Gli invasati (1963). Il film tratto dal romanzo L’incubo di Hill House

Recensione, trama e cast de "Gli invasati" del 1963. Un classico horror psicologico in cui quattro persone esplorano una casa infestata.

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Trailer di Gli invasati

Informazioni sul film e dove vederlo in streaming

Nel 1959, nelle librerie americane venne pubblicato il romanzo gotico dell’orrore della scrittrice e giornalista statunitense Shirley Jackson, intitolato “The Haunting of Hill House”. Quest’opera, finalista del National Book Award, è considerata dalla critica come una delle migliori opere letterarie del ventesimo secolo riguardanti la letteratura paranormale e le storie di fantasmi. Il romanzo della Jackson, edito in Italia solo nel 1978 con il titolo “L’incubo di Hill House” o “La casa degli invasati”, ebbe la sua prima trasposizione cinematografica nel 1963 con il lungometraggio “The Haunting”, intitolato in italiano “Gli invasati”. Questo film fu prodotto dalla Metro-Goldwyn-Mayer e diretto da Robert Wise, autore di pellicole come “Il giardino delle streghe” (1944), “Ultimatum alla Terra” (1951) e “West Side Story” (1961).

Proprio mentre si trovava in fase di pre-produzione del musical basato su Romeo e Giulietta, Wise scoprì il romanzo gotico di Shirley Jackson grazie a una recensione del libro sulle pagine della rivista “Time”. Una volta letto “The Haunting of Hill House”, Wise decise di realizzarne una trasposizione cinematografica, chiedendo allo sceneggiatore Nelson Gidding, con cui aveva già lavorato per il film “Non voglio morire” del 1958, di sviluppare prima un trattamento completo della storia e poi la sceneggiatura. Quest’ultima venne scritta in sei mesi con il supporto della stessa autrice del romanzo.

Rifiutato dalla casa di produzione United Artists, il film venne prodotto dalla Metro-Goldwyn-Mayer, che acconsentì alla realizzazione della pellicola affidando al regista un esiguo stanziamento economico di solo 1 milione di dollari, a cui si aggiunsero 1,050 milioni di dollari dalla MGM Borehamwood, un finanziamento che il cineasta ottenne accettando di effettuare le riprese nel Regno Unito. Per quanto riguarda gli interni della pellicola, vennero scelti come location gli studios di Borehamwood, situati nel nord di Londra, mentre per gli esterni venne scelta la villa britannica di Ettington Park, situata nel villaggio di Ettington, nel Warwickshire.

Dal romanzo sono stati effettuati altre due rivisitazione cinematografiche: Haunting – Presenze (The Haunting), di Jan de Bont (1999) e Hill House (The Haunting of Hill House), prima stagione della serie televisiva antologica The Haunting creata e diretta da Mike Flanagan (2018)

Trama di Gli invasati

Hill House venne costruita nel Massachusetts da Hugh Crain per sua moglie, ma la donna non riuscì mai a vedere l’interno dell’abitazione, schiantandosi con la sua carrozza contro un albero situato nel giardino della villa e perdendo la vita. Nei novant’anni seguenti, la casa ottenne una brutta fama a causa delle numerose morti avvenute al suo interno, come quella della seconda moglie di Hugh Crain, della figlia Abigail, che morì di vecchiaia senza mai uscire dalla sua stanza dei bambini, dove è cresciuta e infine perì. Anche la tata di compagnia di Abigail, che tempo dopo aver ereditato la casa si impiccò da una scala a chiocciola situata nella biblioteca, morì tragicamente. Dopo questa morte, nessuno visse più all’interno di Hill House, che ora si trova di proprietà della signora Sanderson, una lontana parente dei Crain.

