Trifole – Le radici dimenticate (2024). Una favola triste 

Recensione, trama e cast del film Trifole - Le radici dimenticate (2024), dramma di Gabriele Fabbro ambientato nelle Langhe tra tradizioni, famiglia e natura

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Trailer di “Trifole – Le radici dimenticate”

Informazioni sul film e dove vederlo in streaming

Gabriele Fabbro, regista e sceneggiatore nato a Milano nel 1996, si è laureato in Filmmaking alla New York Film Academy di Los Angeles. Dal 2011 ha scritto, diretto e prodotto oltre 30 progetti, tra cui lungometraggi, cortometraggi, videoclip musicali e spot pubblicitari, guadagnandosi nel 2022 il titolo di “Screenwriter to Watch” da parte di MovieMaker Magazine. Tra le sue opere spicca la regia del video musicale If You Run (2020) per Josh Homme, frontman dei Queens of the Stone Age, la regia del cortometraggio 8 (2019), proiettato alla 76ª Mostra del Cinema di Venezia, e la regia del suo primo lungometraggio, The Grand Bolero, presentato in anteprima all’Austin Film Festival nel 2021 e distribuito su Amazon Prime Video.

Dopo il successo di The Grand Bolero, Fabbro torna alla regia con Trifole – Le radici dimenticate, un’avventura drammatica dal respiro internazionale ambientata nel mondo del Tartufo Bianco d’Alba, uscito nelle sale italiane il 17 ottobre 2024 grazie a Officine UBU. TRIFOLE – Le radici dimenticate racconta una storia di ricongiungimento familiare e riscoperta delle proprie origini, ambientata nelle Langhe. Il film vede protagonista il cercatore di tartufi Igor, interpretato da Umberto Orsini, accompagnato dalla sua cagnolina Birba e dalla nipote Dalia, interpretata da Ydalie Turk, attrice e co-autrice del film. Dalia, in arrivo da Londra su richiesta della madre Marta (interpretata da Margherita Buy), raggiunge il nonno Igor nelle Langhe per assisterlo in un momento di difficoltà economica e di salute.

Il cast include anche Enzo Iacchetti, Frances Sholto-Douglas (nota per Samson, la trilogia di Kissing Booth e Slumber Party Massacre), Francesco Zecca (conosciuto per la serie The White Lotus, Un altro pianeta, Solo No, Basta un paio di baffi) e Ludovica Mancini (The Grand Bolero), oltre a Margherita Buy (La stazione, Caterina va in città, Giorni e nuvole)

Trama di “Trifole – Le radici dimenticate”

Dalia, giovane londinese senza particolari prospettive e obiettivi, viene mandata dalla madre (Margherita Buy) in un piccolo paese delle Langhe per occuparsi del nonno Igor, nella speranza che l’ambiente rurale le permetta di ritrovare sé stessa. Una volta arrivata, Dalia scopre che la situazione di Igor è molto delicata: la sua salute è minata dalla demenza senile, e la loro casa è a rischio di sfratto a causa di un cospicuo debito e dell’espansione delle aziende vinicole locali, desiderose di accaparrarsi i terreni un tempo riservati ai cercatori di tartufi. Con l’urgenza di reperire una somma di denaro sufficiente a evitare lo sfratto, Igor decide di trasmettere a Dalia i segreti dei cercatori di tartufi, mandandola nei boschi insieme alla sua fedele cagnolina Birba, alla ricerca di un prezioso tartufo bianco d’Alba, la cui vendita potrebbe salvare la loro casa. Il viaggio di Dalia, verso la ricerca del tartufo però si dimostra molto più complesso e tragico del previsto.

Ydalie Turk e Umberto Orsini in Trifole - Le radici dimenticate
Ydalie Turk e Umberto Orsini in Trifole – Le radici dimenticate

Recensione di “Trifole – Le radici dimenticate”

Una pellicola profondamente umana che intende raccontare una storia di umiltà e dal sapore di altri tempi, capace di concentrarsi sulle emozioni dei personaggi e sulle tradizioni popolari: quelle tradizioni locali che l’umanità sta perdendo, giorno dopo giorno, in una ricerca affannosa di progresso industriale ed economico fine a sé stesso. Questo stesso progresso sembra voler cancellare il tradizionalismo territoriale dei nostri avi, ignorando i beni e i doni che la terra ci offre. “Trifole – Le radici dimenticate” è una storia radicata nel passato, che vuole comunicare allo spettatore quanto sia importante mantenere viva una cultura legata alle proprie origini, alla dimensione artigianale e agricola dei nostri antenati. Quegli uomini e quelle donne sapevano dialogare e rispettare il proprio territorio, traendone sostentamento senza mai sfruttarlo eccessivamente, accogliendo con gratitudine ciò che la Madre Terra donava loro.

