante la seconda stagione, ruolo che mantenne anche per tutta la terza, prima di abbandonare il timone della serie per divergenze creative con AMC, la quale decise di affidare il ruolo a Scott M. Gimple, colui che trasformò completamente il volto di The Walking Dead con il supporto della stessa AMC, ridefinendo i confini della serie e portandola da essere un mero prodotto televisivo a un universo in continua espansione.
Scott M. Gimple ha ricoperto il ruolo di showrunner per un periodo alquanto lungo, dalla quarta all’ottava stagione, occupandosi a livello drammaturgico dell’arco narrativo relativo allo scontro tra il gruppo di Rick e i Salvatori capeggiati dal terribile Negan. Quello che sarebbe dovuto essere un momento d’alta tensione per lo show si dimostrò tuttavia uno dei punti più bassi della serie, nonostante tutte le premesse esaltanti. Il problema è che Gimple, nonostante abbia realizzato alcune puntate memorabili che rimarranno impresse nella mente dello spettatore, ha prolungato eccessivamente questo evento, portandolo allo sfinimento e privandolo di ogni pathos. Il problema di Gimple non sta nella concezione della storia e dei suoi sviluppi, né nei personaggi, ma piuttosto nella resa strutturale dello show. The Walking Dead, dalla quarta stagione in poi, diventa una morte vivente che cammina perennemente e incessantemente, senza possedere verve, gironzolando tra gli eventi senza mai arrivare al dunque.
Il problema è nei tempi narrativi e nell’eccesso di puntate per trattare un argomento che avrebbe trovato il suo giusto svolgimento in un numero di episodi notevolmente minore. La prima stagione ne aveva sei e questa era la sua forza; già la seconda, con le sue tredici puntate, aveva un po’ esagerato, così come la terza stagione, che possedeva, senza motivo, sedici episodi. Dalla quarta, si è mantenuto questo numero di puntate senza accorgersi che erano troppe per una serie sugli zombi. Poi, a onor del vero, si farà ancor peggio, perché la decima stagione possiede addirittura ventidue episodi e quest’ultima perfino ventiquattro. Il numero di episodi è eccessivo per un prodotto di questo genere, ma Gimple non ha saputo nemmeno creare un ritmo narrativo, inserendo scene morte e fini a sé stesse nelle sue stagioni, e perfino lle numerose scene di dialogo, che, se ai tempi di Darabont o di Mazzara erano accattivanti grazie a una scrittura efficace, con Gimple la qualità di scrittura viene meno e, con essa, lo spessore dei personaggi. Seppur mantengano un briciolo di tridimensionalità, diventano a tratti delle macchiette, in primis i nuovi personaggi del periodo Gimple, in maniera specifica dalla sesta stagione in poi. Un altro problema di questo periodo di Gimple è la qualità tecnica che viene a mancare a causa di un budget quasi dimezzato, il quale si fa sentire durante lo scontro tra Rick e Negan.
L’era di Gimple termina con l’ottava stagione in maniera negativa, evidente anche dai numeri dell’auditel: se la 4×01 aveva ottenuto 16,11 milioni di spettatori in America, la 8×16 ha più che dimezzato il pubblico, ottenendo solo 7,92 milioni di spettatori. Un segno chiaro di come i fan della serie si siano disaffezionati al prodotto. Gimple, però, non scomparirà dal mondo di The Walking Dead, ma lascia il suo ruolo di showrunner per volere della AMC, per permettergli di concentrarsi su uno spin-off della serie (che prenderà il nome di The Ones Who Live). A questo punto, entra in scena Angela Kang, che si è ritrovata a dover rivitalizzare un prodotto morente, trovando dinanzi a sé una strada piuttosto in salita, anche a causa di alcune scelte del cast che complicano ulteriormente la situazione: Andrew Lincoln (Rick Grimes) decide di abbandonare il progetto, ma non è l’unico a prendere questa decisione. In seguito, anche Lauren Cohan (Maggie Greene) e Danai Gurira (Michonne) decideranno di allontanarsi dalla serie, creando un vuoto di spessore all’interno della narrazione, dove tre dei personaggi fondamentali dell’era Gimple sono venuti completamente a mancare con tempistiche divergenti. La Kang si trova così a dover rimpiazzare questi tre caratteri narrativi, sostituendoli con Daryl Dixon, che diventa praticamente l’ombra di Rick, assumendo atteggiamenti e comportamenti di Rick, e Carol Peletier, un personaggio che però non ha più nulla da raccontare, in special modo nelle ultime stagioni.