Il dottor John Markway, un antropologo appassionato e studioso di fenomeni paranormali, intende effettuare un’indagine proprio a Hill House, vivendo per qualche tempo al suo interno al fine di investigare sugli eventi inspiegabili. Dopo una discussione con la signora Sanderson, Markway ottiene il permesso di affrontare questa sfida con un solo obbligo: portare con sé Luke Sanderson, il futuro erede di Hill House. Per compiere gli studi soprannaturali, il dottore forma una sorta di task force composta da persone che hanno avuto a che fare con fenomeni paranormali; alla chiamata rispondono solo due persone: la sensitiva Theodora e Eleanor, una donna che, quando era bambina, ha sperimentato un’attività poltergeist. Eleanor, però, ha trascorso una vita infelice, trovandosi ad accudire per gli ultimi undici anni la madre malata e invalida, deceduta due mesi fa, e ritrovandosi a vivere insieme alla sorella e alla famiglia di lei, che non fanno altro che maltrattarla. Per Eleanor, Hill House è l’esperienza che attende da tutta la vita e che le permette di fuggire dalla sua vita triste e inutile. Hill House e i suoi spiriti prenderanno di mira proprio Eleanor, colei che tra tutti i partecipanti ha la mente più fragile. Il dottor John Markway e la sua squadra riusciranno a trovare le risposte sull’aldilà e sugli eventi paranormali presenti in questa villa?

Julie Harris in Gli invasati
Julie Harris in Gli invasati

Recensione di Gli invasati

Lo sceneggiatore Nelson Gidding realizza una rivisitazione abbastanza fedele del materiale di partenza, pur con le dovute divergenze creative dovute anche a disponibilità prettamente economiche. Gidding, nella scrittura, ha dovuto effettuare numerosi tagli dal romanzo di Shirley Jackson, eliminando alcuni personaggi, come Arthur, e alcune scene riferite ai fantasmi. Inoltre, alcuni personaggi presenti nel film hanno subito cambiamenti caratteriali, come la moglie del professor Montague (qui diventato dottor John Markway). Difatti, se nel libro la moglie di Montague è una fervente credente nei fenomeni paranormali e spiritici, nel film è una donna profondamente razionale che non crede minimamente negli spiriti. Nonostante questi tagli e modifiche narrative, il corpus centrale dell’opera filmica rimane più o meno lo stesso, soprattutto riguardo alla trattazione del personaggio protagonista della vicenda, ovvero Eleanor Vance, una donna piena di paure, ansie e problematiche interiori che la conducono a sviluppare una sorta di follia e un attaccamento morboso a Hill House.

Proprio il personaggio di Eleanor aveva inizialmente portato Gidding a effettuare una profonda rivisitazione del materiale di partenza. Difatti, dopo una prima lettura, lo sceneggiatore ritenne che il romanzo non trattasse di fantasmi, bensì di follia, tanto da teorizzare che Hill House non fosse altro che un ospedale psichiatrico con a capo Markway come psichiatra e che gli ospiti fossero pazienti di Hill House, con Eleanor sottoposta a un trattamento d’urto che le provoca allucinazioni. Quando Gidding dichiarò alla romanziera di voler scrivere il film basandosi su questa interpretazione narrativa, Shirley Jackson affermò con fermezza che il libro non era una storia di follia e di pazzi, ma di fantasmi. Il dialogo costante tra sceneggiatore e scrittrice portò Gidding a fare un passo indietro, accettando l’interpretazione più canonica, orientata a vedere Hill House come una casa infestata dai fantasmi. Nonostante ciò, la natura psicoanalitica del lungometraggio, incentrata su argomentazioni inerenti allo squilibrio mentale, ai traumi interiori e ai sensi di colpa, è un elemento centrale e fondante del racconto, descrivendo situazioni e il carattere della protagonista attraverso queste dinamiche narrative, tanto da condurre lo spettatore a chiedersi se veramente Hill House sia un luogo maledetto o solo strano.