Questi valori emergono in modo efficace a livello di sceneggiatura, attraverso la storia di Igor e il suo rapporto con la nipote, giovane che conosce ben poco delle proprie radici e della terra da cui proviene. Emergono anche attraverso le difficoltà economiche di Igor, che rischia di perdere la propria casa – simbolo delle tradizioni e di un passato prezioso – e attraverso il racconto della nuova azienda vinicola: un’impresa che ha distrutto ettari di foresta, dove una volta si raccoglievano tartufi, per impiantare vigneti che nulla hanno a che fare con la natura originaria di quel terreno. Questa intrusione stravolge l’essenza della terra stessa, alterandone il corso naturale. Dove una volta nascevano i tartufi, ora crescono le viti. In questo senso, l’azienda vinicola diventa il simbolo negativo del progresso, di quel tipo di sviluppo cieco e insensibile, che non guarda in faccia a niente e nessuno.

Per come è stata strutturata, Trifole emana uno sguardo intensamente nostalgico, con una malinconia che traspare da ogni fotogramma e movimento di macchina, specialmente nella prima parte del film e nell’atto finale. Qui, l’approccio ai dettagli e all’umanità dei personaggi risulta particolarmente attento, permettendo di esplorare la loro profondità e fragilità interiore. La sceneggiatura riesce così a tratteggiarli nella loro essenza, sebbene a tratti sfoci in momenti lievemente didascalici, soprattutto in relazione alla demenza senile che sta lentamente divorando la lucidità del povero Igor. Un uomo un tempo forte e orgoglioso, ora si ritrova a perdere, giorno dopo giorno, il controllo su sé stesso.

Dal punto di vista fotografico, abbiamo sposato uno stile di ripresa delicato, con pochi movimenti di camera, che esprimesse l’umiltà della narrazione e si concentrasse nel valorizzare luoghi, personaggi e dettagli. Ho voluto soffermarmi su inquadrature armoniose nel tentativo di catturare lo stile di vita poetico e pieno di passione dei cacciatori di tartufi, ma anche per garantire che i personaggi fossero sempre centrali. Le inquadrature e soprattutto i colori del film, si rifanno allo stile pittorico magico-realista Italiano. – Estratto delle Note di regia

Il rapporto tra i protagonisti (Dalia e Igor), è stato invece ispirato dal rapporto personale che avevo con mio nonno, malato di Parkinson e scomparso recentemente. La sua malattia ha impedito di comunicare tra di noi e dopo essermi trasferito negli Stati Uniti non ho potuto essere presente negli ultimi anni della sua vita e nel momento della sua morte. In un certo senso, questo film è un tentativo di esprimere il mio rammarico e di celebrare mio nonno sul grande schermo. Per farlo, ho avuto la fortuna di lavorare con un cast di alto livello. Ydalie Turk, Umberto Orsini, Margherita Buy e Birba (un vero cane da tartufo) sono infatti il ​​cuore del film. Sono estremamente grato per la loro incredibile devozione alla sceneggiatura e spero che questo traspaia in ogni inquadratura. È stato un grande onore per me lavorare con Umberto Orsini. Tutti sul set sono rimasti colpiti dal suo talento e dal suo approccio. Nonostante la sua ultradecennale esperienza ha mostrato la stessa curiosità di un attore alle prime armi, sempre desideroso di migliorarsi. Proprio come il suo personaggio Igor, che sente di essere stato dimenticato, Orsini, molto conosciuto nell’Italia degli anni ’60 e ’70, dopo essersi dedicato con grande successo al teatro, ha visto un’industria cinematografica che lo ha ingiustamente trascurato. Sono convinto che la sua commovente interpretazione porterà nuova luce alla sua carriera cinematografica, facendolo riscoprire anche al pubblico più giovane. Nel ruolo della protagonista abbiamo invece Ydalie Turk, una giovane attrice sudafricana al suo primo film. Ydalie Turk è una delle attrici più talentuose e generose che abbia mai incontrato. Dalia doveva apparire come una figura fragile, di altri tempi, insicura che nasconde però grandi passioni e coraggio. Ero sicuro che Ydalie sarebbe riuscita perfettamente a mostrare questi due aspetti contrastanti di Dalia. Ciò che però mi ha sorpreso di più, è stata la grazia e il sottile sentimento di nostalgia che Ydalie ha infuso in Dalia: questo permetterà al pubblico di entrare in empatia con un personaggio che inizialmente può sembrare passivo. La stessa grazia e leggerezza le ritroviamo in Margherita Buy, che è riuscita a instillarle nel suo non facile personaggio di madre single che ha deciso di lasciare le sue radici. Birba ha poi completato il quadro delle sorprese: chiunque, vedendo il film, non può che pensare che sia un cane addestrato, mentre in realtà è un vero cane da tartufo, ma con un evidente talento per la recitazione! – Estratto Note di Regia