Nella nona stagione, la Kang ha provato in tutti i modi a lasciarsi alle spalle l’eredità di Gimple, effettuando perfino un significativo e cospicuo salto temporale, presentandoci un nuovo mondo e nuove sfide per i personaggi, creando una sorta di spin-off sequel all’interno della serie stessa. L’idea è interessante e i nuovi personaggi appaiono ben scritti, ma la serie si perde nuovamente nei vizi delle sesta, settima e ottava stagioni. Se Gimple aveva allungato il brodo con Negan, ecco che la Kang fa esattamente la medesima cosa riguardo alla lotta tra Alexandria e i Sussuratori. Se la storia di Alpha si poteva benissimo trattare in un’unica stagione, la serie allunga i tempi drammaturgici in maniera eccessiva, rendendo la narrazione claudicante, un problema onnipresente in quest’ultima stagione, la peggiore a livello di fattura di Angela Kang. Nelle precedenti stagioni, aveva tentato di risollevare lo show creando momenti interessanti e legami forti tra nuovi e vecchi personaggi; nell’undicesima stagione, però, produce un lavoro monotono, piatto e noioso, privo d’interesse.
Indubbiamente, la Kang ha commesso errori, ma, più che una vera e propria showrunner, sembra che abbia cercato di tenere a galla la barca, rispettando le decisioni discutibili di AMC e cercando di costruire, su queste scelte della casa di produzione, una storia più o meno credibile. L’AMC ha un piano per questo franchise e la Kang ha dovuto rispettarlo, (vedesi il finale) nel bene e nel male; un altro showrunner più autoritario e con una sua visione avrebbe abbandonato il progetto immediatamente, non immettendosi in una situazione da cui non poteva nascere nulla di buono. Se l’AMC ha le sue colpe, decidendo di chiudere la serie per motivi di bassi ascolti e costringendo la Kang a raggiungere un determinato finale, la showrunner ha anche le sue responsabilità, perché indubbiamente si poteva fare di meglio. In questa stagione finale non funziona nulla: in primis, i personaggi, vecchi e nuovi, non risultano interessanti, soprattutto i villain, a partire dai Mietitori fino al Commonwealth, con il crudele Lance Hornsby, la governatrice Pamela Milton e il figliastro di questa, Sebastian Milton. Nessuno di questi personaggi ha la stoffa di Negan o del Governatore. La Milton non è in grado di terrorizzare il pubblico, non ha un carattere approfondito e appare solo come una piccola politicante del 2024 e nient’altro. I cattivi non possiedono la malvagità e l’oscurità necessarie per essere interessanti. Accanto a questi personaggi, neppure i “vecchi” riescono a essere veramente accattivanti. Basti pensare che il personaggio più tridimensionale di questa stagione risulta essere Eugene Porter, l’unico carattere che ha un suo percorso di formazione e sviluppo durante questa stagione, ma oserei dire anche nell’intero The Walking Dead. Carol, Daryl e la stessa Maggie con Negan dovrebbero essere le colonne portanti di questa ultima stagione, ma non ci riescono. In parte risulta ben scritta la storia conflittuale tra Maggie e Negan, ma la showrunner non va mai nel profondo, creando una scena emozionante di scontro e pacificazione tra i due personaggi, ma niente di veramente esaltante e intimo.
