Woken (2024). L’opera prima di Alan Friel

Recensione, trama e cast Woken 2024. Un thriller distopico con Erin Kellyman e Maxine Peake per la regia di Alan Friel.

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Locandina italiana di Woken film

Woken

Titolo originale: Woken

Anno: 2024

Nazione: Italia, Irlanda

Genere: Fantascienza, Distopico

Casa di produzione: Fantastic Films, Propaganda Italia

Distribuzione italiana: Blue Swan

Durata: 90 minuti

Regia: Alan Friel

Sceneggiatura: Alan Friel

Fotografia: Oran O’Rourke

Montaggio: John Walters

Musiche: Steve Lynch

Attori: Erin Kellyman, Maxine Peake, Ivanno Jeremiah, Corrado Invernizzi, Peter McDonald

Trailer di Woken

Informazioni sul film e dove vederlo in streaming

Presentato in anteprima italiana al Trieste Science + Fiction Festival, il 29 ottobre 2023 presso il Politeama Rossetti alla presenza del regista (che abbiamo intervistato), Woken è un film fantascientifico con sfumature di dramma familiare, scritto e diretto da Alan Friel, alla sua opera prima in un lungometraggio. Finanziato con 700.000 € da Screen Ireland, le cui riprese si sono svolte per cinque settimane e terminate a giugno 2022, il film è stato girato presso Fanore Beach, nella contea di Clare, e all’interno dell’Università di Limerick. Nel cast figurano l’attrice Maxime Peake, nota per La teoria del tutto (2014) e la serie Silk (2011-14), ed Erin Kellyman, conosciuta per aver interpretato Enfys Nest in Solo: A Star Wars Story (2018) e Jade Claymore nella serie Willow. Dopo la presentazione al Trieste Science + Fiction Festival, il film è stato presentato al Dublin International Film Festival, il 1 marzo 2023, e distribuito nei cinema italiani il 4 luglio dello stesso anno grazie a Blue Swan Entertainment.

Intervista al regista

Trama di Woken

Dopo un incidente, Anna si risveglia senza alcun ricordo in un’abitazione sconosciuta, senza sapere chi sia, dove si trovi e chi sia la sua famiglia. La sua mente è completamente all’oscuro della sua vita precedente. Al suo risveglio, la ragazza fa la conoscenza di tre individui: James, un uomo che afferma di essere suo marito e il padre del figlio che lei sta per partorire, e due amici di famiglia, Helen e Peter. Anna si trova così costretta a ricostruire la sua esistenza nella speranza che i suoi ricordi ritornino. Il problema è che le uniche informazioni su chi sia possono arrivare solo da James, Helen e Peter, poiché i quattro vivono su un’isola sperduta e priva di altri abitanti, almeno per quanto ne sa lei. Inoltre, se inizialmente i tre si dimostrano gentili, ben presto mostrano atteggiamenti a tratti inquietanti, causando in Anna angoscia e il timore che qualcosa di brutto stia per accadere. Quando due uomini sfigurati arrivano sull’isola e scoppia una violenta discussione, Anna scopre che la razza umana è vicina all’estinzione. Nonostante ciò, decide di fuggire da quegli sconosciuti per scoprire la sua vera identità.

Erin Kellyman in Woken
Erin Kellyman in Woken

Recensione di Woken

Ascoltando il regista della pellicola al Trieste Science+Fiction, emerge che il film affronta tematiche quali l’ambientalismo e l’ecologismo, criticando la società per aver rovinato sé stessa e il mondo circostante. Inoltre, esplora questioni legate alla maternità, unendo il genere dramma familiare, thriller e fantascientifico. Se il gioco di genere funziona, l’elemento tematico e simbolico del film, che intende essere marcatamente femminista e onorare le donne, risulta trattato con eccessiva semplificazione. La sceneggiatura, vuoi anche per la brevità della pellicola, che dura solo un’ora e mezza, non riesce a trattare con profondità e tridimensionalità le questioni che mette in campo. Si perde maggiormente in un interessante gioco di genere volto a stupire efficacemente lo spettatore, conducendolo entro linee narrative originali e inaspettate.

La pellicola, nella prima metà della narrazione, è ambientata in una dimensione alquanto rurale dove la tecnologia non è minimamente presente e visibile. Ad esempio, il gruppo utilizza un proiettore e pellicola cinematografica per visionare un filmato. Nella seconda metà del lungometraggio avviene un completo rovesciamento d’ambientazione, passando da un ambiente quasi anni ‘50 – ‘70 a uno dal sapore futuristico, incentrato sull’evoluzione della razza umana. Questa tematica è connessa all’elemento pandemico proposto nel lungometraggio, ma non posso approfondire per non rovinarvi la visione con numerosi spoiler. L’elemento più interessante della pellicola è proprio il suo plot twist, il radicale cambiamento della trama, che passa da un contesto di dramma familiare a uno marcatamente sci-fi incentrato sulla razza umana. Questo cambiamento funziona egregiamente e risulta originale e innovativo, giocando con le aspettative dello spettatore.

Quando ci troviamo davanti a film incentrati su personaggi che perdono la memoria, sappiamo che le cose non andranno per il verso giusto. C’è sempre un mistero da risolvere e le persone che circondano il protagonista privo di memoria sono probabilmente bugiarde e pericolose. Alan Friel parte da qui, con un incipit accattivante ma non originale: assistiamo a una donna che sembra buttarsi da un precipizio e che poi ritroviamo stesa su un letto priva di memoria, in un’abitazione situata su un’isola deserta abitata solo da altre tre persone. Insomma, sappiamo già che accadrà qualcosa di strano. Il cineasta però gioca con le nostre domande interiori, con le nostre certezze, capovolgendo continuamente la situazione attraverso percorsi narrativi inaspettati. Questo è l’elemento più riuscito della pellicola.