Eleanor ci viene mostrata come una donna fragile, avvolta da sensi di colpa e profonde angosce, con gli eventi vissuti all’interno della villa Crain che la conducono lentamente verso un’inesorabile follia. La scrittura della protagonista, che si rifà espressamente a quella presente nel racconto, è uno degli elementi più interessanti della pellicola, poiché crea un senso di profonda connessione tra spettatori e narrazione, dove noi riusciamo a provare un senso di empatia verso questo personaggio incline alla follia. Se gli altri personaggi interni alla vicenda ci vengono presentati correttamente ma senza essere effettivamente approfonditi, come ad esempio l’omosessualità di Theo, rimanendo piuttosto bidimensionali e non particolarmente interessanti, Eleanor si dimostra l’anima stessa della pellicola. Di lei sappiamo tutto attraverso un’attenta introduzione e sviluppo drammaturgico del personaggio, con la conoscenza dei suoi pensieri e delle sue ansie interiori resa possibile da una voce interiore che ci permette di udire le sue riflessioni. Questo ci offre uno sguardo profondo sul carattere del personaggio.

Quel senso di schizofrenia che possiede Eleanor risulta evidente fin dalle prime scene e si intensifica con il progredire della vicenda. Gli eventi a cui assiste e le interazioni personali sviluppano in lei un’ossessione crescente, che diventa il tema centrale del lungometraggio: il bisogno di trovare un proprio posto dove essere amata. Eleanor, come vediamo nella sua presentazione, non è amata da nessuno e non ha un proprio posto nel mondo. La donna riversa questo bisogno di affetto nei confronti degli ospiti di Hill House e infine della casa stessa, a cui vuole appartenere profondamente, sentendo un maggiore attaccamento verso quel luogo che sembra chiamarla. In un certo senso, la vicenda, che si muove tra paranormale e follia interiore, ha come tema centrale il bisogno di sentirsi a casa e amati.

Eleanor e il suo dramma risultano un elemento fondamentale della vicenda di un film che non mostra effettivamente elementi spiritici, ma che gioca elusivamente sul sonoro e sui rumori per trattare l’elemento paranormale. Il dramma traspare vivido sia dalla sceneggiatura che dall’impostazione registica, ma il tono drammatico risulta potente soprattutto grazie all’abilità interpretativa di Julie Harris, attrice interessata alla parapsicologia e scelta da Wise dopo averla vista recitare a teatro. L’attrice riesce abilmente a giocare con gli elementi del suo personaggio, facendoci percepire, man mano che la storia entra nel vivo, il suo decadimento psicologico, con il suo personaggio che affronta un viaggio dell’eroe all’antitesi, passando da uno stato di semi-stabilità mentale a una condizione di follia.

Questo personaggio è reso interessante anche grazie alla sua presentazione, soprattutto durante la scena in macchina, una scena che richiama in maniera evidente il cult movie “Psyco”, a cui forse Wise ha tratto ispirazione. Nel film di Alfred Hitchcock del 1960, assistiamo al personaggio femminile che fugge in macchina verso un luogo ignoto; in “Gli invasati” abbiamo, seppur con le dovute divergenze narrative e registiche, una situazione simile, dove Eleanor fugge in macchina per raggiungere la sua destinazione, ovvero Hill House. Le due scene possiedono elementi comuni a livello strutturale e drammaturgico, dal posizionamento della macchina da presa che mostra il personaggio femminile guidare dal davanti, al ruolo narrativo di approfondire il personaggio. Se Hitchcock racconta l’ansia e il timore di Marion Crane, Wise si sofferma sull’ansia e le speranze di Eleanor, di cui udiamo anche la voce interiore.

Nonostante siano trascorsi pochi anni tra i due film, la fotografia e la resa realistica nella scena in macchina in “Gli invasati” appaiono di una caratura superiore, senza quella sensazione di fondale finto presente in “Psyco”. La regia e la fotografia sono senza ombra di dubbio due punti di forza della pellicola. Wise si dimostra nuovamente un grande cineasta in grado di giocare con i vari generi, sapendo scegliere saggiamente i punti di vista della storia per donare all’opera audiovisiva un ritmo sostenuto e coinvolgente. Anche a livello effettistico, il regista non mostra fantasmi o mostri sullo schermo, ma utilizza un attento gioco di rumori, sensazioni e movimenti delle porte per dare alla casa una sensazione di profondo respiro, mettendo i personaggi in uno stato di agitazione interiore. La scelta di basarsi sui rumori risulta efficace grazie all’uso degli effetti speciali, soprattutto nella scena in cui vediamo le porte gonfiarsi come se avessero un proprio respiro oscuro. Wise sceglie saggiamente di non mostrare i fantasmi, forse anche a causa di un budget limitato, ma questa scelta risulta vincente, poiché il fatto di giocare solo con l’ambientazione per creare tensione è l’arma in più del film.