L’elemento nostalgico emerge non solo dalle tematiche narrative, dalla luce intensa e dai movimenti di macchina armoniosi, ma anche dall’interpretazione straordinaria di Umberto Orsini nel ruolo di Igor. Orsini infonde al suo personaggio un’enorme forza espressiva, trasmettendo con profondità il senso di spaesamento, la rabbia e la disperazione interiore che Igor prova di fronte ai cambiamenti che stanno trasformando irrimediabilmente il luogo a lui tanto caro. Accanto alla sua interpretazione intensa, spicca la sorprendente performance della cagnolina Birba, un vero cane da tartufo, capace di trasmettere una vasta gamma di emozioni. Il rapporto tra Igor e Birba, così come quello tra Birba e Dalia, diventa un elemento di grande spessore emotivo, suscitando nel pubblico un’empatia profonda, non solo verso Igor e sua nipote – legati da un rapporto tanto conflittuale quanto amorevole – ma anche verso questo animale, che riesce a commuovere in molte scene del film.

Accanto a un colossale Orsini, Ydalie Turk offre una solida interpretazione nel ruolo di Dalia, una giovane che ha perso la propria direzione nella vita e il suo centro, una ragazza che ha visto sfumare i propri sogni. Il suo incontro con il nonno materno, nonostante le numerose difficoltà iniziali, si rivela un vero viaggio di formazione, che la spinge a riflettere sul significato della vita. Dalia impara a riscoprire che i tesori più preziosi sono spesso davanti ai nostri occhi, nella semplicità di un’esistenza vissuta appieno, nella gioia di stare accanto ai propri cari e nel vivere dei frutti che la terra generosamente offre, senza pretendere di più di una vita autentica.

La pellicola, oltre a essere marcatamente nostalgica e umana, adotta un impianto drammaturgico che si avvicina all’avventura fiabesca, diventando in definitiva una favola dal sapore oscuro. L’elemento avventuroso e fiabesco emerge con forza nel secondo atto, dove Dalia intraprende un viaggio alla ricerca di un tartufo che possa risolvere tutti i problemi economici del nonno, permettendogli così di restare nella propria casa fino alla fine dei suoi giorni. Tuttavia, questa parte narrativa non risulta completamente convincente sul piano visivo e registico, portando il film verso una dimensione quasi onirica, enfatizzata da scelte di montaggio e dall’uso del sonoro che non appaiono del tutto efficaci e che sembrano suggerire un elemento magico non presente nella narrazione. Pur rimanendo un secondo atto in cui si avvertono sia i sogni sia la disperazione dei protagonisti, alcuni dettagli visivi non convincono del tutto, lasciando una leggera perplessità.

Ydalie Turk in Trifole - Le radici dimenticate
Ydalie Turk in Trifole – Le radici dimenticate

In conclusione

Trifole – Le radici dimenticate è un film che sa raccontare, con un linguaggio autentico e un’impronta visiva nostalgica, l’importanza del legame con le proprie radici e l’equilibrio tra tradizione e modernità. Con una narrazione che oscilla tra favola triste e dramma famigliare, Gabriele Fabbro presenta un’opera che scava a fondo nelle emozioni umane, facendo riflettere sulla bellezza di uno stile di vita semplice e in armonia con la natura. Grazie all’intensa interpretazione di Umberto Orsini e al talento emergente di Ydalie Turk, Trifole diviene un racconto delicato e visivamente potente sulle sfide della memoria e del progresso.

Note positive

  • Interpretazione coinvolgente di Umberto Orsini
  • Rappresentazione accurata delle tradizioni locali
  • Sceneggiatura emozionante e nostalgica

Note negative

  • Secondo atto visivamente non del tutto convincente
  • Rischio di didascalia eccessiva in alcune scene
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Stefano Del Giudice
Stefano Del Giudice

Laureatosi alla triennale di Scienze umanistiche per la comunicazione e formatosi presso un accademia di Filmmaker a Roma, nel 2014 ha fondato la community di cinema L'occhio del cineasta per poter discutere in uno spazio fertile come il web sull'arte che ha sempre amato: la settima arte.