Per il resto, la pellicola possiede alcune imperfezioni, soprattutto a livello di scrittura, dove è evidente come il regista-sceneggiatore intenda inserire numerose tematiche, ma ognuna di queste non viene sviluppata a dovere. Sia l’elemento pandemico, quello climatico, che quello incentrato sulla maternità, pur essendo quest’ultimo l’elemento centrale della pellicola, non vengono trattati con spessore e tridimensionalità. Il lungometraggio si dimostra dunque una pellicola di attori e di regia, più che di sceneggiatura. Il film non conduce lo spettatore a riflettere sul nostro futuro e sulla situazione attuale, ma piuttosto ci intriga con la situazione messa in scena e con ciò che sta accadendo ad Anna. Un personaggio con cui riusciamo abilmente a entrare in empatia grazie alla scrittura del carattere e alla pregevole interpretazione di Erin Kellyman, al suo primo ruolo di spessore in un lungometraggio, dopo essere apparsa in numerosi prodotti seriali esclusivamente come spalla dei protagonisti. La Kellyman in “Woken” dona un’ottima performance, riuscendo a trasmettere i dubbi, le tensioni e gli stati d’animo del suo personaggio, che non vengono esplicitati dai dialoghi, che non sono così numerosi, ma dai silenzi e dagli sguardi. Sono proprio gli sguardi di Erin Kellyman a donare forza al suo ruolo, dimostrandosi una scelta pienamente azzeccata da parte del direttore di casting.

Altro personaggio interessante nel lungometraggio è Helen, interpretato magnificamente da Maxine Peake, che riesce a donare forza, durezza ed empatia al suo personaggio che vive entro una dinamica di anti-eroe. Helen sa tutto ma non dice niente ad Anna, tenendola nell’inganno e svolgendo il ruolo stesso di aguzzina. Oltre questi due personaggi, però, non abbiamo altri caratteri degni di nota, partendo da James (Ivanno Jeremiah), Peter (Corrado Invernizzi) e il Dottor Henry (Peter McDonald). Quest’ultimo è un personaggio assolutamente mal sfruttato a livello narrativo. Sebbene potesse avere elementi attraenti per il pubblico, in grado di renderlo un villain crudele, la sceneggiatura non riesce a svilupparlo al meglio. Inoltre, l’interpretazione di Peter McDonald non riesce a donare la forza necessaria a questo personaggio. Peccato!

Fotogramma di Woken (2024)
Fotogramma di Woken (2024)

In conclusione

Il film presentato al Trieste Science+Fiction Festival è un’opera che, nonostante le sue imperfezioni, riesce a catturare l’attenzione dello spettatore grazie a un interessante gioco di genere e a una narrazione sorprendente. Affrontando tematiche attuali come l’ambientalismo, l’ecologismo e la maternità, il film cerca di offrire una critica alla società moderna, sebbene con una certa superficialità. Le performance di Erin Kellyman e Maxine Peake spiccano per intensità e profondità, compensando in parte le carenze di una sceneggiatura che non riesce a sviluppare pienamente tutte le questioni messe in campo. Il radicale cambio di ambientazione e genere nella seconda metà del film rappresenta uno degli elementi più originali e riusciti, dimostrando la capacità del regista di giocare con le aspettative del pubblico. Tuttavia, la pellicola rimane più un esercizio stilistico e di regia che un’opera capace di offrire riflessioni profonde sul nostro futuro e sulla situazione attuale.

Note positive

  • Tematiche attuali e rilevanti: Il film affronta tematiche contemporanee come l’ambientalismo, l’ecologismo e la maternità, offrendo una critica alla società moderna e alla sua incapacità di preservare il mondo circostante.
  • Originalità del plot twist: Il cambio di ambientazione e genere nella seconda metà del film, passando da un dramma familiare a un contesto sci-fi, risulta innovativo e sorprendente, mantenendo alto l’interesse dello spettatore.
  • Interpretazioni attoriali: Le performance di Erin Kellyman e Maxine Peake sono notevoli, con Kellyman che riesce a trasmettere le emozioni del suo personaggio attraverso sguardi e silenzi, e Peake che dona complessità e forza al suo ruolo di anti-eroe.

Note negative

  • Semplificazione tematica: Le tematiche principali, sebbene interessanti, sono trattate con eccessiva superficialità, mancando di profondità e tridimensionalità.
  • Problemi di sceneggiatura: Nonostante le numerose tematiche affrontate, la sceneggiatura non riesce a svilupparle adeguatamente, rendendo alcune di esse appena accennate.
  • Personaggi secondari poco sviluppati: Alcuni personaggi, come il Dottor Henry, sono poco sfruttati e mancano di forza narrativa, riducendo l’impatto complessivo della storia.
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Stefano Del Giudice
Stefano Del Giudice

Laureatosi alla triennale di Scienze umanistiche per la comunicazione e formatosi presso un accademia di Filmmaker a Roma, nel 2014 ha fondato la community di cinema L'occhio del cineasta per poter discutere in uno spazio fertile come il web sull'arte che ha sempre amato: la settima arte.