In conclusione

La rivisitazione di Nelson Gidding del romanzo di Shirley Jackson per il film “Gli invasati” è un adattamento che mantiene fedelmente il cuore della storia originale, nonostante le necessarie divergenze creative. Il personaggio di Eleanor Vance è trattato con grande profondità, rendendo la sua vicenda centrale e coinvolgente. La regia di Robert Wise, insieme alla fotografia e agli effetti speciali, crea un’atmosfera di tensione e inquietudine senza dover ricorrere a rappresentazioni esplicite del sovrannaturale. Tuttavia, alcune modifiche caratteriali ai personaggi e la riduzione di elementi narrativi possono far percepire il film come meno ricco rispetto al romanzo. Complessivamente, “Gli invasati” si distingue per la sua capacità di esplorare la psiche dei personaggi, in particolare di Eleanor, attraverso un approccio visivo e narrativo sofisticato.

Note positive

  • Adattamento fedele con divergenze creative: Nelson Gidding ha realizzato una rivisitazione del romanzo di Shirley Jackson mantenendo il corpus centrale dell’opera, nonostante i tagli e le modifiche necessarie per motivi economici e di durata. La trama di base, incentrata su Eleanor Vance e il suo progressivo declino mentale, è rimasta intatta.
  • Profondità del personaggio di Eleanor: La rappresentazione di Eleanor Vance è uno degli elementi più riusciti del film. La sua caratterizzazione, basata su ansie, paure e un profondo senso di colpa, è resa con grande empatia e complessità, aiutata dalla voce interiore che esprime i suoi pensieri più intimi.
  • Efficace utilizzo della psicoanalisi: Nonostante l’iniziale interpretazione di Gidding come storia di follia sia stata respinta da Shirley Jackson, gli elementi psicoanalitici rimangono centrali. Il film esplora tematiche legate allo squilibrio mentale e ai traumi interiori di Eleanor, ponendo continuamente la domanda se Hill House sia realmente infestata o se tutto sia frutto della mente disturbata di Eleanor.
  • Interpretazione di Julie Harris: Julie Harris offre una performance straordinaria nel ruolo di Eleanor, riuscendo a trasmettere il suo declino psicologico e il suo bisogno di trovare un luogo dove essere amata. La sua interpretazione è un punto di forza fondamentale del film.
  • Regia e fotografia: La regia di Robert Wise si dimostra eccellente, capace di giocare con i generi e creare un’atmosfera di tensione senza dover mostrare esplicitamente fantasmi o mostri. La fotografia e la scelta dei punti di vista contribuiscono a rendere il film visivamente coinvolgente e realistico.
  • Uso intelligente degli effetti speciali: Wise utilizza un’attenta combinazione di rumori, movimenti delle porte e effetti speciali minimali per creare un senso di inquietudine e tensione. La scena delle porte che sembrano respirare è un esempio di come si possa creare un’atmosfera spaventosa senza mostrare direttamente elementi sovrannaturali.

Note negative

  • Personaggi secondari poco approfonditi: Mentre Eleanor è ben sviluppata, altri personaggi, come Theo, risultano meno approfonditi e rimangono bidimensionali. Questo potrebbe rendere meno coinvolgente la dinamica tra i vari personaggi e limitare l’empatia del pubblico nei loro confronti.
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Stefano Del Giudice
Stefano Del Giudice

Laureatosi alla triennale di Scienze umanistiche per la comunicazione e formatosi presso un accademia di Filmmaker a Roma, nel 2014 ha fondato la community di cinema L'occhio del cineasta per poter discutere in uno spazio fertile come il web sull'arte che ha sempre amato: la settima arte.