Accanto ai problemi di scrittura dei personaggi, abbiamo la classica pecca dell’intera serie: il suo essere eccessivamente lenta e prolissa, con storie che riempiono inutilmente la serie e che potevano essere tranquillamente omesse, come la storia d’amore di Daryl, veramente brutta da vedere sia per scrittura che per svolgimento, oppure i Mietitori, una trama secondaria mal sviluppata e che si poteva anche evitare di inserire all’interno della stagione, risultando più un riempitivo che altro. Più interessanti risultano le ultime tre puntate, dove abbiamo un’accelerazione ritmica notevole e dove lo spettatore riscopre il significato di sofferenza e di lotta contro i vaganti. In queste ultime puntate, inoltre, viene messa in scena una nuova variante di vagante: degli zombie che sembrano possedere una loro intelligenza, riuscendo a spaccare vetri con sassi o a scalare i muri difensivi. Questa variante verrà indubbiamente sviluppata nei prossimi spin-off, ma in The Walking Dead viene affrontata male, soprattutto a livello emotivo. I personaggi non paiono sorpresi o spaventati realmente da questo evento, che è piuttosto inquietante e storico, perché significa che ora i vaganti sono molto più pericolosi. Nessuno però sembra essere spaventato realmente da questa evoluzione dei non-morti.
Ora, una breve riflessione sul finale, che effettivamente non è un finale, ma un espediente per spezzettare la storia in varie sezioni e in diversi spin-off in grado di concentrarsi su singoli personaggi. La conclusione, in parte, c’è ed è una sorta di grande happy ending: un finale indubbiamente speranzoso verso il futuro e la collaborazione tra gli uomini, ma manca, a mio avviso, di qualche morte eccelsa e di un pizzico di crudeltà. Allo stesso tempo, il finale non sa di finale, ma bensì di un arrivederci. Sappiamo che esistono già tre spin-off, come The Walking Dead: Dead City (Maggie e Negan), The Walking Dead: Daryl Dixon e The Walking Dead: The Ones Who Live (Rick e Michonne), e sono sicuro che prossimamente ne avremo altri con al centro Alexandria o i superstiti del Commonwealth, una sensazione evidente vista l’assenza di un vero finale di serie. La serie madre, dunque, è finita, ma i personaggi continuano a vivere e probabilmente confluiranno in nuove serie, e le loro vite andranno avanti, nonostante questo finale che, a livello di sviluppo di trama, presenta una grandissima pecca: perché Daryl decide di andar via? Cosa deve fare là fuori? La scelta di Daryl non è pertinente in linea con il personaggio presentatoci in queste ultime stagioni, un uomo che ha trovato l’amore e una figlia/famiglia. Insomma, ciò non ha molto senso, contrariamente a Maggie o Negan, di cui possiamo comprendere maggiormente la scelta di lasciare Hilltop per qualcosa di diverso.

In conclusione
The Walking Dead ha segnato un’epoca nel panorama delle serie tv, proponendo una narrazione avvincente e innovativa che ha catturato l’immaginario collettivo. Tuttavia, la serie ha vissuto un lento declino dopo le prime stagioni, dovuto a scelte creative discutibili e un eccesso di episodi che hanno diluito l’intensità della trama. Sebbene le ultime stagioni, sotto la guida di Angela Kang, tentino di risollevare il prodotto, si percepisce una mancanza di freschezza e profondità, con personaggi che non riescono a brillare come in passato. Il finale, pur con i suoi elementi di speranza, lascia l’amaro in bocca, mancando di una chiusura soddisfacente e presentando più domande che risposte.
Indubbiamente sperare che l’undicesima stagione fosse eccelsa era troppo, ma non avrei neppure pensato che fosse così monotona e mal scritta.
Note positive
- Il ritmo della ultime tra puntate
Note negative
- Ritmo eccessivamente lento
- Scrittura dei personaggi come Daryl Dixon
- Finale eccessivamente aperto
- Alcuni legami tra i personaggi vengono messi in scena ma non sono ben sviluppati